C’è sempre una certa curiosità nello scoprire se un regista somigli o meno al tono dei propri film. Paul Verhoeven è quanto di più lontano si possa immaginare dal suo cinema, altero e cinico, duro e spietato. Quasi ottant’anni e una grandissima giovialità, molto disponibile e tranquillo, schivo riguardo la propria percezione come artista e incline più che altro ad una visione da mestierante del lavoro da regista.

Scarpe da ginnastica, un inglese fluido, ma molto precario, con un fortissimo accento olandese nonostante la lunga permanenza in America, e una gran voglia di scherzare.
Il suo ultimo film, Elle, è stata una lavorazione lunga, doveva essere prodotto in America ma nessuno lo voleva, e Verhoeven ha ripiegato (con gran successo) sull’Europa. Il risultato in termini di premi, accoglienza e riconoscimento critico e di pubblico, a partire dalla presentazione in concorso al festival di Cannes per finire con i Golden Globes e i Cesar, l’ha ricompensato.

Innanzitutto il rating. Era quello il problema per il quale non è riuscito a fare il film in America giusto? Ma ci aveva pensato prima?

No, non mi interessa assolutamente. Intendiamoci, quando scrivevo il film l’avevo capito che in America sarebbe stato vietato ai minori di 17 anni (e così è stato), ma questa questione del rating sta cambiando. Quando andai negli Stati Uniti nel 1985 metà dei film erano vietati ai minori di 17 anni, ora sono praticamente scomparsi. Evidentemente ad un certo punto gli studios hanno deciso che non gli interessavano le materie controverse. E così: sesso eliminato, seni nudi eliminati, tutti devono essere felici e tutti devono vedere il film. È un movimento verso la bottom line, cioè “quanti soldi faccio a fronte di quanti ne ho messi nel film”. Gli studios vogliono 3-4 volte quel che investono e per questo ora i film sono così noiosi, non c’è audacia, perché l’audacia è vietata ai minori di 17 anni.
Invece in Europa non interessa a nessuno la censura, si cerca solo di fare un film interessante, che sia controverso o meno. Del resto di cosa parla Spider-man vs Superman [sic ndr] se non dei soldi?

Lei giudica Elle un film audace per i suoi di standard?

Che fosse più spinoso del previsto l’avevo capito dai rifiuti delle attrici americane a cui inviavo la sceneggiatura. In realtà per me non è controverso e mi sembra che poi l’accoglienza in Europa (e paradossalmente anche in America) non sia stata tale. Spero che le attrici che hanno rifiutato la parte siano ora dispiaciute. Al massimo lo definirei pericoloso, perché non era scontato né facile che il film riuscisse a tenere il pubblico con sè nel terzo atto, [SPOILER] quando la protagonista imbastisce una storia d’amore con il proprio stupratore [FINE DELLO SPOILER]. È un anatema per moltissime persone e mi fa strano che non abbia suscitato reazioni controverse. Del resto il libro era così e di certo non volevo cambiarlo.
Ad ogni modo non è che cerco i contenuti controversi, non ho nessun piacere nel cercarli. Credo sia il risultato del fatto che rifiuto di censurarmi, sono più il tipo che pensa: “Fanculo tutti, voglio girare questo e lo farò, anche se è controverso” come artista credo che certe cose vadano fatte in certe maniere

Eppure è indubbio che i suoi film abbiano una visione del mondo che è senza compromessi non solo nella realizzazione, ma già nella scrittura…

Guarda, l’unica provocazione che faccio scientemente è spingere il pubblico ad usare il proprio cervello. Presento due elementi ma mi rifiuto di fare anche il lavoro di metterli in connessione, confido nel fatto che se gli dai A e poi C il pubblico da solo saprà arrivare a B, a patto che presenti tutto in una certa maniera. In fondo questo tipo di atteggiamento è tipico dell’arte: lasciare parte del lavoro sulle spalle del pubblico”.

verhoeven

Non è frequente che si rida nei suoi film, in Elle invece, pur non essendo una commedia, accade spesso. Forse è il suo film più divertente. Eppure ciò di cui ridiamo maggiormente è il punto di vista della protagonista, quel suo cinismo verso la realtà. È il cinismo ciò che la fa ridere anche nella vita?

Sì, almeno se lo noto! [ride ndr] In realtà nella vita vera ci sei così dentro alle situazioni che difficilmente ti fanno ridere. Ad ogni modo molto dell’umorismo era già nel libro, leggendolo si sorride più che ridere, solo raramente abbiamo spinto un po’ più a fondo in quella direzione. Ad esempio tutta la parte del neonato di colore l’abbiamo inventata. Sono variazioni che avvengono mentre scrivo oppure quando sono sul set, arrivano spontanee. In quella scena ad esempio tutto sta nello sguardo che ha Isabelle Huppert. Se guardi il suo volto e i suoi occhi immediatamente hai la sensazione che stia pensando: “Stupido idiota che non sei altro” eppure lei non dice niente! Sono cose che senti sul set e a quel punto decidi di andare in quella direzione. Del resto non siamo in un film di fantascienza in cui passi di storyboard in storyboard, è stata una lavorazione creativa. Ho girato il film con due videocamere che di volta in volta posizionavo in modo che non si inquadrassero a vicenda, senza troppa pianificazione e così ci siamo potuti adattare agli attori e metterci un po’ più di quel che era nel libro o nello script”.

Lei è famoso per indugiare su elementi da soap nei suoi film, dargli una specie di tono ironico e critico in questa maniera. Era vero in Tricked, il film che ha girato prima di Elle, qui non ci ha provato?

In realtà lo facevo di più in film come Starship Troopers, lì mi sembrava di usare elementi da soap, specie nel casting, perché volevo bellezze banali. Sostanzialmente copiavo Leni Riefenstahl, volti regolari dovunque. Qui invece non ho usato elementi di soap, almeno non ci pensavo, poi magari sono comunque “soapy”. Su questo sono daccordo con Isabelle che ha detto: “Non voglio essere compassionevole con il personaggio, recito solo una parte”. La soap invece è il contrario di quest’idea, prevede una forte identificazione”.

Tuttavia il personaggio ad un certo punto cambia e comincia a provare compassione per gli altri, si apre a molti aspetti della vita. In conferenza ha menzionato la religione e conoscendo il suo interesse immagino ci sia una connessione…

Come nel libro anche alla fine del film c’è un tentativo di creare un certo feeling di redenzione o liberazione. Dopo tutta la negatività del film cerco di dare una chiusa in ascesa a queste persone. Insomma non volevo chiudere negativamente, pensavo ci fosse abbastanza negatività e preferivo un po’ di speranza. Ho sentito la necessità di un piccolo passo verso un po’ di umanità, vista la durezza della storia. In fondo trovo duro abbastanza che la protagonista sorrida in alcune scene di omicidio, mi serviva quindi qualcosa che bilanciasse”.

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