Ultraviolet, il disastro è totale

(da HomeMediaMagazine)

Ci sono casi in cui il lancio di un nuovo servizio va male e casi in cui è un completo disastro. Il caso di Ultraviolet è il secondo.

L’iniziativa intrapresa da quasi tutti gli studi di produzione cinematografica doveva essere la soluzione a uno dei più annosi problemi dell’Home Video digitale, ovvero dover comprare o noleggiare il medesimo film più volte su più device diversi. L’obiettivo di Ultraviolet era semplicissimo, un grande accordo tra chi ha i diritti dei film e chi questi li vende e li noleggia per fare in mondo che i consumatori comprassero o noleggiassero una volta sola e potessero vedere o scaricare ovunque, su qualunque device e da qualunque negozio online.

Già qualche settimana fa avevamo riportato di problemi nell’utilizzo dei primi Blu-Ray abbinati a Ultraviolet. Chi acquistava i dischi non riusciva a scaricare e vedere la propria copia digitale messa a disposizione dal negozio online Flixster (uno dei primi aderenti all’iniziativa).

Ora la questione è ancora peggiore. Almeno metà delle 400 recensioni del Blu-Ray dell’ultimo film di Harry Potter presenti su Amazon USA sono negative, danno una stella adducendo la colpa al mancato funzionamento di Ultraviolet.

Pare insomma che Flixster non si integri nè funzioni a dovere, tanto che quasi nessuno è soddisfatto e tanto che lo stesso Flixster, per venire incontro al disservizio che reca a quello che è un diritto che i consumatori hanno acquistato assieme al Blu-Ray di Harry Potter, sta distribuendo coupon di iTunes che danno diritto al download del film. Cioè sta mandando i clienti dalla concorrenza per placarli.

Pronta la musica sulla nuvola di iTunes e Google

(da Punto Informatico)

Sono partiti insieme, ovviamente nei soli Stati Uniti. Si tratta dei due servizi musicali cloud based più attesi dopo l’esordio tempo fa di quello di Amazon: iTunes Match e Google Music.

Il primo, va da sè, è l’evoluzione di iTunes in versione Cloud. Pagando 25$ l’anno è possibile ottenere il diritto ad acquistare e ascoltare da qualsiasi device Apple la musica di iTunes, non più quindi scaricare un file e sentirlo ma sentire in streaming un parco canzoni di cui si è acquistato il diritto all’ascolto, come uno YouTube legale.

La cosa vale per tutti gli acquisti passati fatti in passato su iTunes e chiaramente per quelli nuovi. Invece per i brani presenti nella propria libreria che non sono stati acquistati su iTunes, Apple nei 25$ di abbonamento annuale include la possibilità di ascoltare la versione presente sullo Store della mela (per ora il limite è di 20.000 canzoni). Sia che siano state prese da CD acquistate, sia che siano state acquistate da altri store, sia infine che siano state piratate.

Specie quest’ultimo passaggio non è di semplice risoluzione legale, per questo il servizio non è partito subito in tutti gli stati in cui è attivo l’iTunes Store ma solo in America.

Tutto nuovo è invece Google Music. Il cloud service è gratuito e pronto per qualsiasi dispositivo Android, consente di caricare 25.000 dei propri brani sulla nuvola per condividerli su Google+ e ascoltarli dai device Android in streaming. In più l’Android Marketplace vende musica di tutte le principali etichette (manca solo la Warner al momento) al solito prezzo. Dunque se Apple mette a disposizione la versione iTunes dei brani che ognuno ha nella libreria, Google lascia caricare i propri file, esponendosi alle accuse di veicolazione di pirateria (perchè la provenienza della musica potrebbe essere pirata e se viene condivisa su Google+ è rimessa in circolo come tale).

Dall’altra parte però Google Music ha anche l’artist hub, una sezione separata dedicata a musicisti indipendenti in cui si può mettere in vendita la propria musica senza intermediari, prendendo una fetta degli introiti maggiore del solito (il 70% del totale). L’artist hub, li svincola da promoter, etichette o altro ma gli dà meno visibilità (sarà una sezione separata), per questo Google Music è anche molto legato a YouTube. Chi vende sull’artist hub potrà farsi pubblicità tramite il proprio video su YouTube.

Più persone vedono video molto più a lungo

(da Nielsen)

In 3 anni il numero di utenti disposti a guardare video online è aumentato del 26% ma la quantità di minuti spesi davanti ai suddetti video è raddoppiata. Lo dice Nielsen NetRatings, la più quotata società tra quelle che misurano accessi e volumi dell’utilizzo della rete.

Il mercato del video in rete si espande relativamente nel numero di utenti (cioè coloro che guardano i video) ma esponenzialmente nel tempo che il video occupa nella loro dieta mediatica.

Flash, i dipendenti non la prendono bene

(da Change)

La settimana scorsa avevamo riportato come Adobe avesse deciso di non sviluppare più Flash per dispositivi mobili, di fatto gettando la spugna sulla questione e implicitamente ammettendo il fallimento di quella tecnologia sulle piattaforme meno potenti. Che poi era quello che diceva Steve Jobs.

Ecco, i dipendenti Adobe, quelli che si occupavano più direttamente di Flash, non sono stati contenti dell’accaduto e hanno deciso di mettere online una petizione per chiedere le dimissioni del CEO dell’azienda, Shantanu Narayen. La cifra posta come obiettivo è 1.000 firme, al momento siamo a 612. Chi vuole può firmare qui.

A che punto è arrivata la quota di mercato degli smartphone con Android?

(da Gartner)

Settimana scorsa avevamo visto come la metà dei profitti nel mondo dei produttori di telefoni evoluti la fanno quelli di Apple, seguiti da Samsung, adesso è invece la volta dei software che sono dentro i telefoni, cioè i sistemi operativi.

Il più utilizzato tra gli smartphone è ormai Android e la sua quota ha toccato il 50% del totale. Cioè ogni due smartphone venduti nel mondo, uno ha Android.

Più in generale il mercato degli smartphone nell’ultimo quarto ha incrementato le proprie vendite del 42%.

Tablet contro e-reader

(da GigaOM)

Una ricerca McKinsey ha dimostrato quel che tutti già pensavano, ovvero che l’iPad sta, in una maniera molto strana e graduale, sostituendo il computer per l’uso casalingo. Ovvero chi ha comprato un iPad in linea di massima non lo usa in mobilità ma in casa, in soggiorno o comunque nelle aree dedicate al tempo libero e ne fa un uso sostitutivo di quello che era prima l’uso del portatile: navigazione, posta, messagistica, gioco.

Questo si traduce in un ritardo nell’acquisto di computer. Non in un mancato acquisto quindi ma in un rinvio della decisione di acquisto. Un modo come un altro per influire sulle vendite che chiaramente sono al ribasso. Interessante però come l’affezione e il legame ad un certo modo di intendere l’informatica e il rapporto con la tecnologia rimanga legato al computer nella forma cui siamo abituati, nonostante l’evidente e ingombrante predominanza della forma tablet.

Dall’altra parte ci sono gli e-reader, ovvero i lettori digitali, dispositivi molto simili ai tablet, basati sul tocco e su pochi pulsanti ma radicalmente differenti nell’uso. Invece che essere dispositivi che suppliscono al computer (cioè che fanno tutto), sono dispositivi che suppliscono ai libri e alle riviste (cioè fanno una cosa sola).

La grande differenza tra e-reader e tablet è che il primo non ha uno schermo retroilluminato come il secondo, ma un display ad e-ink, inchiostro elettronico. Sostanzialmente è come guardare qualcosa di stampato, non sembra un monitor, non affatica gli occhi e la lettura è molto più comoda, allo stesso livello della carta. Gli e-reader più famosi sono di Amazon (che non a caso vende anche i libri in formato elettronico) e l’ultimo il Kindle Touch, oltre ad aver abbattuto il suo prezzo fino a 99$,ha anche ricevuto recensioni entusiaste.