Negli anni apprezzeremo sempre di più Be Kind Rewind – Gli acchiappafilm, perchè, oltre ad essere uno dei migliori exploit di Michel Gondry, contiene anche una chiave di lettura sempre più determinante dell’attualità cinematografica, ovvero la morale finale per la quale “i film migliori sono quelli che facciamo per noi stessi”. Un’idea che si ritrova sempre più spesso nelle produzioni di frontiera.

La frase torna in mente ora che Amazon Studios, il braccio armato nella produzione di lungometraggi di Amazon, ha cominciato a sfornare film. Partito in sordina e con molte polemiche (si diceva che non avrebbero garantito i diritti come fanno tutti gli studi di produzione seri), ora ha ufficialmente promosso o ricompensato come promesso almeno 6 progetti. Si tratta di sei film “di prova” realizzati dai candidati, cioè sei versioni in bozza di un possibile film, completi in tutto e per tutto dal punto di vista della trama e della sceneggiatura ma di fatto non girati bensì animati, raccontati, “storyboardati” o quant’altro.

Le regole erano di riuscire a dare idea di come sarebbe stato il film in modo che i giudici (tra i quali ci sono Alexander Payne e Trevor Groth, programmatore del Sundance) potessero scegliere, dopo la classica scrematura fatta dagli utenti, quello cui assegnare il milione di dollari in palio, da usare per poi effettivamente girare il film.

Alla fine ha vinto 12 Princesses, film che adatta una storia dei Grimm e che sarà diretto dal suo autore Rob Gardner. Ma non è solo un lungometraggio da farsi il risultato di questi primi due anni di Amazon Studios. La sceneggiatora “The origin of species” di Matthew Grossett ha vinto 100.000 dollari (assegnati da una giuria in cui erano presenti Lawrence Bender, produttore di Bastardi senza gloria, Pulp Fiction, Will Hunting e Lost, e Akiva Goldsman, sceneggiatore di A Beautiful Mind oltre che produttore) infine altri progetti di film come Nevsky Prospect, sono stati messi in moto mettendo in connessione sceneggiatori con registi vincitori di una selezione.

Insomma tra script premiati, film di prova premiati e possibilità di registi e sceneggiatori di stringere affari e collaborare (il tutto con uno sforzo di 1,9 milioni di dollari in due anni, oltre agli investimenti in sviluppo) Amazon ha cominciato a dare sostanza ad uno dei suoi progetti più ambiziosi: diventare il primo produttore cinematografico ad aggregare uomini, idee e denaro attraverso l’interazione degli stessi in rete e la consulenza di grossi nomi del mondo dello spettacolo.

Amazon è cioè riuscita, con un certo sforzo economico, a mettere in piedi una macchina produttiva nuova e diversa. Non è detto che un simile meccanismo porti a risultati effettivamente buoni (anche se sarebbe ingiusto giudicare la bontà dell’operazione dal successo di questi primi film), di certo è il primo caso di integrazione tra la macchina della produzione e le logiche open della rete, in cui tutti i concorrenti ad un medesimo traguardo possono vedere i propri opponent, e il processo di scrematura passa per il giudizio di una parte del potenziale pubblico. Soprattutto si tratta di un processo trasparente, chiunque può iscriversi, candidarsi o candidare la propria idea e vedere chiaramente come venga rigettata o promossa. Insomma Amazon ci sta provando a fare qualcosa di nuovo, al pari di Netflix (parte in questi giorni Lilyhammer la nuova serie prodotta dalla società di Reed Hastings ed in cantiere c’è l’altra, House of cards di David Fincher con Kevin Spacey), YouTube (che sta investendo moltissimi soldi nei canali originali e di qualità), Yahoo! (che ha acquistato un appartamento a New York solo per girare show originali) e Hulu (che ha investito anch’egli tantissimo).

Le società della rete che oggi campano con i contenuti video provenienti dal mondo reale (per lo più Hollywood) stanno cercando di costruirsi le loro alternative.