In questi anni vi abbiamo tenuti aggiornati su un piccolo grande cortometraggio, The Nostalgist, tratto dal racconto breve di Daniel H. Wilson (sì, l’autore di Robopocalypse, il cui film doveva essere diretto da Steven Spielberg ma è in stallo da tempo) e diretto da Giacomo Cimini, regista italiano che vive a Londra.

Abbiamo partecipato alle riprese con una set visit, abbiamo intervistato il makeup artist che si è occupato dei protagonisti, abbiamo intervistato lo stesso Wilson… ma oggi vi proponiamo la nostra intervista con lo stesso Cimini (con l’incursione del direttore della fotografia Gareth Munden) in occasione della presentazione al BFI London Film Festival, dove peraltro abbiamo avuto anche modo di vedere il cortometraggio (il giudizio del sottoscritto è molto positivo, ma consiglio di vedere il corto su We Are Colony o Vimeo).

Innanzitutto complimenti perché il corto è veramente bello. Deve essere stato complicato realizzarlo, e ne è passato di tempo da quando abbiamo iniziato a parlarne…

Le riprese sono iniziate a gennaio del 2013, sei giorni di riprese.

Sì, noi avevamo anche visitato il set.

Esatto. Ma il progetto era iniziato due anni prima. Dopo City in the Sky avevo mandato il corto a Daniel H. Wilson, autore del racconto breve, e siamo diventati amici di penna. Da lì abbiamo cominciato a pensare di fare qualcosa insieme. Io stavo sviluppando un progetto enorme che sembrava dovesse accadere e invece non è mai accaduto. Lo stiamo rilanciando proprio adesso anche se con un nome diverso. E così abbiamo iniziato a lavorare al corto poco prima che Spielberg opzionasse Robopocalypse.

Infatti è quasi ironico che un corto realizzato con tanto impegno ma poche risorse come il tuo sia arrivato alla fine e venga presentato a Palm Springs, a Giffoni e al London Film Festival e invece un kolossal come quello di Spielberg sia ancora in sospeso.

Cancellato la settimana prima dell’inizio delle riprese. Pensa che Daniel venne qui a Londra sapendo che dopo una settimana avrebbe iniziato a lavorare a Robopocalypse, e poi invece è saltato tutto. Nessuno capisce cosa sia successo. È probabile che fossero in gioco questioni legate anche ad altri film, al mercato e al piazzamento. Dipende anche dalle fasi della carriera in cui si trova.

nostalgistImmagino che Daniel sia soddisfatto del corto.

Daniel è un grandissimo fan, adesso stiamo andando in giro a fare i pitch a Los Angeles.

Quando sei stato l’ultima volta?

Giugno! Ho fatto due settimane, ci torno adesso a novembre. È stata una esperienza allucinante, ogni giorno avevo un incontro di lavoro diverso. Sono andato anche a Palm Springs, al Festival, dove hanno deciso di proiettare il corto alla fine della cerimonia anche se è arrivato secondo. Se fossimo arrivati primi avremmo ottenuto anche l’elegibility diretta per gli Oscar, ma vabbé, quella l’abbiamo fatta comunque, basta proiettare il corto in un cinema a Los Angeles.

Visto che strana che è Palm Springs?

È una città stranissima, dovrebbero farci un film di fantascienza, un’oasi Svizzera in mezzo al deserto, fuori dal mondo.

E come sono andati i pitch in California?

Ho parlato con varie agenzie e alla fine ho deciso di firmare con la CAA, che è una garanzia. Adesso vedremo, il mio obiettivo adesso è fare un lungometraggio, vediamo cosa mi propongono. La televisione non la escludo, ma per fare la televisione in America devi vivere a Los Angeles, perché devi incontrare duecento case di produzione visto che ci sono duecento pilot in sviluppo. E quindi pur essendo una cosa che voglio fare, non penso di volerla fare subito, anche perché è ancora vero il principio secondo cui se punti direttamente al cinema le cose ti vanno meglio con le agenzie che partendo dalla TV e cercando di passare poi al cinema.

E non potresti fare televisione in Inghilterra?

Sì ma è molto diverso. Anche se parliamo di grandissima qualità, il panorama non è dissimile da quello italiano: ci sono quattro canali, cioè BBC, SKY, Channel 4 e Channel 5. Sono loro i quattro committenti principali. Negli USA il panorama è immenso, e ora sono arrivati anche Amazon, Netflix, Hulu.

E con i film come sta andando quindi?

Mi passano moltissime proposte di film young-adult, indirizzati ai teenager. Sono tutti progetti che magari sono stati scartati da giganti. Ma la qualità dei progetti che mi arrivano è pazzesca. Vedremo cosa partirà. Come casa di produzione, Wonder Room, stiamo rimettendo in vita Bleak Sea, il nuovo titolo sarà Cold Waters. All’epoca il progetto era stato preso dalla Working Title che l’aveva trasformato in una cosa di fantascienza. Ora siamo tornati al progetto originale, ambientato negli anni sessanta, sto riscrivendo la sceneggiatura.

Quindi il tuo prossimo progetto potrebbe essere questo?

Il fatto è che in USA con le agenzie le cose vanno diversamente, ti propongono pacchetti già pronti ed è tutto molto più veloce, mentre nel caso di un progetto fatto da noi ci vorrà inevitabilmente più tempo. Mi avevano contattato per la serie di Dead Rising dicendomi che iniziavano dopo pochissimo settimane, con produzione a Los Angeles ma riprese magari a Boston o New York. Alcune opportunità vale veramente la pena di coglierle.
Il giro dei pitch a Los Angeles è stato praticamente come Entourage, solo che io facevo una vita da monaco: colazione alle 8 del mattino, e c’è già il primo meeting, e l’ultimo era alla fine della giornata. Arrivavo a casa alle 9 di sera e mi preparavo per il giorno dopo. Divertente, ma molto stancante.

 

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Cambiando completamente discorso, il corto è stato girato in digitale?

Sì.

Non so se stai seguendo, ma in questo momento c’è una polemica molto attuale legata al tentativo di salvare la pellicola nella produzione e distribuzione cinematografica da parte di registi come Christopher Nolan, Quentin Tarantino, J.J. Abrams. Cosa ne pensi?

È un discorso che nel nostro caso non ha alcun senso. Sotto i 20 milioni di dollari il problema non si pone nemmeno. Nel mondo dell’indipendenza il discorso è improponibile. I costi della pellicola sono talmente elevati che non si prende nemmeno in considerazione ora. Quando hai 100, 150 milioni di budget spendere 200mila euro per pellicola, servizi e affini è un lusso stilistico che ti puoi permettere. La battaglia che è giusto portare avanti, secondo me, è legata alla professionalità che era legata all’uso della pellicola. Usando la pellicola sei costretto a pensare molto di più e questo il più delle volte si riflette sul modo e la metodologia che usi quando giri. Ho avuto la fortuna di avere come operatore di macchina di The Nostalgist una persona che ha lavorato a Gravity, Gladiator e cose così. Portava con sè quel tipo di cinema, e quello forse si sta un pochettino perdendo. La pellicola ti permette di ragionare di più perché non vuoi buttarne. Adesso si gira con qualsiasi cosa, cortometraggi girati con cellulari… il problema è che negli ultimi anni abbiamo constatato che questo grande processo di democratizzazione del mezzo espressivo non ha fatto salire la qualità, anzi, ma la quantità. La facilità di esecuzione ha portato a un numero enorme di film in più ma non per forza a un gran numero di bei film. Quel tipo di pratica, ovvero gestire la troupe e il progetto in un certo modo, si impara quando si lavora con la pellicola. Io sono cresciuto in una generazione intermedia, sono figlio della transizione: ho iniziato 17 anni fa tagliando la pellicola e montando a mano. Nelle scuole dovrebbe essere ancora utilizzata la pellicola, il montaggio è molto diverso dal montaggio digitale. In questo senso capisco perché stanno portando avanti questa battaglia. Ma per il resto è un discorso da ricchi.

Capisco la fascinazione vintage, ma per poter fruire un film in 35mm allo stato dell’arte devi vedere la prima copia e avere un proiettore spaziale, ben calibrato e con i mascherini montati bene. D’altronde ci stiamo abituando a una certa qualità, quando mi vedo su Netflix una serie in 2K poi tornare al DVD è difficile.
Sul piano stilistico, ovviamente, abbiamo lavorato per rendere The Nostalgist un po’ vintage, nonostante l’avessimo girato con le Red Epic, con una grana particolare aggiunta in postproduzione ma anche girando in digitale con ottiche storiche.

In questo senso, Transformers 4 è un esempio di formati mescolati in maniera poco coerente, si nota molto l’uso di pellicola, IMAX 3D e digitale.

Però hai visto Wolf of Wall Street? Hanno utilizzato pellicola e digitale e non ci si accorge della differenza. La post è stata incredibile, è un atteggiamento completamente diverso nei confronti del mezzo.

 

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A noi si unisce il direttore della fotografia del film, Gareth Munden.

Stavamo giusto parlando della fotografia e del dibattito su questo “ritorno nostalgico alla pellicola”… che peraltro calza a pennello con il titolo del vostro corto, The Nostalgist!

Gareth: Capisco il punto della questione, ma secondo me è sbagliato essere nostalgici per il gusto di essere nostalgici. Che si giri in pellicola, in digitale… con il cellulare… è importante essere pratici e scegliere il formato di conseguenza.

E anche cosa vuoi esprimere con la fotografia del tuo progetto, no?

Gareth: Esatto! Il digitale ti dà moltissima libertà perché ti permette di sperimentare, dove invece la pellicola ha molti limiti a meno che uno non abbia una enorme disponibilità in termini economici. Nella pubblicità è praticamente sparito l’uso della pellicola perché si gira così velocemente che non ha alcun senso avere le limitazioni pratiche della pellicola.

Avete visto L’Amore Bugiardo – Gone Girl? David Fincher ci ha detto in una intervista che grazie al digitale può permettersi di realizzare 5.200 ore di girato e tenere tutto a portata di mano grazie ai dischi rigidi. Una mole simile di pellicola sarebbe impossible da gestire, anche solo per sviluppare e visionare i giornalieri ci metterebbe giorni e giorni.

Gareth: Pazzesco. Deve avere un team di montatori pazzesco. E comunque Fincher è fantastico, il punto è che anche se hai una simile libertà solo uno come lui può girare così tanto ed essere in grado di controllare tutto alla perfezione.
Prima è toccato alla musica e alla fotografia, ora tocca al cinema. È tutto digitale ed è un dato di fatto, noi siamo dove siamo e dobbiamo approfittare di queste opportunità anche sul piano espressivo.

Giacomo: Pensa che per City in the Sky noi abbiamo utilizzato una delle prime Red One a essere acquistate in Italia, era la build 15, aveva solo sei mesi. Stavamo impazzendo, non capivamo come usarla, sembrava complicatissimo.

Gareth: Il rovescio della medaglia è che ora chiunque fa qualsiasi cosa con il cellulare, e questo sta modificando anche l’estetica “condivisa”, quello che noi apprezziamo sul piano visivo. Ero su un autobus, qui a Londra, e c’erano questi ragazzini che continuavano a farsi foto una dopo l’altra, verticali, orizzontali, quadrate, storte… facevano video verticali…

Comunque il digitale per voi è stata la scelta più pratica.

Giacomo: Sì, ma le nostre decisioni sono state artistiche: abbiamo girato in formato anamorfico vero (senza lenti sferiche), abbiamo scelto la Red Epic, rispetto alla Alexa, perché ha una sorta di grana che ricorda la pellicola.

Gareth: Inoltre abbiamo utilizzato delle ottiche tradizionali, addirittura delle ottiche degli anni ottanta, per conferire un gusto quasi anticato (come è giusto che sia, vista la trama). Ecco perché l’aspetto è quello di un film fantascientifico degli anni settanta/ottanta.

(Gareth ci lascia)

Parliamo infine dell’esperienza con Kickstarter, che avete utilizzato per co-finanziare il progetto. Come è andata?

Il discorso è complesso, sicuramente tra pochi anni sarà tutto strutturato in equity. Tu punterai su un progetto e ti prenderai delle percentuale di equity, al momento non può essere fatto per motivi fiscali. A quel punto sarà anche più divertente. In Italia Indiegogo e Kickstarter non stanno andando, anche perchè è un lavoro enorme. E noi stiamo ancora lavorandoci, pur essendo in cinque. Abbiamo raccolto 33mila sterline ed è andata bene.

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Ma era impossibile tirare su una cifra simile in altro modo?

Per un corto era difficilissimo anche perché ci sono delle tempistiche: una volta che lo metti in piedi non possono passare degli anni, e il crowdfunding ti permette di raccogliere tanti soldi in poco tempo velocizzando questo processo. Ma è un livello di stress pazzesco. Il 30% dei finanziamenti da Kickstarter sono “angel”, gente che non conosci e che viene convinta dal pitch. Il rimanente 70% è passaparola e promozione, un lavoro davvero stressante. Poi ci sono le tasse, di cui non parla nessuno: ogni paese ha una gestione diversa. In Italia teoricamente è profitto, anche se è una cosa assurda. Kickstarter dice che si prende un 5%, ma c’è un altro 5% di trattenute se si usa la carta di credito. Aggiungici il 20% di tasse e finisci per avere il 30% in meno. C’è di buono che alla fine l’80% delle donazioni arrivano da persone che, in generale, vogliono solo partecipare all’esperienza e vedere poi il film online quando uscirà, e in questo senso è andata alla grande, sono tutti molto soddisfatti, anche se sulle delivery dei DVD siamo stati lenti perché abbiamo un’ora di contenuti speciali, con dei documentari realizzati da un montatore bravissimo italiano che ha lavorato con Sorrentino.

Ma un corto come questo come viene sfruttato poi?

City in the Sky ha venduto 7-8mila copie. Questo andrà ancora meglio. Inoltre abbiamo chiuso un accordo per distribuire il corto e i contenuti speciali su un nuovo portale che verrà lanciato a breve. Inoltre per quanto mi riguarda questo corto mi serve come biglietto da visita per Hollywood. Puntando a quello, ho deciso di realizzare un piccolo blockbuster e di non metterlo subito online, tanto chi lo deve vedere avrà assolutamente modo di vederlo. Forse se avessi voluto fare qualcosa di più “italiano” avrei puntato su YouTube…

… Ma non è che YouTube paghi più di tanto.

No no lo so, è un incubo, c’è gente che fa milioni di visualizzazioni e tira su comunque poco. Ma è un modo come un altro per mostrare le proprie capacità al mondo e alle persone interessate. Anche perché se poi finisci per fare milioni di visualizzazioni e tiri su un mucchio di soldi. Il punto è mostrare il proprio potenziale, quello che ho riscoperto io è che la via tradizionale funziona ancora bene: partecipare a festival internazionali e cose così. Andare a Giffoni, dove peraltro abbiamo vinto un premio, è stata una esperienza incredibile (soprattutto il contatto con il pubblico, c’erano tantissime ragazze e questo ti fa capire come la fantascienza stia rinascendo anche grazie a loro, lo provano i vari Hunger Games). Ma la vittoria a Giffoni non ha avuto alcun riscontro a livello lavorativo: zero contatti, silenzio stampa. Dopo Palm Springs, invece, ho ricevuto un mucchio di contatti: c’erano le agenzie, persone dell’industria… È un problema che in Italia non si riesce proprio a superare.

The Nostalgist è disponibile, completo di contenuti speciali, su We Are Colony.

 

https://www.youtube.com/watch?v=q7DKUC_8yCg