Si vendono più libri digitali che cartacei. Almeno su Amazon nel Regno Unito. Almeno considerando un certo tipo di libri. Insomma il comunicato stampa che in questi giorni è rimbalzato un po’ ovunque, se guardato con occhio puntiglioso, presenta non poche forzature per far arrivare i libri digitali al 50% e passa che serve per poter applicare quel titolo clamoroso. Il punto però non è tanto se davvero siamo arrivati al fatidico momento in cui il digitale sorpassa il cartaceo (se non è oggi sarà domani), il punto è la rapidità con cui sta marciando il mondo degli ebook in confronto alla lentezza del cinema e della musica.

Dal 1998 (anno più anno meno) online si scambiano file digitali e la musica non è più un’esclusiva dei supporti materiali. Dal 2003 esiste un commercio digitale sempre più degno di questo nome che però in quasi 10 anni ancora non ha eguagliato il commercio fisico. I vinili sono una nicchia in crescita e i CD, pur diminuendo le proprie vendite di giorno in giorno, non accennano a morire.
Per entrambi i settori (musica e libri) esiste un mercato pirata che consente anche un download non legale, per entrambi esiste un device desiderabile e desiderato che spiana la strada all’acquisto (Kindle e iPod) e per entrambi infine le associazioni di categoria fanno di tutto per conservare il ruolo e il business dell’analogico. Allora perchè i libri digitali si stanno imponendo subito sulle loro controparti analogiche?
Perchè sono diversi i consumatori.

Chi ascolta musica digitale e chi compra libri digitali sono (in linea di massima) categorie umane differenti. Molti faranno entrambe le cose ma la composizione della massa di fruitori non si somiglia. Più giovani, smanettoni e squattrinati i consumatori musicali, più adulti, posati e desiderosi di legalità quelli di libri, più abituati all’uso di software P2P quelli della musica, più propensi all’uso di interfacce note e semplici (addirittura usando lo stesso ereader per comprare e leggere) quelli dei libri.

Non è la lotta alla pirateria, non sono le cause, non sono i partiti pirata e nemmeno gli spot con le celebrità a fare la differenza. La differenza la fanno gli utilizzatori finali, chi sono e come interagiscono con l’universo tecnologico. Il lettore di libri digitali ha un rapporto semplice e diretto con la rete, sa che c’è un libro e lo prende, quello di musica digitale ne ha uno complesso, scava nei meandri di internet, esplora e trova quel che crede gli convenga.

E l’utente di cinema chi è? O meglio chi è diventato?

Anche i film si possono comprare (in Italia poco e male, all’estero bene) ma si scaricano soprattutto. Le serie tv invece si scaricano e basta (almeno da noi), eppure l’audiovisivo copre un pubblico che per età e gusti abbraccia quello della musica e dei libri messo insieme. L’offerta di cinema è l’unica a prendere tanti target diversi, eppure non riesce a soddisfare i più abituati a girare in rete (pochi i film, alti i prezzi, lenti i download) nè quelli meno abituati (troppi passaggi, pagamenti difficili, offerta opaca). Non ha un device popolare come il Kindle o l’iPod e sembra regolato dalle lobby.

Nonostante ottime idee come Netflix, che cercano per quanto possibile di fare, legalmente, quello che la pirateria fa illegalmente (cioè fornire tutto e subito), sembra che la lezione di Amazon e del Kindle non sia stata assorbita, eppure è la stessa con la quale iTunes e la Apple lottano per conquistare quote di mercato, ovvero quella secondo la quale per gestire davvero bene un settore occorre coprire distribuzione e fruizione, costruire la macchina che legga i film e vendere gli stessi in prima persona.
Si tratta del massimo dell’accentramento, una sola azienda che fa il bello e il cattivo tempo gestendo di fatto un mercato (nella sua versione digitale) da sè. Eppure, paradossalmente, ad oggi appare come la maniera migliore perchè anche il consumo digitale legale possa trovare un suo posto.