Stephen King non ha mai amato le mezze misure e non ha mai perso occasione di dire apertamente ciò che pensa.

Una qualità che, in un’epoca di dichiarazioni costruite a tavolino dagli addetti stampa delle celebrità, non può che essere apprezzata. Nella lunga intervista allo scrittore di Bangor pubblicata dal Rolling Stone Magazine pubblicata a ridosso di Halloween e rilasciata in vista dell’imminente arrivo il prossimo 11 novembre della sua ultima opera, Revival, nelle librerie statunitensi, troviamo esternazioni che non mancheranno di mandare in estasi gli estimatori dell’artista.

Che anche in questa occasione ha una “parola buona” per molti: i critici cinematografici, Stanley Kubrick e il suo Shining, il documentario di Rodney Ascher Room 237 e… Ernest Hemingway!

Circa l’autore di Il Vecchio e il Mare:

Amo D.H. Lawrence. E la poesia di James Dickey, Émile Zola, Steinbeck . . . Fitzgerald non troppo. Hemingway per niente. Di base Hemingway fa schifo. Se alla gente piace è fantastico, per carità. Ma se avessi deciso di scrivere in quella maniera, sarebbe stata prosa vuota, priva di vita, non sarei stato io.

Radicale anche la posizione su quei critici che tollerano il cinema di genere, ma non la narrativa di genere:

Per sua stessa natura, si suppone che un film sia un mezzo accessibile a tutti. Siamo onesti: puoi portare un dannato analfabeta a vedere Lo Squalo e riuscirà comunque a capire cosa stia accadendo. Ignoro chi sia l’Harold Bloom della cinematografia, ma se trovate qualcuno del genere e gli dite “fai un paragone fra Lo Squalo e i 400 Colpi di Truffaut” ti riderebbe in faccia e ti direbbe “Dunque, Lo Squalo è un pezzo di becero intrattenimento popolare, mentre I 400 Colpi è cinema”. C’è lo stesso elitarismo.

Parlando dello Shining di Stanley Kubrick, King rivela per l’ennesima volta di non essere un fan del film:

Non ci arrivo. Ma ci sono un sacco di cose che rientrano in questa categoria. E, ovviamente, alle persone piace e non riescono a comprendere perché io lo detesti. Il libro è caldo. Il film è freddo. Il finale del libro è fra le fiamme. Quello del film nel ghiaccio. Nel libro il personaggio di Jack ha un vero e proprio arco narrativo, lo vediamo mentre tenta di essere una brava persona per poi scivolare, piano piano, nella follia. Per quel che mi riguarda, quando ho visto il film, Jack Torrance era pazzo di dalla prima apparizione. Ho dovuto tenere la bocca tappata allo screening dell’epoca. C’era anche Jack Nicholson. Ma dal primo attimo in cui è comparso sullo schermo ho pensato “Conosco questo tizio! E’ quel Jack Nicholson che ho visto in cinque film di motociclisti in cui ha recitato sempre la stessa parte!”. Poi è così misogino: Wendy Torrance è ridotta a uno straccio urlante.

Sul documentario di Rodney Ascher Room 237:

Sì, dunque, mettiamola in questa maniera: ne ho guardato circa metà, ho cominciato a provare una certa impazienza e alla fine ho spento. Non ho mai avuto una grande pazienza verso queste puttanate accademiche.