La coppia nella vita e sul lavoro composta da Javier Bardem e Penélope Cruz, accompagnati dal regista Fernando León de Aranoa, hanno presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il film Loving Pablo, uno dei titoli in concorso in questa edizione.

Il protagonista, con il ruolo del famoso narcotrafficante, ha raccontato:

“Una delle cose che mi interessano di più come attore è capire la mente dei personaggi e delle persone che abitano su questa Terra. In questo caso è un padre premuroso e un uomo che ha seminato incredibile terrore e violenza. La contraddizione mi sembrava davvero fantastica e con una grande complessità. C’era in questo script una lettura del personaggio che conteneva queste contraddizioni e questi “colori” dell’essere umano. Pablo Escobar, come Hitler, non veniva da un pianeta strano ed è venuto a terrorizzare il mondo: è nato da un padre e una madre ed è poi diventato un mostro. Bisogna inoltre ricordarsi che, nonostante tutto, è stato molto amato da tantissime persone, situazione che ha dato vita al titolo”.

Penelope ha rivelato che non conosceva affatto la storia della moglie di Escobar e ha fatto delle grandi ricerche per capire come interpretarla nel modo giusto, cercando di capire come funziona la sua mente, a prescindere dalle proprie opinioni sulla sua situazione, sottolineando inoltre:

“Per me era importante che non ci fosse una violenza gratuita, si mostra il dolore attraverso gli occhi di questa donna che si è sentita tradita ma non sapeva realmente fino a che punto stava mettendo in pericolo la sua vita, rendendosene conto quando ormai era troppo tardi”.

Aranoa ha risposto a chi gli chiedeva perché è stato utilizzato l’inglese come lingua principale del film che si trattava solo di un veicolo per suscitare emozioni e dare spazio alle espressioni, senza però mai mettere in secondo piano o far dimenticare l’origine dei personaggi. Bardem, sull’argomento, ha aggiunto che sarebbe stato difficile realizzare una pellicola destinata a un mercato internazionale in una lingua che non fosse l’inglese, ricordando poi che molti classici, come ad esempio il Dottor Zivago, riescono comunque a raggiungere il proprio obiettivo dal punto di vista emotivo e a ricordare l’ambientazione della storia grazie agli accenti e ad altri elementi narrativi.

Girare in Colombia, nei veri luoghi dove si sono svolti i fatti, era però davvero essenziale:

“Suscita un senso di verità, rispecchia la cultura, l’energia della nazione. Ci siamo avvicinati al lavoro con grande rispetto. Le persone ci hanno accolto con grandissimo affetto e ci hanno dato tutto quello di cui avevamo bisogno”.

La trasformazione di Javier nel criminale, è stata particolarmente importante per l’attore:

“Si è trattato di creare un’energia molto concreta più che puntare sul fisico. Durante la mia interpretazione pensavo un po’ a un ippopotamo, animale preferito proprio da Escobar, e pensavo a questo animale per quanto riguarda i movimenti e il ritmo”.

Penelope ha quindi rivelato:

“Mi sono spaventata proprio per l’energia, non per il look, era qualcosa di molto brutto e aggressivo. Dopo 3-4 settimane di riprese guardavo quanto tempo mancava perché stavo diventando matta: vedevo il personaggio, situazione che mi aiutava a diventare Virginia, ma era molto impressionante”.

Sul motivo per cui il mondo dello spettacolo e il pubblico hanno dimostrato negli ultimi anni un grande interesse per Escobar, l’attore protagonista ha ribadito:

“E’ umano avere un certo interesse per i personaggi che hanno cambiato la storia. Ha inventato il narcotraffico che è un business enorme che ha causato morti e violenze, ed è affascinante provare a capire come è avvenuta questa trasformazione. Il successo della storia non ha comunque influenzato la genesi del film perché abbiamo reso nostra la storia per capire meglio chi era questa persona. Personalmente considero una grande gioia e privilegio avere questo ruolo in cui la necessità e la ricerca assoluta del rispetto l’hanno portato a impazzire”.

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