Per qualsiasi vero conoscitore di Alien (il film) le prime ore di Alien: Isolation (il videogioco) sono un inferno di terrore.
Su BadTaste non parliamo di videogiochi, per quello c’è BadGames, tuttavia raramente è capitato di trovare un titolo che fosse così fedele e aderente allo spirito e ai punti di forza del film a cui si ispira. Poche volte è capitato di poter giocare ad un gioco così capace di tradurre il linguaggio audiovisivo parlato da un film in dinamica di gioco. Sarebbe stupidissimo dire “Vi sentirete dentro Alien!”, ma posso dire per esperienza personale che in ogni momento i ricordi del capolavoro di Scott era riportati in vita dalle scene con forza emotiva.

Subito una precisazione: alla Creative Assembly hanno realizzato un gioco che di certo non brilla per originalità (ci sono i condotti d’areazione, i sintonizzatori da manovrare con L e R e i dialoghi degli altri umani che vengono dai vari Arkham, oltre agli oggetti da costruire con le componenti che si trovano in giro e il fatto che gli uomini siano peggio dei mostri come in Last of us e infine i report audio e video che si trovano in giro stile Bioshock infinite), nè tantomeno per perfezione (moltissimi i problemi e una giocabilità non a livello dei titoli da cui ruba), ma è fuori da ogni dubbio che sia stato disegnato, ideato e curato da un vero conoscitore dell’audiovisivo. E soprattutto di Alien.
Raramente mi sono trovato così terrorizzato davanti ad un videogioco, raramente ho desiderato smettere di giocare come desidero smettere di vedere un film horror quando funziona sul serio, raramente ho pregato di non incontrare nessuno e che non succedesse assolutamente niente di niente per tutta la mappa.

Tutto è giocato nella memoria del giocatore in realtà. Non so come possa essere percorrere i meandri di Alien: isolation se non si è mai visto Alien (il film), ma chiunque lo conosca bene è atterrito da subito, fin dai primi momenti in cui attraverso la soggettiva di Amanda Ripley (indovinate di chi è figlia) si entra nella stazione orbitante Sevastopol per riprendere la scatola nera del Nostromo.
La Sevastopol è una specie di aeroporto spaziale immenso con negozi, carrelli per bagagli, centri di controllo e navette per spostarsi al suo interno. È vastissima ed è deserta, non c’è quasi più nessuno, è alla deriva, solo cadaveri e documenti nei quali si legge di un assassino o qualcosa che massacra tutti (e chissà cos’è eh!).

Ma non è quello ad atterrire, è che Creative Assembly ha ricreato perfettamente il design degli interni delle astronavi di Alien, ha ripreso perfettamente quella tecnologia, quelle soluzioni d’architettura futuribile e quell’estetica, è tutto uguale al film, tutto uguale! E fa tutto paura perchè immediatamente ricorda i momenti più terrificanti della disavventura di Ellen Ripley.
Per tutta la prima lunga ora di gioco non si incontra nessuno (idea realmente geniale, da vero autore!), solo buio, luci intermittenti, ventole e rumori sordi, come se qualcosa passasse ma magari non è nulla. Uno score particolarmente azzeccato fa il resto. È stata una delle ore più paurose che ho mai passato davanti ad un videogioco: sai che c’è uno xenomorfo da qualche parte e che ad un certo punto arriverà ma non sai quando, sai che ci sono umani (ne vedi tracce e ogni tanto li vedi scappare di lontano) ma non sai se ti attaccheranno, ti sposti esplorando un luogo buio, cercando chiavi che aprano porte, interruttori che ridiano la corrente e intanto i rumori ti fanno sentire male ad ogni passo. L’ombra delle ventole sui muri o i tagli di luce ad ogni passo ti fanno riconoscere quei posti, illuminati e arredati esattamente come la Nostromo del film e questo ti fa star male.

 

alien isolation

 

Un esempio: vi ricordate i condotti d’aria con il bocchettone che si chiude ad iride? Quelli in cui si infila Tom Skerritt per poi fare la fine che fa. Ecco ad un certo punto tocca entrare lì dentro e davvero una voce dentro di te ti dice che non è proprio il caso, che nulla di buono ne uscirà. Ovviamente non si muore così al primo tentativo, ma lo stesso ogni volta che va fatto è un parto e non esclude che entro la fine del gioco non succedano brutte cose.
Un’ambiente così con una simile cura del connubio audio/video rende qualsiasi discorso su giocabilità (non fantastica), cura dei dettagli (non estrema) e originalità delle dinamiche di gameplay (quasi zero) superfluo. Solo un nerd della videoludica privo del cuore non capirebbe la genialità di un simile titolo, solo un giocatore senza senso della narrazione si lamenterebbe della sua difficoltà (perchè Alien: Isolation non è Uncharted, è un gioco vero e difficile). Creative Assembly ha realizzato l’ennesimo videogame su Alien, eppure è il primo che davvero cerca di essere Alien di Ridley Scott, cioè un’opera di terrore e ansia, di brivido e raffinatezza stilistica, non una di botti & botte o spari & urla, in cui massacri alieni nell’ordine delle centinaia.

Per vostra informazione dopo circa un’oretta e mezza, quando meno me l’aspettavo è comparso lo xenomorfo, grazie al cielo la prima volta che lo si vede non bisogna fare niente, è una cut scene di gameplay (questo non vuol dire che sia meno terrificante), viene presentato con un’entrata in scena a sorpresa fantastica. Da quel momento in poi diventerà il vostro incubo, perchè è evidente che tutto il gioco non è “ammazza l’alieno” come si potrebbe pensare, ma “scappa dall’alieno”, non farti trovare, non far rumore per carità di Dio!
Sono semmai gli umani a essere la minaccia da eliminare, quelli a cui tocca sparare con le pochissime munizioni a disposizione, lo xenomorfo è uno solo (che basta e avanza), la presenza invincibile da cui speri solo di non essere trovato ma che in ogni momento ti può trovare. Mentre cerchi di fuggire da quella stazione orbitante lo senti nei condotti e speri che lui non senta te (è programmato con un’intelligenza artificiale che non lo fa agire sempre nella stessa maniera ma in base ai tuoi movimenti e ai rumori che fai).

A corredare tutto dettagli di una goduria infinita come una scena in cui un tuo compagno di viaggio si mette sotto delle catene e della bava gli cade addosso (e non dico di più per rispetto alla vostra conoscenza del film), le tecnologie del film come il rilevatore di movimento, dettagli da camionisti anni ‘70 che paiono uscire dritti dalla scrivania di Ellen Ripley e degli intermezzi lo-fi fenomenali. Parlo di immagini dell’astronave vista da fuori che sembrano trasmesse da un televisorino del 1987 mal sintonizzato, trovata estetica di prim’ordine che vi godete tra segmento e segmento, tra mappa e mappa.

Forse non è un gran “gioco” nel senso stretto del termine Alien: isolation, troppi sono gli appunti tecnici che gli si possono fare e tutto quel che vi fa fare è stato già fatto, ma di certo è un’esperienza indimenticabile. Se la vostra idea di “videogioco” è più ampia di “pulsanti da premere in sequenza” fa per voi.