Così come per La principessa Mononoke, la riedizione al cinema di La città incantata ci è arrivata con un nuovo doppiaggio e soprattutto un nuovo adattamento (cioè una nuova traduzione). A curarlo è stato sempre Gualtiero Cannarsi con il quale già avevamo parlato in occasione di Mononoke e che siamo tornati ad interpellare per La città incantata riguardo cosa sia cambiato in questa versione, finalmente fedele all’originale, finalmente complessa come merita il testo d’origine e finalmente completa nei suoi riferimenti.

Come ha potuto notare chiunque si sia recato in sala in questo giorni a vedere il capolavoro di Hayao Miyazaki il film non solo è più chiaro (tutta la parte relativa ai nomi rubati, dimenticati e ritrovati è decisamente meno nebulosa) ma anche più deciso, maturo e meno favolistico. Concedendo molto meno all’idea che abbiamo in occidente di “favola” e lavorando molto di più sulla commistione tra infantile e adulto del testo originale il film appare ancora più distante da tutto quanto si faccia in materia da questa parte del mondo, mantenendone intatto il fascino.

Dopo aver visto il nuovo Mononoke abbiamo notato come ne uscisse un Miyazaki molto più “violento” nei dialoghi e al tempo stesso più aulico. Il nuovo La città incantata quale aspetto enfatizza?

Direi: “la schiettezza”. Con un testo alterato nel 75% circa delle sue battute, la precedente versione italiana, calcata su quella americana, rendeva tutto molto più favolistico, favoleggiante, smielato. Ma il mondo fantastico di questo film altro non è che una metafora del mondo degli adulti in cui una bambina un po’ stordita dai nostri tempi consumistici si ritrova gettata di punto in bianco. Le asperità, l’ordinaria crudeltà, la blanda meschinità e la schiettezza della realtà adulta sono ritratte nei personaggi del film e nei rapporti che intrattengono l’un l’altro. Questa componente sicuramente salta molto all’occhio dal testo originale, e dal testo originale fedelmente tradotto.

La città incantata è forse il film più noto di Miyazaki, quello che ha vinto più premi e uno dei più apprezzati, nonostante abbia poco meno di 15 anni l’idea di “toccarlo” e modificarlo, anche se nella corretta ottica di una maggiore aderenza all’originale, suona già come un’eresia. Quali sono le componenti di adattamento su cui hai dovuto lavorare di più?

Ogni traduzione, adattamento e doppiaggio, ogni localizzazione di un’opera originale in una lingua straniera, non è che un falso di servizio. Non ha alcun valore assoluto. Ciò che è sempre un’eresia toccare è il contenuto dell’opera originale. Quindi, per questo film come per ogni altro film, prima o dopo di questo, il referente a cui volgersi come unico faro a guida di un’opera di traduzione, adattamento e doppiaggio è l’originale. Bisogna capirlo nella sua lingua originale, in maniera profonda e precisa, e poi renderlo nella nostra lingua, in maniera puntuale e fedele. Così il tutto, così ogni sua parte, così ogni battuta, così ogni parola. Proprio questo film, del resto, insiste e fonda il suo significato anche sul valore e l’importanza delle parole.

Come per Mononoke avete lavorato (dove possibile) con i medesimi doppiatori?

Se ti riferisci alla precedente edizione italiana, essa non viene presa in alcun modo a referente. Un precedente falso d’uso non ha alcun valore assoluto, come del resto il successivo. Se alcuni doppiatori sono apparsi come “confermati” dal vecchio al nuovo doppiaggio, è solo perché evidentemente si è ritenuto che fossero a tutt’oggi proprio la migliore scelta possibile sul loro dato personaggio. Questo vale per Mononoke, per Sen to Chihiro, e così pure per altri film su cui ho avuto occasione di lavorare due distinte volte.

A chiunque ti dicesse che “Il film andava bene così com’era e non bisognava toccarlo” cosa risponderesti? Cosa ci perdevamo in precedenza?

Il film non andava bene così com’era nella sua edizione italiana precedente. Ci perdevamo, oltre a molti dettagli e alla puntualità di molte situazioni, tutta l’atmosfera dei rapporti tra i personaggi, e la loro effettiva caratterizzazione. A partire dall’età del protagonista maschile, che è un coetaneo della protagonista femminile, la vecchia edizione era fitta di glosse intessute in un sostrato di zucchero filato. In tutto ci si perdeva semplicemente la verità di un’opera. Scusate se è poco.