“Ehi, ciao a tutti, e non guardate sotto la mia gonna eh!” esordisce Joel Edgerton.

“Ricordati di non incrociare le gambe!” gli fa eco Janty Yates, che si appresta a lasciargli il suo posto per la roundtable “en plein air” sulla grande piazza del set di Exodus – Dei e Re.

In effetti il look dell’attore australiano di Kinky Boots, Warrior e Il Grande Gatsby è tanto spiazzante quanto curioso. A coprire il torso un bomberino The North Face – sotto il sole del deserto la temperatura è elevata, ma basta entrare in un qualsiasi cono d’ombra per avvertire un drastico calo – e, sotto il capo d’abbigliamento decisamente moderno, intravediamo il regale costume di scena di Ramses II, con tanto di gonnellino. Le gambe di Edgerton sono nude, eccezion fatta per i gambali dorati dell’armatura.

Guardando negli occhi me e, in rassegna, gli altri colleghi seduti – noi giornalisti siamo posizionati su una scalinata, l’artista su una sedia di fronte a noi posta precisamente davanti al sottoscritto – scherza sulla sua “nudità”:

“Ecco, non so come posizionarmi, bisogna che mi metto un po’ di taglio sennò vedete tutta la mercanzia!”.

E si produce in una comica imitazione della Sharon Stone di Basic Instinct nell’immortale scena dell’interrogatorio.

Ma proposito di un altro genere di tagli, il mio sguardo viene catturato dalle sue mani. Non tanto dall’evidente dimensioni delle stesse – paiono appartenere a un “working class hero”, a qualcuno più avvezzo a lavori di carattere fisico che artistico – ma dalla galassia di graffi e ferite presenti, segnali evidenti della “concretezza”, della “corporeità” di una pellicola come Exodus – Dei e Re.

Cosa hai girato oggi sul set?

Oggi abbiamo girato le scene in cui lasciamo il palazzo per andare in battaglia. La battaglia, quella di Kadesh, l’abbiamo lavorata la settimana scorsa. Avviene molto presto nel film e vede gli egiziani contrapposti agli ittiti. Abbiamo girato la partenza e il ritorno al palazzo. Dovreste avermi visto prima insieme a Christian sulla biga. Che è una cosa abbastanza bizzarra da fare, ma stiamo lavorando con lo stesso addestratore spagnolo con cui ho già collaborato ai tempi di King Arthur. Qua ad Almeria stiamo realizzando, logicamente, le parti ambientate negli esterni. A Pinewood abbiamo fatto quelle che, in linea di massima, costituiscono l’ossatura più prettamente drammatica del film, accadimenti che riguardano le dinamiche di palazzo. Qua è tutto più “logistico” e, ovviamente, anche nelle riprese all’aperto ci sono elementi di “drama”.

Abbiamo sentito una storia che coinvolge te e un serpente…

Si, è vero. E’ accaduto proprio il primo giorno di riprese in cui avevo un serpente, un pitone intorno al collo. Ci sono stati dei leggeri disguidi. E’ tutto alquanto divertente a dire il vero: uno dei rettili più piccoli mi ha morso, ma non ha centrato il suo obbiettivo.

Diamine, bisogna stare attenti a parlare di incidenti con un gruppo di giornalisti adesso che ci penso, che poi magari chissà cosa scrivete (ride, ndr.)! Non è successo nulla di grave (le risate si diffondono fra tutti, ndr.!).

Quindi non dobbiamo scrivere che sei stato divorato da un serpente!

Eh no, che già mi è capitato di leggere che sono stato “assaggiato” da un pitone e da una vipera e sono stato ricoverato in ospedale! Non c’è niente di vero in tutto ciò. Sono animali splendidi e mi sono anche divertito a dover lavorare con queste creature in alcune scene. Certo, posso dire che cominciare a recitare in Exodus dovendo girare, come prima cosa, una scena con Christian Bale e un pitone intorno al collo è stata un’esperienza surreale. E spassosa. Ma sono cresciuto in mezzo ai rettili e ai serpenti (ricordiamo che Edgerton è australiano, ndr.) per cui mi trovo a mio agio. E grazie al cielo, non si trattava di un serpente velenoso.ex5

O per lo meno così ti hanno detto…

…E’ quello che mi hanno detto, sì…

E parlando del tuo costume, ti trovi bene con questo gonnellino?

Sì, certo (e mostra con orgoglio le gambe, ndr.)! Mi avevano offerto la possibilità d’indossare i miei jeans in alcune scene, ma ho pensato che per la credibilità del tutto, fosse meglio continuare a portare il gonnellino. Proprio l’altro giorno qualcuno mi ha fatto ricordare che quando ho finito l’accademia d’arte drammatica, l’ultimo spettacolo cui presi parte – che è diventato anche il motivo per cui ora ho un agente, per cui ho lasciato il teatro e ora mi trovo qua a parlare con tutti voi – ecco, in quell’ultima produzione ho indossato un abito femminile rosso. E recitavo nei panni di un uomo vestito come una donna. Ed ora eccomi qua. A recitare in un film di Ridley Scott. E vi assicuro che quella che ho addosso adesso è la gonna più “conservatrice” di tutte quelle che porto nel lungometraggio (risate diffuse, ndr.)! Mi metto un sacco di gonnellini! Eppure non avrei mai pensato di dover portare un indumento del genere continuando a sentirmi estremamente mascolino.

Parlando del tuo personaggio, Ramses II, hai trovato delle difficoltà nell’interpretarlo?

Penso che le difficoltà insite nel dover impersonare un personaggio che, di fatto, è il cattivo del film, il villain, sia l’assicurasi che il lungometraggio, la sceneggiatura contribuiscano a far percepire comunque il lato umano. La cosa non facile è riempire quei vuoti che si trovano fra le necessità date dal dover seguire lo schema della pellicola, le qualità archetipiche del personaggio e le sue motivazioni psicologiche. Sono quegli interstizi in mezzo a tutti questi elementi che rendono un personaggio interessante. Che contribuiscono al far afferrare le sue motivazioni da parte degli spettatori. Questo è complicato.

Le bighe e i morsi di serpente, quelli sono i lati divertenti del girare un film come questo.

Abbiamo visto mentre giravi la scena con Christian Bale e vedervi uno di fianco all’altro è stata davvero un’esperienza notevole per noi. Ma cosa puoi dirci tu del lavorare insieme a un attore come Christian?

Finora è stato fantastico. E’ sempre un’esperienza avere la facoltà di lavorare insieme a colleghi che ammiri, che apprezzi. E Christian è grandioso sotto diversi punti di vista. Riesce a prendere parte a questi blockbuster enormi come Batman e a opere più piccole, quasi indipendenti. Compreso tutto quello che si trova nel mezzo di questi estremi. Poi è un camaleonte. In quest’ultimo mese ho avuto modo di vedere il trailer dei suo ultimi film, Out of the Furnace e American Hustle (ricordiamo che al tempo della set visit i titoli citati non erano ancora uscuti, ndr.), e, ancora una volta, ha dato vita a personaggi così differenti fra loro, anche dal punto di vista estetico. Specialmente la pellicola di O’Russell, è l’ennesima dimostrazione della sua abilità di trasformarsi completamente.

E’ sempre un piacere lavorare con artisti del genere. Poi è realmente un bravo ragazzo. Si dedica completamente al lavoro che sta portando avanti. Ma è anche una persona piacevole con cui passare dei momenti rilassanti fra le pause di lavorazione o fuori dal set.

Vi capita di discutere fra le scene di come andare ad affrontare quella che girerete dopo?

No, di solito cerchiamo di farci quattro risate, di fare battute su quello che succede intorno a noi sul set. C’è un tempo in cui devi essere serio e rigoroso quando si tratta di lavorare, ma c’è anche il tempo da dedicare al divertimento, al cercare di rilassarsi un po’. Sai, d’altronde è anche un passaggio tipico di quando delle persone fanno la stessa professione. Io sono un dottore, tu sei un dottore, magari viviamo nello stesso paese, magari non so che percorso hai affrontato per diventarlo e perché hai scelto d’intraprendere questo mestiere, ma resta il fatto che c’è automaticamente la comprensione reciproca e di quello che si fa per vivere. Fra attori è lo stesso. Magari non sai come un collega sia finito a esercitare la professione – c’è quello che ha studiato anni all’accademia e c’è quello che è stato scoperto per caso mentre faceva la spesa al supermercato – e non è detto che si parli dell’approccio che ciascuno di noi ha verso il personaggio che interpreta, perché non sai, magari, se la cosa possa in qualche modo infastidire. Ma chiaramente fra colleghi ci si osserva e puoi giungere a delle conclusioni da solo. Personalmente, trovo curioso il fatto che non ci sia fra attori questa “condivisione” parlando in termini di ciò che si fa per prendere possesso di un personaggio.

Alcuni di noi sono noti perché effettuano un quantitativo impressionante di “compiti a casa”, un sacco di “deep thinking” e immersione totale nel ruolo, mentre altri non hanno la più pallida idea di quello che devono fare e, nonostante ciò, scappano fuori delle interpretazioni di tutto rispetto. Questo perché non c’è un metodo che sia necessariamente migliore dell’altro. E’ la parte strana dell’essere attori. Quello che ci porta a vestire in modo credibile i panni di un dottore anche se non abbiamo mai aperto un libro d’anatomia e non abbiamo mai messo piede in un’ Università di Medicina.

Beh, qual è il tuo processo allora?

Non ne parlo con gli altri attori o con i giornalisti (risate diffuse, ndr.)! No, scherzi a parte, non ne voglio parlare in maniera dettagliata perché, fondamentalmente, il fulcro del tutto ruota attorno al concetto che penso di essere io la prima persona che, ancora, non ha ben afferrato come tutto ciò funzioni a volte. Penso che sia un processo in continua evoluzione. Quindi quello che potevo credere cinque anni fa in materia di recitazione è di sicuro differente da quello che mi passa per la testa oggi, seduto qua con voi. Che, di sicuro, è più elaborato di quanto non fosse in precedenza.

Cosa puoi dirci del tono del film? Il tema alla base è molto serio, ma ci sono comunque momenti più leggeri?

Lo definirei come I Dieci Comandamenti che incontra Brian di Nazareth (e qua, inevitabilmente, ha origine un tripudio d’ilarità, ndr.)! Cioè guardatevi: in questo preciso momento mi sembrate il Fronte Popolare della Giudea interpretato da Monthy Python! No, vabbè, buttate lo sguardo intorno a voi, è tutto gigantesco, enorme, c’è questa sensazione palpabile di epicità e grandiosità che è quello che ci aspettiamo da un film di Ridley Scott che, oltretutto, tratta una storia come questa. Poi mi sento come se il bambino di dieci anni che sta dentro di me stia tentando di capire e mettere insieme questi fatti biblici, un uomo che ha separato le acque del Mar Rosso, le piaghe d’Egitto. E’ materiale religioso, ma l’ho anche inteso come una specie di storia fantastica. Ridley e Steve Zaillian, che ha scritto la sceneggiatura, hanno infuso un senso di realtà alla storia, aggiungendo un senso di plausibilità, mantenendo tutta l’atmosfera di magia, mistero. Parlando da attore, posso dire che si tratta comunque di materiale drammatico, emozionale. Giudicarlo da fuori è difficile mi rendo conto, ma per me che ci sono dentro al 100% è così. Quello che non capisco però è… perché Christian lo stia recitando come se fosse una commedia! E’ convinto di essere in una slapstick comedy (e naturalmente tutta la compagnia esplode in una fragorosa risata, ndr.)! Cioè mi fido di quello che sta facendo perché è uno dei migliori attori sulla piazza, però non lo capisco proprio!

Stare su un set del genere, gigantesco, massivo, ti porta a voler dare alla tua performance un’impronta altrettanto imponente?

E’ un’ottima domanda. Già col Grande Gatsby ho avuto l’impressione che lavorare con un regista come Buz Luhrmann, che si muove così a proprio agio in queste dinamiche di messa in scena spettacolare, abbia delle ripercussioni sul modo in cui imposti la tua performance di attore, tuttavia non mi spingerei così lontano da dire che la natura e le dimensioni dell’architettura dei set vadano a influenzare quello che fai in quanto attore. A volte può essere semplicemente il contrario, altre cambia da scena a scena, e certe volte mi capita di andare a casa la sera e pensare “Oh cielo, avrò esagerato in senso positivo o negativo?”. Si collega a quello di cui parlavo prima: anche se sono un attore non ho tutte le risposte circa questa professione perché si tratta di un processo in continua evoluzione. Motivo per cui sono fermamente convinto che il self monitoring non funzioni per noi attori o, quantomeno, per me: tentare di giudicare dall’esterno qualcosa che nasce dal profondo è impossibile. Ma non penso che la scala dell’interpretazione debba incrementare in relazione all’habitat in cui reciti. E’ però vero che il mio personaggio ha dei momenti molto “sciovinisti” in tal senso nel corso della vicenda; dovreste aver intravisto una copia della mia testa alta quindici metri ed è una cosa che al mio ego d’attore serve parecchio (risate, ndr.), ma ne ha anche altri molto intimi; si tratta di aggiustare i toni secondo le necessità di quello che devi interpretare scena dopo scena.

Che tipo di accento fai nel film?

ex3Penso converremo tutti sul fatto che in quel tempo, in quella zona, si parlava una lingua che non era di certo l’inglese. Ma nell’interpretare Ramses II ho evitato di fare come quegli attori che recitano Cechov in inglese mettendosi a fare un accento russo. Per me non ha senso, quindi ho cercato di mantenere un tono il più possibile neutrale. Ho proprio evitato di mantenere la mia cadenza naturale perché l’accento australiano è molto forte e sarebbe risultato troppo moderno e inopportuno. Così come quello americano. Anche qua, mi ritrovo a recitare con Christian che, invece, fa questo buffo accento del Nord che non c’entra nulla (risate, di nuovo, ndr.)! Ma è uno dei migliori lui e sa quello che fa!

Come ti sei sentito a dover recitare con tutto questo make-up, i costumi appariscenti…

E’ stato strano, ma più che altro a essere bizzarro è stato il vedere tutti i vari componenti fuori posto, come elementi separati. Non sapevo come tutto questo sarebbe riuscito a rendere efficace il mio personaggio. Sapete, quando ero un attore alle prime armi pensavo di poter interpretare qualsiasi personaggio e mi arrabbiavo se non ottenevo una parte, perché mi trovavo in quello specifico stato mentale, in cui magari non ero abbastanza upper class, non ero questo non ero quest’altro… Poi quando ho cominciato a stare dietro la macchina da presa, scrivendo storie e occupandomi del cast, ho cominciato a capire che talvolta la macchina da presa ti vede perfettamente come il personaggio che devi interpretare, mentre, altre volte, non afferra determinate qualità. Per cui ho smesso di prendermela se, magari, non finivo a recitare certi ruoli. Crescendo, ho ottenuto la consapevolezza che, molto spesso, l’attore più indicato per una parte non è necessariamente quello più bravo sulla piazza. E ho capito un’altra cosa importantissima per la mia professione: evitare d’interpretare ruoli sbagliati solo perché, magari, un regista ti vuole perché il tuo nome può aggiungere pregio a una pellicola. Ho sempre voluto lavorare con Ridley e quando ho ricevuto la proposta mi sono domandato “ma sono davvero io la persona più adatta per questa parte?”. E mi ero posto questo interrogativo a tutto tondo: ero adatto culturalmente, a livello di energia, di presenza. Avevo bisogno di vedere tutti i pezzi messi insieme per essere sicuro. Perché se non lo fossi stato, l’intero film non avrebbe funzionato, perché mi sarei sentito fuori posto. Mi avevano mostrato il make-up, il costume, ma avevo realmente la necessità di una visione d’insieme. Ho telefonato a Ridley, che si trovava in Spagna, gli ho detto “Ho bisogno di rasarmi la testa, di vedermi nei panni di Ramses”. E’ stato Ridley a mettermi per la prima volta l’eyeliner! Poi mi sono sottoposto a una sessione di make-up, ho indossato l’abito e tutto ha cominciato ad assumere dei contorni definiti. Mi sono sentito più sicuro. Poi sono stato a cena con lui, un regista che ha diretto film come Blade Runner, Alien, Il Gladiatore, e gli ho detto “Sono pronto!”.

Avete parlato molto del personaggio?

Si, molto. Per me la psicologia di Ramses, che è il motore di un personaggio come questo, è stato il fattore che, analizzando la cosa dal di fuori, mi ha permesso di entrare in intimità con lui. Ridley, Christian, Sigourney e io abbiamo discusso un sacco, abbiamo trascorso almeno tre settimane a Londra, parlando del film, dei personaggi. Poi Ridley ha questa incredibile abilità visiva, se non riesce a farti capire a parole quello che vuole per un personaggio esordisce con un “Passami una penna” e butta su carta un’immagine di quello che ha dentro la testa. Disegni fantastici peraltro. Per cui tutta la parte di preparazione preliminare è stata fatta principalmente tramite conversazioni: a volte provavamo, se avevamo il set disponibile, per cui quando abbiamo iniziato a girare è andato tutto piuttosto spedito perché avevamo già intavolato tutto. Ridley è rapidissimo, sa quali sono i pezzi che gli interessano, sa dove vuole posizionarli… Credo che nella sua testa abbia già un montaggio del film, ragiona in termini visuali. Non è uno di quei registi che arriva sul set e gira chilometri di pellicola. Sa già esattamente cosa vuole ottenere. Non c’è spreco di tempo.

C’è una qualche somiglianza fra Ridley Scott e Baz Luhrmann? Parlo naturalmente del loro “visual thinking” cinematografico…

Si. Sono molto simili. Tanto per cominciare entrambi pensano in grande, molto in grande. Hanno la piena comprensione del fatto che il cinema è un medium visivo e, quindi, riescono a sfruttare a loro vantaggio la cosa. Riescono a massimizzare meglio di altri. Poi sono entrambi estremamemente collaborativi, riescono davvero a farsi amare dalle persone che lavorano con loro. Tanto Baz quanto Ridley, che forse riesce a farlo in misura anche maggiore, comprendono la differente natura dei vari ruoli che ciascuno ha su un set cinematografico. Con Ridley hai anche la sensazione che potrebbe lui stesso fare il lavoro di chiunque. E Ridley si muove anche più veloce di Baz, ma entrambi sognano davvero in grande.

Qual è la scena preferita fra quelle che hai girato finora?

Ne amo davvero parecchie. Più che altro ci sono delle scene che t’intimoriscono parecchio per la loro portata drammatica nel film e la consapevolezza che devono essere perfettamente credibili per non pregiudicare la riuscita finale. Come nell’intenso passaggio in cui Sigourney, io e Christian affrontiamo il momento in cui scopriamo che Mosé è ebreo. E’ stata una scena difficilissima, ma credo sia venuta molto bene, o almeno lo spero. E’ stata complicatissima, ma la amo particolarmente. Poi c’è la questione “animali sul set”: sapete Ridley non è uno che ama semplificare le cose. Quindi ti capita di leggere la scena cui devi lavorare, descritta come “I generali parlano della battaglia”. Solo che poi, in realtà, dietro il mio trono ci sono un’aquila e un ghepardo. Ci sono sempre delle “bestiole” in giro. Ci sono orsi dappertutto. Cammelli. Ora come ora sono convinto che domani, quando mi presenterò sul set, troverò anche delle giraffe. “C’è una giraffa sul call sheet di domani? Ah, no, ci sono trecento, quattrocento adorabili rane!”. E’ curioso ritrovarsi a avere “materialmente” a che fare con le piaghe d’Egitto, una storia che tutti abbiamo conosciuto nel corso della nostra vita, principalmente nell’infanzia. Sapete, da piccolo quando le studiavo per la comunione le leggevo con estrema attenzione perché sapevo di essere “supervisionato dall’alto”. Ora mi trovo all’interno di quel contesto e mi trovo a viverlo da persona oggi non religiosa, quindi posso assaporare la grandezza della vicenda, il lavorare con questi meravigliosi professionisti in questo set imponente in maniera differente, ma le persone di fede che vedranno il film subiranno anch’esse inevitabilmente i fascino della messa in scena di Ridley, si genereranno discussioni, ricordi riaffioreranno alla memoria.

Exodus: Dei e Re sarà nei cinema statunitensi il 12 dicembre 2014. In Italia arriverà il 15 gennaio. Nel cast: Christian Bale, Ben Kingsley, Joel Edgeron, Sigourney Weaver e Aaron Paul.

 

BadTaste.it visita il set di Exodus: Dei e Re in esclusiva italiana.

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