In occasione dell’approdo di Birdman (o Le Imprevedibili Virtù dell’Ignoranza) sugli scaffali italiani in Blu-ray e DVD a partire da domani, oggi vi proponiamo una lunga intervista esclusiva al regista e sceneggiatore Alejandro González Iñárritu.

birdman

Con Birdman ti sei avventurato in un modo interamente nuovo di raccontare una storia. Eri spaventato all’idea che non potesse funzionare?

Ammetto che ero annoiato. Ero stanco di dramma e del picante messicano – troppo peperoncino – e io avevo bisogno del dolce. Per la prima volta in vita mia mi sono ritrovato a ridere sul set, proprio come un bambino. Ho scoperto, forse troppo tardi, che quello che faccio può essere anche divertente. Allo stesso tempo avevo bisogno di esplorare alcuni dei temi che più mi interessavano personalmente. Trovo questo film più come una esplorazione dell’ego e sì, volevo esplorare un nuovo modo di raccontare una storia. La mia intenzione è sempre stata quella di girare film dal punto di vista del protagonista che mi mettesse a dura prova, che mi facesse uscire dalla mia comfort zone: volevo fare un esperimento.

La regia è intricatissima, il film sembra un unico piano sequenza. Perché?

L’idea è sempre stata quella. L’aspetto tecnico è stata l’ultima cosa da studiare, ma il film è stato concepito in questo modo. Il rischio di fallire era alto, ma la cosa più importante era la storia. È un po’ come se decidi di scrivere qualcosa senza punti o virgole. È difficilissimo mantenere il flusso e il ritmo, capire dove poter mettere il punto a un’idea e iniziare con un’altra. Quella è stata la vera sfida. Poi c’è bisogno di mettere a terra del nastro adesivo per indicare il movimento dei personaggi, quanti esatti passi, quante parole – dare il ritmo a ogni cosa. La grammatica del film è basata sulla frammentazione del tempo e dello spazio, perché in caso contrario non hai nulla da manipolare o plasmare. Nei miei film ho sempre creato ritmo e spazi con la giustapposizione, ma ora non ne avevo la possibilità. È come comporre una canzone e suonarla dal vivo in uno stadio per vedere se funziona. La suoni e poi pensi: ‘Orrenda, rifacciamola’. Su un mucchio di cose non ero preparato, quindi c’è stata molta ricerca della mise en scene di una sequenza. Chi deve parlare? Chi lo inquadra? Qual è il punto di vista? E qual è la cosa più importante? Che legame ha? E la transizione? Il processo è stato molto meticoloso.

Era importante per te non approcciarti ai personaggi con superiorità?

Ci tenevo tanto che non succedesse, ci ho sempre sperato. Non volevo mostrare questo personaggio dal mio punto di vista, che può risultare piuttosto cinico. È l’ironia dei nostri tempi, e a me non piace perchè sa di superficiale. Volevo esplorare la storia da una prospettiva fatta di ‘Cosa prova, cosa sente, cosa vede?’. Senza prendere posizione, ma comprendendo le sue scelte. Ecco perchè ho scelto di girarlo in questo modo – per permettere al pubblico di vivere attraverso il suo labirinto e la sua claustrofobia.

Avete fatto molte prove prima delle riprese?

Sì, io ho cominciato prestissimo. Non puoi girare un film del genere senza prima un enorme studio fatto di comprensione, apprendimento e progettazione. Ogni singolo elemento è stato concepito così fin dall’inizio.

Perché ambientarlo a Broadway?

Per me i temi principali erano l’esplorazione dell’ego e le paure di un attore. Mi piace l’idea che per alcuni attori Broadway sia un modo per mettersi alla prova e diventare grandi attori. C’è sempre questa battagli tra celebrità, talento e popolarità. Credevo che potesse essere il luogo perfetto per la mia esplorazione.

Quanti stacchi ci sono davvero nel film?

Nessuno [ride]. Non voglio dirlo perché un mago non svela mai I suoi trucchi.

In qualità di persona creativa, cos’è che tiene a bada il tuo ego?

Ci rifletto spesso e credo che l’ego sia come una cometa – al mattino sfrecci nell’aria, e poi finisci come una medusa stecchita. È un po’ come quando qualunque cosa tu faccia non ti sembra mai abbastanza mentre il tuo ego ti continua a dire che sei uno in gamba. La paura è così potente. Oggi con i ragazzini e i social network l’ego regna sovrano, è tutto un “io io io io”. Eppure la cosa mi affascina.

Quand’è l’ultima volta che ti sei sentito una medusa stecchita?

[Ride] Due ore fa, perché non riuscivo a scrivere e articolare una cosa come volevo. A volte mi succede che penso: “Fantastico”, dieci minuti dopo: “Che schifo”.

Credi che la scena in cui Michael Keaton (nei panni di Riggan Thomson) cammini per Times Square in mutande sia una metafora della fragilità maschile?

Quella scena è merito di Michael. Girare praticamente nudo per Times Square non è facile, ha camminato nudo fisicamente e emotivamente, ed è stato splendido. Era in mezzo a persone vere. Ricordo di aver inviato a tutti gli attori un’immagine ritraente Philippe Petit su un cavo tra le Torri Gemelle per dire loro: ‘Questa esperienza vi spaventerà’. Se mi chiedeste qual è il film che mi è più piaciuto girare vi direi questo.

Avresti scritturato Michael Keaton come protagonista se non avesse interpretato Batman?

Sì, mi sa di sì. C’era qualcosa che adoravo in Michael oltre a quel legame, oltre al fatto di aver indossato un mantello con l’autorità che lo caratterizza. È stato il primo a creare un franchise di risonanza globale, ma è anche uno dei pochi attori capaci di recitare dramma e commedia allo stesso tempo e risultare adorabile, anche quando interpreta un coglione.

Hai paura quando giri film?

Credo che a una certa età se non sei spaventato da quello che fai è meglio lasciar perdere. Ho appena compiuto 50 anni e ho bisogno di essere più che terrificato. Ho imparato molte cose girando Birdman e una di queste è che adoro fare cose inedite. Ho avuto la stessa sensazione con Amores perros e poi con Birdman mi sono riunito con la splendida paura del fallimento. Ti fa sentire vivo, ti carica della giusta dose di consapevolezza che devi avere sul set. Non avendo lo strumento del montaggio c’era bisogno di tanta concentrazione. È come quando mediti, devi esserci; è una sensazione esilarante. Dopo giorni e giorni di prove ricordo di aver girato una sequenza che ci ha reso euforici come una partita di calcio. È stato un “wow” perchè è successo tutto davvero.

Parli spesso con i tuoi amici messicani Guillermo del Toro e Alfonso Cuaron?

Assolutamente. Ci mandiamo gli script, i primi montaggi e poi progettiamo come ucciderci [ride]. La loro opinione conta molto per me, commenti sullo script e quant’altro.

Hai parlato di avere paura, eppure gli attori pretendono che i registi sappiano esattamente cosa stanno facendo. Come si risolve la questione?

Basta mentire e fare finta che sai ciò che dovresti sapere. A volte improvvisi, poi fallisci e dici: “Ca**o”. E poi te ne esci con: “Michael, ti avevo detto che era blu” e lui risponde: “No, mi avevi detto che era grigio”.

A che punto hai trovato il ritmo jazz del film?

Molto presto. Non immaginavo di poter trovare qualcosa per scandire il ritmo, e quei tamburi erano esattamente ciò di cui avevo bisogno per l’atmosfera, il tono e la componente jazz. Ho subito pensato ad Antonio Sanchez, perché ne sono un grande fan. Siamo andati in sala di registrazione una settimana prima delle riprese a New York e lui mi ha proposto un migliaio di cose. Suggerivo tutto ciò che volevo e lui mi proponeva cose incredibili. Mi ha guidato tanto. E già mi era venuta l’idea di inserire il batterista nel film come meta dialogo. Mi piaceva l’idea che il film si tramutasse in una rappresentazione teatrale della vita di quest’uomo senza che lui lo sappia.

Come ti sei sentito quando hai finito il film? 

Felice. Spero che la gente non noti che non si trattava di una sola inquadratura. Durante le riprese ero tentato di osare un po’, ma alla fine ho deciso di mettere I piedi per terra e rendere tutto semplice e modesto. Voglio che la gente avverta l’esperianza senza razionalizzare. Voglio che si rendano conto che è un film diverso dai soliti a cui siamo abituati. I registi fanno affidamento sul linguaggio e I colori, che trovo una mossa molto pigra. In passato ho fatto così tanto affidamento sul montaggio che alla fine ho deciso di poterne fare a meno.

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Diretto da Alejandro González IñárrituBirdman (o Le Imprevedibili Virtù dell’Ignoranza) è uscito nelle sale italiane il 5 febbraio 2015.

TRAMA – Birdman (o Le Imprevedibili Virtù dell’Ignoranza) è una black comedy ambientata a New York che racconta la storia di un attore in declino (Michael Keaton) – famoso per aver in passato interpretato un mitico supereroe – alle prese con le difficoltà e gli imprevisti della messa in scena di uno spettacolo a Broadway che dovrebbe rilanciarne il successo. Nei giorni che precedono la sera della prima, deve fare i conti con un ego irriducibile e gli sforzi per salvare la sua famiglia, la carriera e se stesso. Adattato da un racconto di Raymond Carver.

Del cast fanno parte Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton e Naomi Watts.