I festival, per loro natura, sono in costante espansione. A maggior ragione quelli grandi. Cercano di avere più autori, più film, più sezioni, cercano di comprendere sempre più cinema. L’annuncio dei film dell’edizione 74 di Venezia ha confermato come questo festival sia l’unico, da quando è tornato Alberto Barbera a dirigerlo, che si sta espandendo in tutti i campi e settori dell’audiovisivo che non vanno sotto la voce “cinema”. Serie tv, realtà virtuale, documentari che sono in realtà documenti (cioè testimonianze e immagini di repertorio che possiedono un valore intrinseco a prescindere dalla messa in scena), documentari sul cinema (quello sul backstage di Man on The Moon e in particolare sulla dissociazione di Jim Carrey/Andy Kaufman/Tony Clifton si presenta come davvero impossibile da classificare) e sperimentazione.

Quest’anno più che in passato è evidente quanto la Mostra d’arte cinematografica di Venezia, stia cercando di affiancare al cinema le altre forme d’arte audiovisiva. Un tentativo intellettuale non facile che si accoppia al movimento più commerciale possibile, quello verso il cinema da Oscar. Il risultato è, una volta di più, encomiabile.

Forse anche per questo nell’annosa e un po’ trita contrapposizione con quel moloch che è Cannes una cosa la si può dire per certa. Tra i due è Venezia il festival dinamico, quello che stupisce e sorprende, che prende strade inattese e cerca di sfidare l’idea che abbiamo di concorso, festival e forse “cinema”. Cannes invece è quello che gioca più sicuro.

La corsa agli Oscar

Nel nostro pezzo che cercava di fare delle anticipazioni sui possibili film del festival abbiamo centrato quasi tutto, sbagliando la partecipazione di John Woo (purtroppo) e dando per spacciato Mother! di Aronofsky. E per fortuna che su quest’ultimo abbiamo sbagliato! Sappiamo che la partecipazione del film è stata oggetto di una trattativa lunga e serrata (come per Blade Runner 2049 la paura degli spoiler era quel che tratteneva la Paramount) ma il più grosso Oscar contender di questi mesi sarà a Venezia e solo poi farà gli altri festival (Toronto e Telluride).

Non solo. La domanda “ce l’ha fatta Venezia a centrare di nuovo il film che meglio figurerà agli Oscar?” potrebbe avere una parziale risposta quando vedremo Suburbicon, Downsizing e gli outsider Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e The Shape of Water di Del Toro (non si direbbe ma forse è il più candidabile). Che tra tutti sembrano i più papabili ad una corsa Oscar.

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I film estremi

Quello che invece è probabile che farà più sensazione al festival (o almeno è lecito aspettarselo) è il film di Ai Weiwei, Human Flow, un’opera che si annuncia grande e grossa sul problema più imponente del primo e del secondo mondo: le migrazioni. Ai Weiwei ha la testa, la sensibilità e sembra abbia avuto anche i fondi per un documentario imponente.

Senza contare che accanto a questo Venezia quest’anno ha messo a segno un paio di colpi che solitamente riescono a Cannes, cioè raggranellare il cinema di genere più estremo ed autoriale, una categoria di mezzo in cui vivono pochissimi (esaltanti) film sia ad alto budget (Guillermo Del Toro) sia a budget più contenuto (Brawl in Cell Block 99 di S. Craig Zahler) che provenienti non dall’America (Outrage: Coda di Kitano) che infine al limite dell’insostenibile (Caniba, riguardo il quale Barbera ha messo in guardia le persone sensibili).

Il cinema italiano

Per la prima volta era un Barbera raggiante quello che ha annunciato la pattuglia italiana. Le voci che si sono rincorse negli ultimi mesi dicono che la mostra abbia fatto razzia, prendendo tutto il prendibile e lasciando pochissimo alla concorrenza sia interna (Giornate degli Autori e Settimana della Critica) sia esterna (gli altri festival dell’autunno), un po’ scottati dagli ottimi film italiani scartati negli anni passati che poi invece si sono rivelati le sorprese dell’annata.
A Venezia vedremo sia il classico (Edoardo Winspeare con un film con attori non professionisti), sia il classico moderno (un film di genere dei Manetti), sia si spera il nuovo (Brutti e Cattivi), sia l’internazionale (Nico di Susanna Nicchiarelli, The Leisure Seeker di Paolo Virzì), sia quell’animale mitologico che è l’animazione italiana (Gatta Cenerentola, nome sfortunato ma immagini che paiono molto belle) che infine qualcosa di più scontato ed inevitabile (Una famiglia di Sebastiano Riso, Hannah di Andrea Pallaoro, Il colore nascosto delle cose di Soldini).

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La Realtà Virtuale

È una scommessona questa, una che la mostra porta avanti perché è probabile che si sia resa conto (avendo al suo interno un mercato) di come gli investimenti stiano andando in quella direzione. Certo averla messa in una sede distaccata (in un’isola!) non è proprio il massimo, ma almeno ha un concorso, figurano prodotti di Laurie Anderson e Tsai Ming-Liang, ha un premio e una giuria a nobilitarla (e che giuria con John Landis!). È difficile dare un giudizio qui. Abbiamo visto film e corti in Realtà Virtuale a Venezia l’anno scorso (deludente) a Cannes (promettente ma non esaltante) e aspettiamo di vedere questi. Intelligentemente saranno proposti anche due prodotti non inediti ma tra i migliori dell’anno, uno dei quali è di Saschka Unseld, regista di L’Ombrello Blu, corto Pixar visto prima di Monsters University.

Chi avesse intenzione di recarsi al festival sappia che la sezione nata per il pubblico due anni fa e ampliata l’anno scorso con una nuova sala, Cinema Del Giardino, è stata ancora più ampliata. Presenterà non solo film molto interessanti ma darà anche le repliche di alcuni titoli del concorso.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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