Nelle polemiche che hanno seguito l’assegnazione dei premi di quest’ultima Mostra del cinema di Venezia, come sempre c’è del vero, del provinciale e dell’ignorante.

Il vero è che, una volta tanto, la pattuglia di film italiani erano i migliori del festival. Sia quelli in concorso che quelli nelle sezioni parallele erano in linea di massima lungometraggi superiori alla media della manifestazione e in questo senso è un vero peccato che, una volta che lo meritavamo, siamo rimasti a bocca asciutta se non per due premi minori.

Tuttavia ha del provinciale gridare al complotto anti-italiano e pretendere a gran voce dei premi, come se fosse un obbligo o un diritto. Specie perchè questo festival come tutti gli altri che comprendono una competizione è una manifestazione il cui esito è determinato da alcuni giudici, i cui gusti non necessariamente devono rispecchiare quelli del pubblico o della critica nostrana. Lo sa bene Marco Bellocchio che per carattere non ha preso bene l’esclusione di Bella Addormentata da riconoscimenti maggiori e cerca le motivazioni nella difficoltà degli stranieri di comprendere linguaggio e panorama nostrano (e chi lo sa, magari è anche stato così, ma vale per qualsiasi festival) eppure nonostante abbia deciso di non partecipare più ad un festival riconosce anche che:

La giuria ha giudicato secondo una sua idea di bellezza: i film premiati erano i più belli. Basta.

E ha anche ragione a precisare un’altra cosa:

Ma non ci vengano a dare lezioni su che cosa gli italiani dovrebbero raccontare al cinema.

Che l’esito della premiazione non rispecchi il nostro volere o giudizio è normale, che sia l’espressione di una lezioncina o di una morale universale meno.

Ma la stessa affermazione vale anche per i molti opinionisti nostrani che, tarati da una fondamentale ed evidente ignoranza in campo festival (per non dire di cinema) oltre che dall’intenzione di cavalcare il più blando e stupido dei patriottismi (quello che prende di mira l’esterofilia), accusano la direzione del festival per quanto accaduto.

E’ il caso di Francesco Giro, parlamentare del Pdl che ha dichiarato:

Il flop del cinema italiano a Venezia non può restare senza conseguenze. Occorre aprire un confronto serio su questo fallimento. Non è credibile che a Cannes e a Berlino veniamo premiati mentre a Venezia siamo addirittura sbeffeggiati e censurati dal presidente di giuria di turno che tappa la bocca ai giurati. Non siamo mica una colonia! Vengono qui a nostre spese e ci trattano come degli scemi. I francesi a Cannes e i tedeschi a Berlino si fanno rispettare e sentire, eccome! Noi evidentemente abbiamo dei direttori della mostra deboli anzi debolissimi, succubi e non carismatici che peraltro selezionano malissimo i film.

La lista delle cose ignorate da Giro è lunga. Non solo non sa che la direzione non entra nelle decisioni delle giurie e che queste non vengono spesate per far vincere i film italiani e che a Cannes e Berlino i film francesi e tedeschi non vincono spesso (è capitato con La Classe e La sposa turca in questo decennio), ma nemmeno è a conoscenza del fatto che Garrone ha spiegato che Michael Mann non gli ha tappato la bocca ma ha cercato di proteggerlo da domande che vedeva troppo provocatorie. E se lo dice la vittima stessa della presunta censura…

Ancora peggio sono però i tweet di Giovanni Veronesi:

Siamo gli unici che danno di continuo premi al cinema coreano, cinese, vietnamita e giapponese. In Francia, a Berlino, agli Oscar quasi mai.

[…] Io non voglio dire che i film coreani non siano belli ma se il film di bellocchio è così bello da aver avuto 16 min di applausi diamoglielo.

[…] Un premio al film di bellocchio ci stava ma sembra che noi ci vergognano a dare premi agli italiani come invece fanno a Cannes con i francesi.

[…] Io non ne posso più dei film coreani che sono molto belli ma mi hanno rotto le palle. Tutto qua. E ora vo a mangiare un galletto. Addio.

Anche qui all’ignoranza dei meccanismi di giudizio di una giuria di un festival (se critica e pubblico applaudono non è detto che il film piaccia ai giurati, i quali per fortuna sono indipendenti) e quella sul palmares (prima di La Classe erano 20 anni che un film francese non vinceva la Palma D’Oro), si aggiungono le idiozie sui minuti d’applauso (che non sono mai stati 16, e in genere si verificano nelle proiezioni ufficiali in cui metà pubblico fa parte della produzione), sui film asiatici che premieremmo solo noi (quando Brillante Mendoza è conteso dai principali festival mondiali, Apichatpong ha vinto Cannes tre anni fa, Miyazaki ha vinto l’Orso D’oro nel 2001 e lo stesso premio è stato vinto nel 2007 dal cinese Wang Quan An) e quelle sulla mancanza di coraggio (Michael Mann dovrebbe essere coraggioso nel premiare un film italiano???). A Veronesi i film coreani hanno rotto le palle (ma sono molto belli) eppure in Italia ne viene distribuito si e no uno l’anno e non vincono mai niente se non premi minori.

La polemica è tanto più assurda quanto fuori dalla realtà, poichè se è vero che c’è stata difficoltà d’accordo nella giuria di certo non è stato per i film italiani. Era infatti The master l’argomento del contendere e, come capita sempre in questi casi, nella volontà di premiare molto si è scelto per non consegnare il premio principale. Già capitò con The Wrestler, quando il presidente di giuria Wim Wenders chiese per favore di cambiare la regola che impedisce l’assegnazione del Leone D’Oro e del premio ad uno degli attori al medesimo film. In quel caso si scelse di dare al film di Aronofsky il premio principale mentre la coppa Volpi, pensata per Mickey Rourke, andò a Silvio Orlando (e poi non ci premieremmo mai…).

Anche in questo caso per premiare i due attori e il lavoro mostruoso di Paul Thomas Anderson la giuria non ha potuto assegnare il Leone D’Oro ma due premi più specifici (di cui uno doppio, la Coppa Volpi).

Infine c’è qualcosa che paradossalmente nessuno sembra sottolineare e che ogni polemica dimentica di considerare o anche solo di ipotizzare di considerare in un furore patriottico e nazionalista che tutto acceca e che soprattutto, è evidente, non si sposa per nulla con la passione per il cinema. Cioè che Pieta di Kim Ki-Duk è un film bellissimo e merita questo premio.

Ancora di più il suo autore, è uno dei più grandi poeti del cinema di questi anni, eterno secondo di tutte le manifestazioni cui ha partecipato, capace di realizzare uno dei film più influenti degli ultimi 10 anni (Ferro 3) e mai considerato per quel che merita. Kim Ki-Duk meritava almeno altri 3 Leoni d’Oro, che ne abbia ricevuto uno ora pare il minimo.