Tempo fa ho letto sulla pagina ufficiale di George Takei su Facebook uno status che l’attore di Star Trek aveva visto da qualche parte su Internet e aveva poi ricondiviso in prossimità delle festività natalizie.

Grossomodo recitava questo:

La mia ragazza è cristiana, io sono ebreo. Osserviamo le festività religiose di entrambi, per cui per Natale allestiamo un presepe in cui Gesù bambino viene posto nella mangiatoia, mentre tutte le altre statuine osservano con un certo scetticismo la scena

Ricordo di aver riso di gusto.

Si trattava di un’umoristica descrizione perfettamente azzeccata al contesto americano, dove ormai le celebrazioni di Hănukkāh (la Festa delle Luci) e del Natale hanno dato vita alla parola macedonia Chrismukkah, con buona pace delle critiche delle frange ortodosse di entrambe le religioni.

Ma non è questa la sede per un ozioso discorso da salotto sulle tradizioni più o meno recenti in voga negli Stati Uniti.

E’ curioso però come l’aneddoto citato dal Signor Sulu sulla propria pagina Facebook possa anche adattarsi in qualche modo a un film diretto da un regista nato a Chicago da una famiglia di religione ebraica e co-sceneggiato da un’artista della medesima fede, ispirato liberamente al romanzo di Mark Twain Il Principe e il Povero oltretutto uscito, originariamente, nel mese di giugno, sia diventato da più di vent’anni l’appuntamento cinematografico fisso dei palinsesto televisivo italiano delle feste.

Per quel che mi riguarda, per una questione anagrafica alquanto ovvia cui ho fatto cenno anche nella mia “dichiarazione d’amore a Frankenstein Junior”, Una Poltrona per Due è una di quelle pellicole che non ha solo contribuito a formare e plasmare il mio amore per il cinema. Ha “edificato” proprio me stesso, andando ad influenzare il mio senso dell’umorismo e la percezione di cosa faccia o non faccia ridere. Ancora oggi, tutte le frequenti volte che mi capita di viaggiare in treno, non posso, non RIESCO a non pensare a Nangai Pogo, studente con borsa del grande Camerun, Lionel Joseph, il Padre-fratello-madre, Inga che viene da Svezia.

BELLO ANNO A LEI!!

Tanto per citare uno degli innumerevoli passaggi letteralmente memorabili di cui è costellato il lungometraggio di John Landis.

Landis, un regista che fra la fine degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta ha regalato al mondo una serie di film capaci di raccontare, in maniera sagace ed iconoclasta, la realtà americana del tempo, i conflitti che vedevano contrapposti gli underdog di bislacche confraternite come la “Delta Tau Chi” o i rigetti della società come i vari Billy Ray Valentine ai waspissimi alti papaveri dell’ipocrita establishment statunitense.

Ma, di nuovo, non sono qui per un excursus critico della filmografia di un Maestro della Commedia a Stelle e Strisce.

La questione è molto più intima.

Personale.

Perché Una Poltrona per Due è, di fatto, quella che io – e presumo molte altre persone nello stivale – ritengo la “carola delle feste” per eccellenza. Non mi permetto certo di affermare con sicumera che le motivazioni che mi legano alla pellicola siano le medesime che la rendono speciale per un quantitativo non meglio identificato d’individui, però…

C’è tutto un rituale insito nella visione del film.

Sarà una vaga forma di Asperger, o un voler riafferrare inconsciamente i tempi delll’infanzia ogni giorno più lontana e remota, ma nonostante io possegga Trading Places sia in Vhs che Dvd – e sia spasmodicamente in attesa di una versione in alta definizione destinata almeno al mercato inglese – devo rigorosamente rivederlo una sola volta ogni anno.

In televisione.

Con tanto di pause pubblicitarie a scandire l’incedere della storia.

Penso di aver provato solo in un’occasione a inserire il Dvd nel lettore. In primavera, come se non bastasse.

L’ho tolto dopo circa dieci minuti.

Non ha senso guardare Una Poltrona per Due senza la luce delle luminarie natalizie che entra dalle finestre, senza l’odore del pandoro e del torrone che permea l’ambiente, senza i termosifoni bollenti per contrastare il gelo. E, soprattutto, non ha senso andare incontro a quindici giorni di crapule smodate, ritmi circadiani sballati dalla pausa scolastica – prima – e dalle ferie – poi – senza aver rinfrancato lo spirito con una favola d’altri tempi.

Impensabile, al giorno d’oggi.

Non parlo tanto del contesto produttivo e artistico che l’ha generata. Quanto di quello storico.

Ora, non vorrei scadere nel banale affermando che stiamo vivendo un’epoca in cui risulta difficile essere ottimisti. Ognuno di noi può constatarlo sulla propria pelle secondo modalità e “gradualità” differenti.

Con ciò non voglio assolutamente dire che bisogna lasciarci andare alla mestizia e allo sconforto, tutt’altro.

Però negli anni ottanta era più semplice osservare con positività, senza preoccupazione il futuro. E si poteva fare ciò anche attraverso il filtro di una storia di Natale in cui l’esperimento, anzi, la scommessa di due cariatidi dell’alta finanza americana, due Scrooge senza possibilità di redenzione, andava in frantumi grazie a un barbone di colore, una prostituta (e sulla perfezione fisica della venticinquenne Jamie Lee Curtis di allora si potrebbe aprire un capitolo a sé), la versione umana di un elfo domestico di potteriana memoria e uno yuppie capace di ravvedersi e migliorare umanamente.

In cui l’happy end prendeva la forma di una nuova vita fatta di agi e comodità ai tropici.

Un parto cinematografico di un’epoca sospesa fra ingenuità ed eccesso come solo gli anni ottanta hanno saputo essere. Nel bene e nel male, per carità.

Ma è anche grazie a Una Poltrona per Due che in mezzo al marasma di un qualsiasi aggiornamento sull’agghiacciante crisi che stiamo vivendo, riesco a respirare una boccata d’aria fresca immaginando che, prima o poi, mi ritroverò a parlarvi o a scrivervi dalla spiaggia di una località in cui la temperatura non scende mai sotto i 25 gradi, mentre sorseggio un cocktail servito nel guscio di una noce di cocco.

Perché, come dice Aigor, potrebbe andar peggio, potrebbe piovere.

Ma mi piace pensare che potrebbe, anzi, che deve anche andar meglio.

Proprio come accaduto a Billy Ray Valantine and co.

A quel punto penso che potrei riuscire a guardare Una Poltrona per Due “senza la luce delle luminarie natalizie che entra dalle finestre, senza l’odore del pandoro e del torrone che permea l’ambiente, senza i termosifoni bollenti per contrastare il gelo”.

Io ci vedo! Io ci vedo e ho anche… Ho anche le gambe, io, oddio, guardate ho due gambe, riesco a camminare! Oh Gesù! Miracolo! Gesù, oh grazie, grazie, che bello! Non ci posso credere, grazie, non ci posso credere, non ci posso credere, io…