Di Iron Man 3 abbiamo discusso molto in questi giorni: gli abbiamo dedicato due recensioni (1 / 2), due videorecensioni (1 / 2) e un lungo speciale. Vi abbiamo anche invitato a dirci la vostra opinione sul film sulla nostra pagina Facebook oppure iscrivendovi al nostro forum, i commenti sono stati tantissimi e molto diversi tra loro, proprio come nel caso delle nostre recensioni.

Oggi, a conclusione di un weekend nel quale il film ha battuto ogni record d'incasso dei film Marvel in Italia e nel mondo, vi proponiamo l'opinione di Francesca Crescentini, autrice del blog Tegamini che l'anno scorso aveva pubblicato "The Avengers – guida ragionata al fangirling" da noi molto apprezzato, e di un recente commentone al trailer di Thor: the Dark World.

Le abbiamo quindi chiesto di scrivere un post per noi dopo la visione di Iron Man 3: potete leggerlo qui sotto!

 

 

Iron Man 3 ha fortemente destabilizzato il mio cuore di fangirl. Anzi, mi ha quasi messo un po’ di malinconia. Sono uscita dal cinema e ho pensato “ma non può essere, non può essere, non mi è piaciuto questo film. E ho anche su una maglietta con stampata l’armatura, che ne sarà di me, la mia vita è una menzogna!”. Tragedia! Eresia! Possibile che non ci sia nemmeno una canzone degli AC/DC?

Insomma, un casino.

Poi mi sono seduta un attimo e ho cercato di capirci qualcosa. Perché comprendo perfettamente che tutto quello che ho visto rappresenti uno straordinario passo avanti nell’evoluzione di un personaggio già meraviglioso, capisco anche che il mondo dopo The Avengers sia cambiato e che le armature che si moltiplicano, si frantumano e vanno in giro da sole siano una splendida e ricchissima metafora (richiamata pure dal gioco di specchi tra i “due” cattivi della storia), ma sono comunque un po’ stranita.

Nel 1999 ascoltavo gli Eiffel 65 a una festa di capodanno in Svizzera e niente, c’era questo storpio ipovedente capellone stalker che voleva darmi il suo biglietto da visita… e adesso eccoci qua, mi hanno distrutto la casa e c’è della gente che si surriscalda fino ad esplodere. E non sembra neanche che queste persone-vulcano abbiano voglia di conquistare il mondo. Non è una storia “piccola”, in confronto alla devastazione che provoca nel cervello, già dissestato, del nostro buon Tony? Mi sembrava una storia piccola – diamine, abbiamo appena visto portali interstellari, Hulk che ruggisce e una portaerei volante – ma poi mi sono accorta che, perbacco, gli albi a fumetti son fatti così e che, forse, Iron Man 3 è quanto di più fedele allo spirito originario dei supereroi di carta che ci abbiano mai proposto. Si vede pure alla fine, col cast che rimbalza di qua e di là dentro ai riquadri della pagina disegnata.

 

 

E allora che c’è che non va?

C’è che forse non ero preparata a vedere Tony Stark fuori dall’armatura per così tanto tempo. E nemmeno lui, onestamente. Certo, pure questo serve a informarci che non è l’armatura che fa l’Ironman, ma tutto quel pullulare di cromature volanti che si facevano i fatti loro mentre Stark, pesto e sanguinante, veniva preso a calcioni nei denti da anonime e insignificanti persone-vulcano mi ha un po’ intristita.

E’ vero, tutte le armature volanti sono un’emanazione del suo genio e della sua ossessione, sono un milione di gusci in cui rifugiarsi, ma vederne così tante, tutte impegnate a compiere prodigi per i fattacci loro, mi ha esposta a un devastante e mestissimo effetto-inflazione. E lo so, servono, hanno senso in questa storia ma, per contrasto, mi è tornato in mente uno dei primi trailer di Iron Man. Non succedeva niente di speciale: c’era il cielo con Iron Man che volava (dritto, poi, senza manco un’evoluzione, una roba che scoppia o qualche altro miracolo). Basta. E mi ero emozionata tantissimo. Non vi dico poi quando arrivava la scritta e c’era la vocetta che faceva AIRONMAAAAAAAAN. Un entusiasmo da seconda elementare.

E qua? Qua c’è un’armatura anche nell’armadio delle scope, ma l’unica che Tony usa è quella telecinetica tutta rotta, che ci mette mezzo film solo a ricordarsi come si fa a volare. E gliela aggiusta un bambino, in pratica. Fermi lì, però, perché anche quest’armatura scassata serve a ricordarci che l’anima del nostro eroe è un groviglio di ansie e ruggine. Ed è anche un’ode alla nuova visione del mondo di Tony Stark, che mette da parte l’individualismo e le sbruffonerie e si fa in 42 Mark per salvare quello che davvero vale la pena salvare.

Che poi è la Pepper. Che non solo è più alta di lui di una spanna, ma alla fine si salva anche da sola. Anzi, fa a pezzi a mani nude – e french manicure – l’ormai ex zoppo ipovedente capellone stalker facendo trionfare il bene, la giustizia e gli addominali scolpiti dallo yoga.

 

 

E noi?

Noi siamo per terra insieme a Tony Stark, soccorso da donne (inaudito!), bambini (ha ragione Leo Ortolani) e aggeggi del ferramenta. Perché vorrei anche ricordare che Tony Stark irrompe nella dimora del Mandarino facendosi strada a suon di miccette e guanti con la scossa. E va bene, volevano farci vedere l’uomo che impara ad accettare i propri limiti, cerca di continuare a combattere contando solo sulle proprie forze, dimostrando a se stesso che può farcela anche se non è rivestito di latta super-accessoriata, ma è stato un discreto calo di tensione. Per fortuna che subito dopo c’era il Mandarino in bagno.

Ecco, questa roba del Mandarino è stata un’ottima trovata. Non il bagno, dico, ma tutta la faccenda – molto attuale e coraggiosa – del terrorista inafferrabile che demolisce ogni sicurezza. Era un cattivo così perfetto, malvagio e caotico che mi è spiaciuto quando siamo rimasti lì con Killian. Che alla fine, che voleva Killian, a parte disintegrare Tony Stark, reo di non avergli dato retta in una notte di ubriachezza? Rapisce il presidente, lo appende a due catenoni e, perbacco, diventerò sia la domanda che l’offerta in questo diabolico commercio di miscele incandescenti! Sputo fuoco! Sono pieno di tatuaggi termosensibili! Fuggite, sciocchi! Basta, non se ne può più di sociopatici rancorosi e vendicativi. E no, il fatto che sia pazzo non lo giustifica, abbiamo bisogno di motivazioni più solide, soprattutto perché non l’abbiamo mai visto prima e non sappiamo che farcene dei suoi problemi. E della sua maledetta FUCINA DI CERVELLI. Ditemi FUCINA DI CERVELLI un’altra volta e inghiotto il Tesseract.

Ma dove eravamo rimasti.

Alle armature? All’inattaccabile solidità di ogni scelta simbolico-metaforica di questo film? Perché è terribile: non puoi far finta di non accorgerti che tutto quello che non ti ha convinto sia, in realtà, ben inserito nel resto dell’intreccio e coerente con quello che vogliono dirci di Tony. Che sia per quello che mi è sembrato tutto una gran confusione? Stark è confuso, il film si confonde insieme a lui e, belli seduti a goderci un inutile 3D, ci confondiamo pure noi.

Non lo so, ma rimango malinconica. Iron Man avrà ritrovato il senso profondo della sua esistenza, ma ho passato due ore e passa, quante erano, a vederlo rimpicciolirsi sempre di più. Inghiottito da Downton Abbey, malvagi comprimari calvi e muti, squallidi bar da spaccalegna del Tennessee (era il Tennessee, giusto?), milioni di armature, dialoghi brillanti che ci tengono tantissimo a farti notare di essere brillanti, bambini spavaldi ma solitari, cattivi con brutti capelli. Ero talmente atterrita che mi è sembrata bizzarra perfino la scena dell’Air Force One… che poi era anche l’unica vera Ironmanata del film. Che cosa mi sta succedendo? Cosa mi intristisce? Perché non riesco ad apprezzare questo buon film? Ma soprattutto, che altro doveva capitargli per farmi contenta? Gli distruggono la casa, gli rapiscono e modificano geneticamente la fidanzata, Jarvis diventa dislessico e le armature ormai si arrangiano da sole.

Che altro! 
Vado a farmi venire un attacco di panico, sentendomi però consolatissima dalla scena post-sottotitoli. Perché neanche Bruce Banner è rimasto granché colpito da quest’ultima avventura di Iron Man. E se non garba a Hulk, può benissimo non garbare a me.

 


 

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