Il cinema americano (ma non solo) sta scoprendo che per parlare del presente non c’è nulla di più importante della storia di come la tecnologia stia entrando nelle nostre vite.

The Social Network, Il Quinto Potere, Jobs, The Imitation Game e via dicendo sono tutti film che cercano di mettere in scena e spettacolarizzare quel che stiamo vivendo (o leggendo sulle cronache) per spiegare il mondo a partire dall’avanzamento tecnologico.
Oliver Stone però ha fatto un passo ancora più difficile con Snowden, cercando di fondere documentario e finzione, spettacolo e didattica, uno sforzo pazzesco da vero narratore.

La bravura nel narrare una storia è data principalmente dal riuscire ad essere chiaro e spiegare con semplicità ogni nodo, intreccio ed implicazione degli eventi, lasciando anche delle briciole di pane da seguire per chi voglia appassionarsi dei personaggi. Al cinema questo trova particolare compiutezza quando a parlare non solo le parole ma le immagini. Un film come Snowden, che si propone di mettere in scena questioni informatiche molto avanzate intrecciate a questioni politiche molto avanzate e segrete, affronta quindi un problema gigantesco: spiegare qualcosa di inedito e complicato in modo che chiunque lo possa capire. Il Quinto Potere ad esempio utilizzava delle immagini digitali come metafora, l’Assange di Cumberbatch moltiplicato più volte in scrivanie virtuali, una via facile e riduttiva che Stone ripudia.

Dunque la vera forza di Snowden, quella che manca a documentari a dir poco pazzeschi come Citizenfour (una visione obbligatoria per chiunque sia minimamente interessato agli eventi), è di non fermarsi di fronte ai concetti più difficili, di confidare nelle proprie capacità per portare a tutti almeno l’abc di ciò che sia successo, di cosa faccia un contractor, come mai abbia accesso a certi documenti, come fosse concepita la sicurezza e come sia riuscito a violare tutto.
Certo ci mette un bel po’ di spettacolarizzazione, di suspense, di piedi che nascondono schedine SD, persone che comunicano con il linguaggio dei sordomuti per non farsi scoprire e grande enfasi. E per fortuna!

Perché al di là dell’impresa di mettere in fila per bene e per tutti i fatti e gli intrecci, Snowden ha anche l’istinto di un animale politico come Oliver Stone, conscio di come ogni cosa nelle nostre vite sia politica e del fatto che dietro una decisione come quella di Edward Snowden c’è una volontà di ferro e una presa di coscienza impossibile da maturare se non in diversi anni. E impossibile da maturare senza la tecnologia.
Non c’è niente in questo film che non accada con o per opposizione alla tecnologia, nulla che non avvenga grazie o per colpa di essa. Era molto facile adottare un tono critico verso gli strumenti tramite i quali il governo americano per decenni ha spiato illegalmente tutta la sua popolazione, gran parte delle altre popolazioni e per non dire i capi di stato stranieri. Invece Stone sembra sapere bene che la tecnologia è il problema e la risposta.

Per questo la storia della tecnologia è la più importante da raccontare oggi, perché comprende la geopolitica e i nostri sentimenti, uniti in una schermata unica o in un solo disco rigido. Del resto c’è anche molta paranoia classica in questo film ma non sembra poi così “paranoica”. Non sono più gli anni ’70 e il fatto che qualcuno ci possa ascoltare sempre o guardare dalle webcam dei nostri portatili non suona assurda e folle, ma abbastanza probabile se non proprio realista.

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