Per la terza volta la FAPAV ha realizzato assieme a IPSOS un’indagine di mercato sulla consistenza del fenomeno della pirateria audiovisiva in Italia e sui suoi danni.
L’ultima volta era stato 6 anni fa, molto è cambiato da quel momento.

Lo studio è presentato sottolineando come 2 uomini su 5 in Italia piratino e come il fenomeno crei un danno per quasi 700 milioni di mancati incassi al mondo del cinema e della televisione, con un’incidenza sul PIL nazionale di più di 400 milioni di euro.
Sono i dati più clamorosi e i numeri più alti di uno studio che per il resto ha tracciato un identikit delle persone che piratano e cercato di stabilire quali siano i canali attraverso i quali lo fanno. Il come, il chi e il quanto.

IPSOS stessa ha presentato lo studio oggi a Roma e nel farlo ha spiegato come è stato effettuato. Non basandosi su parametri informatici (volumi di scambio dati, traffico ecc. ecc.) ma tramite inchiesta telefonica. Cioè telefonando e facendo un sondaggio su un campione ritenuto affidabile per varietà demografica e sociale, nonchè per quantità.
Sono circa 1.500 persone quelle ascoltate, da cui hanno tratto il dato nazionale, più un focus a parte sugli adolescenti, cioè sul target 10-14 anni.

I RISULTATI

Innanzitutto le proporzioni. Ad oggi secondo l’indagine il 39% degli italiani (cioè dei soggetti intervistati) è un pirata, sia che si tratti di contraffazione fisica che si tratti di pirateria digitale. La pirateria colpisce prevalentemente il cinema rispetto alla tv. Il 56% degli atti di pirateria coinvolge un film, mentre il 44% coinvolge programmi televisivi di cui il 23% sono serie tv e il 21% è il resto (show o eventi sportivi). Come è comprensibile, visto l’emergere della serialità, per quanto riguarda i film si tratta di un dato leggermente in calo rispetto all’ultima indagine di 6 anni fa, almeno del -4%.

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L’identikit dei soggetti che più piratano tra quelli ascoltati da IPSOS dice che sono più che altro gli uomini di buona istruzione e buona occupazione a farlo, prevalentemente nel meridione e sotto i 45 anni. Non è un dato particolarmente sorprendente (se non per la collocazione geografica), poiché la prevalenza del sesso maschile è solo del 55% e per il resto si tratta più o meno l’identikit dello spettatore medio di cinema e serie tv.

È sorprendente e molto invece il “cosa” si pirati. Perché quando si parla di film il 53% degli intervistati ha dichiarato di piratare materiale di catalogo, solo il 29% ha dichiarato di farlo con i film nuovi mentre l’11% di farlo su film non usciti nel nostro paese. È sorprendente perché altri dati e altre indagini dicono il contrario, cioè che ciò che si pirata di più in assoluto sono le nuove uscite.

Grande enfasi è stata poi posta sulla percezione dell’illegalità ma anche lì le sorprese sono poche: chi tra gli intervistati non si è dichiarato pirata nel 30% dei casi pensa che la pirateria sia un illecito molto grave, mentre tra chi si è dichiarato pirata questa percentuale scende al 18%.
Inoltre il 62% di chi cercando materiale pirata si imbatte in un sito oscurato cerca un’alternativa ugualmente illegale mentre il 32% si affida alle vie legali.

LE OPINIONI

A margine della presentazione dei dati poi ci sono stati alcuni interventi in materia, cioè alcuni pareri di addetti ai lavori e operatori dell’industria su cosa sia opportuno fare e quanto abbia funzionato ciò che è stato fatto.

È stato in particolare molto meticoloso Giampaolo Letta, AD di Medusa, nell’elencare tutto quello che almeno negli ultimi 10 anni è stato fatto in materia di antipirateria, sia in collaborazione con le grandi compagnie tecnologiche (vedasi Content ID con YouTube) sia con la legge. Ma è anche stato molto scettico sull’idea che tutto ciò abbia realmente funzionato. E in questo calderone di ciò che non funziona o che ha funzionato poco nel combattere la pirateria Letta ha inserito anche l’alternativa legale che, nel nostro paese, è sempre più presente, forte e percorribile.
Senza troppi indugi ha ventilato che oltre alle pene per chi distribuisce contenuti illegalmente si dovrebbe ricorrere anche a pene per chi pirata, cioè per i fruitori.

Non troppo diverso è stato il parere del regista Paolo Genovese, che oltre a rimarcare come si crei un’illusione di legalità per il fatto che i siti pirata sono fatti sempre meglio e dunque non lasciano intendere di trovarsi là dove non si dovrebbe stare, ha sostenuto che il fruitore finale è un ladro a tutti gli effetti, un ladro di proprietà intellettuale, e dunque va sanzionato.

Sulla stessa linea infine il parere più istituzionale di tutti, ovvero quello di Mario Catania, Presidente della commissione d’inchiesta sulla contraffazione e pirateria commerciale della Camera dei Deputati che detto proprio:

La risposta penale [alla pirateria] non è vigorosa perché l’opinione pubblica non lo percepisce come un fatto grave. È un serpente che si morde la coda, perché la politica non sentendo l’urgenza popolare non traduce la repressione in comportamenti forti. Servirebbe allora un sistema sanzionatorio non penale, perché il penale in Italia va da tempo disingolfato da illeciti minori. Servono sanzioni amministrative ma da noi quello delle sanzioni amministrative è purtroppo un sistema inefficiente

I NOSTRI DUBBI

Non sono poche le perplessità con cui abbiamo ascoltato le opinioni e letto i dati dello studio.
Innanzitutto perché frequentando questo tipo di incontri da anni si è potuto notare un ritorno indietro nel tempo. Quella di punire i singoli fruitori di pirateria è stata storicamente l’opinione più in voga: semplicemente stangare tutti. L’esempio più noto e abusato negli anni è stato quello della nota legge francese dei tre avvisi, legge che in realtà non ha mai funzionato, tanto che in Francia si pirata moltissimo, basti vedere come nelle classifiche di fine anno dei termini più cercati sui motori pirata la desinenza “FRA” sia sempre in alto, senza considerare che il singolo pirata è difficile da raggiungere e può facilmente aggirare qualsiasi sistema di rilevazione (in Germania c’è un controllo sui download e per questo la pirateria è quasi tutta in streaming).

Quando l’industria ha compreso che non solo non si potevano davvero sanzionare i pirati ma questo si stava traducendo in una pessima pubblicità, l’opinione più in voga è diventata quella di incolpare i service provider, cioè chi fornisce la connessione ad internet, pretendendo che Fastweb o Telecom Italia discriminassero il traffico oppure monitorassero cosa fanno i loro utenti. Il famoso esempio che scredita questa tesi è che sarebbe come chiedere alla società autostrade di controllare cosa fanno gli automobilisti sulle loro strade, cioè chi fornisce un servizio in nessun modo può essere responsabile di cosa venga fatto, specie con quei volumi.

Infine, a fatica, negli ultimi anni si è arrivati alla consapevolezza che bisogna colpire le fonti, le quali però sono sfuggenti. La FAPAV di frequente annuncia iperboliche chiusure di grandi numeri di siti ma questi riaprono il giorno dopo ad un indirizzo di poco differente. Come faceva notare la stessa indagine le fonti di pirateria poi sono sempre più sofisticate e i loro sistemi di guadagno sempre più difficili da perseguire.
Dunque sembra che ora, di fronte all’impotenza, si sia tornati all’idea di stangare i singoli. Non servirà a niente comunque.

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L’altro nostro dubbio molto grosso è sul numero più clamoroso di tutti tra quelli presentati.
Lo studio afferma infatti che negli ultimi 12 mesi sono stati perpetrati 669 milioni di atti di pirateria.
Questo numero viene dall’aver chiesto ad ognuno dei 1.500 intervistati quanti file (film o episodi di serie tv o eventi sportivi o programmi televisivi) abbia piratato, scaricando o guardando in streaming, negli ultimi 12 mesi. Il che già getta una certa ombra sulla precisione del dato. E quest’ombra è tanto più grande quanto da questo numero ne deriva anche un altro, cioè quello del danno economico.

Agli stessi intervistati infatti è stato anche chiesto se non avessero piratato quel dato evento, film o programma tv, che cosa avrebbero fatto. Quindi per ognuno degli atti di pirateria degli scorsi 12 mesi gli intervistati avrebbero detto che cosa avrebbero fatto, se avrebbero rinunciato a fruirne o se avessero optato per l’alternativa legale. Dal numero di volte in cui la risposta è stata “avrei optato per l’alternativa legale”, stabilendo anche quale alternativa (da cui il prezzo che avrebbero pagato) è stato stabilito quanti soldi non sono stati versati dal momento che esiste la pirateria.
Questo per ognuno dei singoli atti di pirateria degli scorsi 12 mesi basandosi sulla memoria di ognuno dei 1.500 intervistati.

Sembra molto difficile credere che 1.500 persone ricordassero le condizioni di ogni singolo atto di pirateria degli scorsi 12 mesi. E se è già poco accettabile per un’indagine che voglia definirsi seria che su questo ricordo si basi un numero simile (alla fine necessariamente ogni intervistato finisce a fare una stima a spanne), è impensabile che a partire da questo si possa fare una considerazione così arbitraria come il denaro non guadagnato dall’industria, e poi per giunta il danno al PIL nazionale di 400 milioni. Come se ognuno potesse dire cosa avrebbe fatto davvero e se lo ricordasse per ogni singolo atto di pirateria dell’anno passato, e come se questo potesse avere una simile valenza.

Abbiamo chiesto a Nando Pagnoncelli, Presidente di IPSOS Italia, proprio al termine della presentazione della ricerca, se davvero fosse stato questo il criterio attraverso cui si è arrivati al risultato in questione (quello che abbiamo descritto desumendolo da come sono stati presentati i dati) e la risposta che abbiamo ricevuto è stata:

Siamo partiti dall’informazione elementare. Le persone che hanno un comportamento più frequente hanno risposto con un livello di precisione maggiore, chi ha un comportamento di pirateria un pochino meno frequente è probabile che sconti un ricordo meno preciso ma nell’insieme era l’unico strumento per poter fare l’unico tipo di stima rivolgendoci direttamente alle persone”.

Probabilmente ha ragione Pagnoncelli, per avere un simile dato rivolgendosi direttamente alle persone non si poteva fare in altro modo, tuttavia è molto questionabile che si debba per forza ottenere un simile dato, così arbitrario e aleatorio eppure così determinante nella comunicazione dell’indagine e nei titoli di giornale, e soprattutto che si debba farlo chiedendolo alle persone, che in questo caso specifico forse sono i soggetti meno affidabili anche se i più coinvolti.

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