In occasione della presentazione della versione restaurata di Un Lupo Mannaro Americano a Londra nelle sezione Venezia Classici alla 73esima edizione del Festival di Venezia, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il grande John Landis.

Potete vedere la videointervista di Francesco Alò qui sotto, seguita dal nostro transcript. Nell’immagine di copertina, invece, l’incontro tra Landis, Alò e il regista Gabriele Mainetti.

 

 

See you next wednesday BadTaste.it, sono qui con il mio regista preferito, come sapete, visto che lo ripeto sempre ed è tutta colpa di questo signore se sono diventato un orribile critico cinematografico. Ci siamo incontrati a Rimini per la prima volta nel 1997 con il grande Alberto Farina, il quale è forse il maggior esperto italiano di John Landis grazie a una bellissima monografia su questo signore. Quindi John Landis… sono molto onorato John.
Landis: Grazie

Siamo qui con John non solo per ringraziarlo per tutti i film che ci ha fatto vedere ma per parlare di quello che forse è il mio film preferito del mio regista preferito ovvero Un Lupo Mannaro Americano A Londra. John, prima domanda: qual è il posto che Un Lupo Mannaro Americano a Londra occupa nella tua testa e nel tuo cuore oggi nel 2016?
Landis: Qui…

E che cosa vuol dire?
Non ne ho la più pallida idea. Sono affezionato al film e mi sono divertito un mondo a realizzarlo. Lo scrissi quando avevo 18 anni ma non riuscii a farlo fino a che non arrivai a… quanti anni avevo quando l’ho fatto?

31…
30… sì. Ho bellissimi ricordi, il film continua a essere visto, fu un’esperienza entusiasmante e gli sono ancora molto affezionato.

Parliamo delle difficoltà. Tu eri in un momento magico in quel periodo e lo sai bene perché a tua volta sei uno storico del cinema, conosci benissimo la carriera di tanti registi e sai quanto è importante il tempismo nella carriera di un cineasta. Tu stavi vincendo tutte le battaglie che stavi combattendo in quel momento…
Non tutte!

Però… dai… Ridere Per Ridere (1977), Animal House (1978), The Blues Brothers (1980). Perché allora qualcuno ti disse: “Forse questo film è difficile. Non è un horror, non è una commedia”. Raccontaci delle difficoltà maggiori che incontrasti…
L’ho scritto nel 1969 e comunque ottenni dei lavori come sceneggiatore grazie a quel copione e alle persone che si erano divertite leggendolo. Era insolito perché chi lo leggeva aveva solo due reazioni. Dicevano: “È troppo pauroso per essere divertente” oppure: “È troppo divertente per essere pauroso”. Non penso che sia una commedia. Volevo essere divertente e l’idea era quella di essere divertente. Ma l’umorismo doveva servire a rendere il film più reale e spaventoso.

Tu hai sempre detto che a Hollywood un regista viene considerato solo in base al suo ultimo film…
Sì. Ma non è solo a Hollywood. Mark Twain disse nel momento del ritiro di un premio accademico a Oxford: “In Europa un artista è considerato per la sua ultima opera”. No… aspetta. Ho sbagliato. Disse: “In Europa un artista è considerato per la sua opera più importante. In America è considerato per la sua ultima opera”. Per quanto riguarda l’industria cinematografica, l’abilità di un filmmaker di trovare finanziamenti è basata interamente sul box office. Se ottieni un successo, è più facile riuscire a produrre il film successivo. Forse ora non è più vero nemmeno questo… ma un tempo era così. Se fai tanti film che fanno tanti soldi, hai poi il potere di farne ancora di più film. Ma non è più vero.

Appunto. In quel momento storico quando tu volevi fare Un Lupo Mannaro Americano A Londra…
Avevo fatto tre film di grande successo commerciale e avevo grande potere.

Ma comunque ti dissero di no…
Tutti mi dissero di no tranne una casa di produzione olandese di nome Polygram. Con loro ho siglato un accordo chiamato “negative pickup”, altra cosa che oggi non si fa più ed è un peccato.

Spiegacelo…
Fai un accordo stilando un contratto dove tu dai a loro un film finito basato su una sceneggiatura stabilita, e non modificata, dove si è deciso il colore, il rating e tutta una serie di requisiti. Quando tu consegni il film finito come concordato precedentemente… loro ti danno una somma di denaro precedentemente stabilita. Nei Blues Brothers… no scusami… in Un Lupo Mannaro Americano A Londra la cifra era circa 10 milioni di dollari. Ci mettemmo d’accordo e siglai questo tipo di contratto. A quel punto avevo bisogno di una banca che mi finanziasse. Visto che il film era inglese, andai in una banca inglese e chiesi un prestito dando specifiche garanzie. In questo modo feci il film come volevo io e in piena libertà. Una volta finito il film puoi tornare dai produttori e dire: “Ecco il film” e loro ti danno 10 milioni di dollari. Fu un modo fantastico di produrre il film perché ero in pieno controllo e di fronte a ogni possibile problema avrei potuto risolverlo in prima persona perché il film inizialmente lo finanziai di tasca mia.

Certo perché la Lycanthrope Limited accreditata all’inizio del film…
Era la mia casa produzione.

E la creasti apposta per fare il film. John… il fattore inglese del film fu sempre presente nella sceneggiatura? Perché il film è in questo molto simile a Un Pesce Di Nome Wanda…
Quello è un gran film.

Sì. Anche quello è un film sugli americani e gli inglesi. Mi riferisco alla scena tra David e il bobby a Piccadilly Circus. David, abituato ai poliziotti americani brutali modello Kent State citati da te nel Niedermeyer di Animal House, è scandalizzato dal fatto che quel poliziotto inglese è così calmo…
Non è tanto scandalizzato quanto frustrato.

Perché vuole essere arrestato…
Esatto.

E poi la scena sociale alla Ken Loach nel supermercato quando David fa domande economiche ad Alex -la splendida Jenny Agutter- circa il suo reddito e le sue possibilità finanziarie. Sembra un film di Ken Loach dentro un horror che è anche una commedia ed è il motivo per cui adoriamo Un Lupo Mannaro Americano A Londra. Tutte queste piccole cose riguardo l’America contrapposta all’Inghilterra… perché?
Perché lui è un americano in Inghilterra. Ecco perché. È la natura della storia. C’è anche l’archetipo dello straniero in una terra straniera come Un Americano Alla Corte Di Re Artù. È una formula.

Mark Twain è uno scrittore che tu ami…
È il mio eroe, sì.

È il tuo eroe ed è citato in Un Lupo Mannaro in un momento bellissimo. Quindi questo rapporto con l’Inghilterra è qualcosa di importante per voi americani…
Non so… la storia si svolge a Londra in parte per ragioni economiche e in parte anche perché Londra è la capitale dell’horror gotico. È la città in cui hanno lavorato e vissuto Mary Shelley, Bram Stoker, H. G. Wells, Robert Louis Stevenson, Sherlock Holmes. Dracula decide di andare a Londra. È sempre stato così. L’horror gotico proviene da Londra.

Il tuo ricordo preferito della lavorazione del film?
Non mi ricordo… ho amato tutto il periodo delle riprese. A volte giri in location dove non sono mai stati fatti film come per quanto riguarda la scena molto complicata e divertente a Piccadilly Circus. C’è un momento del film in cui il mostro esce fuori dal cinema sfondando la serranda mentre il detective dice: “Cosa diavolo sta succedendo qui?”. Il mostro sfonda la serranda, salta fuori e gli stacca la testa con un morso. La troupe era inglese e quello fu l’unico momento in cui ebbi problemi di comunicazione. Non avevamo molto tempo a Piccadilly per cui io dissi sul set: “Ok. la camera deve essere posizionata con un dutch angle sul cofano (hood) di questa macchina dove rotolerà la testa”. Tutti mi guardarono chiedendomi: “Cosa?”. Ripetei la frase e loro: “Cosa?”. E io urlando… il cofano (hood) qui! E loro: “Ah… intendevi il cofano (bonnet; sinonimo di hood utilizzato in Uk) Perché non l’hai detto subito?”. Quel momento lo ricordo come molto bizzarro. E poi mi ricordo sempre della scena a Piccadilly Circus che non potevamo fermare il traffico per più di 4 minuti. Lo facemmo due volte. Una volta la testa mozzata del detective finì in mezzo alla strada e io dovetti correre tra le macchine fermando i taxi per recuperare la mia testa mozzata: “Ok, grazie. Adesso potete continuare a guidare!”. Quello fu divertente. Faceva molto freddo.

E questo signore qui fu così pazzo in quella scena da fare uno stunt…
Ma io nasco come stuntman! Ho fatto centinaia di stunt nella mia vita.

Lo so. Ho parlato con vecchi registi italiani che realizzavano spaghetti western in Spagna i quali si ricordano di un giovane John Landis…
Ho incontrato Franco Nero a Los Angeles il mese scorso, lui mi guarda e fa: “Ah!”. Mi riconosce perché mi aveva ucciso tante volte in quei film. A volte erano pellicole molto brutte.

C’è anche un tuo stunt pericoloso in Blues Brothers quando Jake ed Elwood entrano nella piazza principale di Chicago con la macchina e tu corri davanti al veicolo molto velocemente…
Non fu pericoloso.

Tu fosti la prima persona ad attraversare davanti alla macchina in quei fotogrammi…
Mi stupisce che tu possa ricordare una cosa del genere.

Sono un discepolo del lavoro di Alberto Farina, lo sai. E Alberto sa tutto di questo meraviglioso regista. John… usciamo da Un Lupo Mannaro. Vogliamo sapere che tu sei ancora tra noi e il mio capo, che è l’uomo dietro la camera che ci sta riprendendo, mi ha detto ieri: “Ok Francesco, non essere troppo malinconico nell’intervista. Non parliamo solo di Un Lupo Mannaro ma cerchiamo di capire se ha nuovi progetti cinematografici”. Quindi?
Ho qualcosa di mio che uscirà nel 2017. L’ho finito… ma non ne posso parlare. Non mi è permesso.

Dai…
No. Potrei dirtelo però poi dovrei ucciderti. No… seriamente… avrei dei problemi se ve ne parlassi. Ma tanto saprete tutto.

È un film?
Sì. Si vedrà al cinema e sarà eccitante. Ora sto producendo un film che si sta girando a Chicago. Mi piace fare film e mi diverto ancora. Se trovo dei progetti che mi piacciono, non ho nessun problema a mettere in piedi un film. Purtroppo la maggior parte delle sceneggiature che mi arrivano sono orribili. Ormai sono convinto che i lettori di sceneggiature lo facciano apposta e ogni volta che si trovano di fronte a un brutto copione pensano: “È orribile… portatelo subito a John Landis!”.
Mi propongono solo della merda.

Questo nuovo film… l’hai sceneggiato?
Sì.

Sei accreditato come sceneggiatore?
Sì. Non posso aggiungere altro, mi dispiace.

Va bene, va bene. Ma noi siamo molto felici…
Non essere troppo contento. Guardalo e poi dimmi.

Siamo contenti anche solo di sapere che tornerai al cinema perché ti amiamo. Se ti va di parlarne… ora vorremo dirti che stiamo seguendo l’opera di un certo Max Landis…
Max ha molto successo ora. Ha appena finito di dirigere la sua nuova serie tv. Hanno appena completato la stagione. L’ha girata a Vancouver e ha come titolo Dirk Gently’s Holistic Detective essendo basata sul romanzo di Douglas Adams da cui fu già tratta una sere tv inglese. Questa nuova serie è prodotta dalla BBC America. C’è Elijah Wood nel cast. Sono molto eccitato e non vedo l’ora di vederla. Poi sta per cominciare un enorme film il prossimo mese con David Ayer come regista e Will Smith come star. L’ha scritto e prodotto. Sta avendo molto successo in questo momento.

Ultima domanda caro John…
Max è mio figlio.

Lo sappiamo. C’è un video bellissimo su You Tube dove quest’uomo si commuove per le parole del figlio durante un premio ricevuto.
Ah… eravamo in Texas.

Eri commosso…
Ero sorpreso perché non sapevo che sarebbe spuntato fuori. Non prevedevo che mio figlio sarebbe intervenuto quella serata.

Max prende la parola in quel video dicendo cose molto belle di questo signore sia come filmmaker che come padre. Un momento emozionante. L’ultima domanda è: cosa pensi dell’ambiente del cinema in cui Max sta muovendo i primi passi rispetto ai tempi in cui lavoravi tu?
È tutto molto diverso. Io fui molto fortunato. A partire dal 1969 gli studios decisero di lasciare più libertà espressiva ai registi. Gli anni ’70 e gli anni ’80 furono un momento straordinario perché ai registi era permessa libertà creativa. Esplosero cineasti come Robert Altman, Paul Mazursky, Robert Aldrich, Hal Ashby. Oggi non potrebbero lavorare e allora ripensandoci mi reputo fortunato ad essermi trovato in quel contesto storico. Comunque… Max è un ottimo scrittore. Scrive da quando ha 7 anni. Avrà nel cassetto circa 150 sceneggiature. È molto prolifico. Una delle sue cose che amo di più è Chronicle. È un buon film.

Buono? Straordinario!
Sì è molto buono.

Bello chiudere su Chronicle perché quando lo vidi pensai che fosse molto vicino al tuo lavoro…
Davvero?

Sono un critico cinematografico e potrei parlare per un anno delle vicinanze di sensibilità tra Chronicle e i tuoi film…
Era così originale. È triste che la sceneggiatura di Max su un nuovo Frankenstein sia stata stravolta in un film ad alto budget che ha distrutto lo spunto iniziale. Quella fu una delle migliori sceneggiature che ho mai letto. La cambiarono molto.

Max l’ha detto…
Il problema è che quando ti distruggono un film… c’è ancora il tuo nome nei credit. Quando chiesero ad Alfred Hitchcock di definire il ruolo del regista, lui rispose: “È l’uomo che si prende tutte le colpe”.

Qualche volta può prendere anche l’amore da orribili critici come me…
Grazie. Perché questo signore non può essere un critico americano porca miseria!

 

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