Incredibile a dirsi ma i David di Donatello del 2018 hanno avuto 3 punti in comune con gli Oscar 2018.

Il primo è stato il forte orientamento verso la posizione, il ruolo e la dignità della donna nel cinema e di riflesso nella società.

Con un monologo d’apertura di Paola Cortellesi, coadiuvata da altre attrici del movimento “Dissenso Comune” che ha impostato tono e direzione, tutta la serata ha mostrato come l’industria del cinema italiano abbia il desiderio di mostrarsi in linea con l’orientamento mondiale. Nella prima edizione in cui l’Accademia dei David è diretta da una donna (la neo presidente Piera Detassis), la maggior parte dei discorsi di accettazione sono andati nella direzione della condizione femminile non senza qualche grottesca e surreale esagerazione (uno zelante Luca Zingaretti nel premiare la miglior attrice non protagonista ha sostenuto che sia una categoria senza senso, poiché “nessuna donna mai è non protagonista”) e con affondi più azzeccati, come Jasmine Trinca che nel ritirare il premio alla Miglior Attrice ha ricordato con giusto personalismo come la maniera in cui è cresciuta le abbia insegnato che essere donna non voglia dire una cosa sola.

È abbastanza evidente che questa posizione giusta e condivisibile ci arrivi di rimbalzo, che sia un adeguamento a un trend che di certo non ha origine in Italia e di certo non è qui che ha la sua radice più dura e pura. In Italia abbiamo un movimento simile al #metoo per intenti ma di certo non abbiamo anche delle conseguenze reali della presenza di questo movimento. Se ne parla molto ma poco cambia. Anche solo a un livello di rappresentazione di storie e personaggi femminili i passi sono timidissimi. Figuriamoci dietro le quinte!

Del resto tutto la cerimonia è stata improntata all’adesione ad altri modelli. Dopo due anni di rimodernamento dei David da parte di Sky, la RAI è tornata proprietaria della serata (Sky voleva tagliare molti premi minori e snellire l’evento, la RAI ha offerto l’opposto e l’ha rimarcato di continuo) e ha ricalcato il suo spettacolo su quello di Sky, al netto di ciò che non è in grado di fare (le gag, il ritmo, la vivacità, l’abbassamento dell’età media dello spettatore, l’innalzamento della sua competenza media in fatto di cinema). Non ci sono paragoni con quel che il servizio pubblico faceva prima di Sky, siamo anni luce avanti grazie ai benefici della concorrenza, nondimeno la RAI è la RAI e Carlo Conti l’ha dimostrato non mancando di sottolineare, con l’aziendalismo che l’ha portato e lo mantiene dov’è, i trionfi di Rai Cinema, là dove è facile immaginare che Sky, nella stessa posizione, avrebbe preso in giro la propria emittente.

Il secondo punto in comune con gli Oscar è stata la distribuzione dei premi. Non c’è stato un vincitore chiaro, ma molti film si sono spartiti i David più importanti.

Ammore e Malavita può essere considerato il vincitore della serata con il maggior numero di statuette (5), inclusa quella per il Miglior Film. Nico, 1988, con 4 di peso solo leggermente minore (trucco, parrucco, miglior sceneggiatura originale e miglior sonoro) a sorpresa l’ha seguito. A bocce ferme sarebbe stato più facile prevedere una corsa a due tra il film dei Manetti e Napoli Velata che invece esce da sconfitto con un David per la fotografia e uno per la scenografia, di cui il primo risulta inspiegabile visto che nella categoria era in gara il lavoro pazzesco di Luca Bigazzi in Sicilian Ghost Story (vincitore invece per il comparto in cui meno brillava, la sceneggiatura non originale). Allo stesso modo anche The Place, per i votanti del David, praticamente non è esistito.

Ha sorpreso anche la considerazione data a Gatta Cenerentola, uscito dalla manifestazione con ben 2 statuette (un trionfo per un film simile!). È un segnale fantastico ma non di meno inaspettato: raramente il cinema italiano premia produzioni di questo tipo. E se il premio al Miglior Produttore pare azzeccatissimo, per l’audacia di aver voluto mettere in piedi un film animato in Italia, non per bambini e così ambizioso, quello ai Migliori Effetti Digitali è semplicemente ridicolo. Non perché Gatta Cenerentola non sia meritevole in sé, ma perché nella categoria gareggiava il film italiano con gli effetti digitali migliori della storia del nostro cinema: Addio Fottuti Musi Verdi. Purtroppo però ai David, come agli Oscar, per vincere occorre prima di tutto essere stati visti dalla maggioranza dei più di 2000 votanti.

Il classico che non passa mai di moda è invece il fatto che tra un giovane e un anziano il cinema italiano sa sempre cosa votare. Senza dubbi o esitazioni. Miglior attore non protagonista è stato dichiarato Giuliano Montaldo, la cui recitazione in Tutti Quello Che Vuoi è di molto al di sotto della sufficienza (del resto non è un attore e la sua funzione in quel film non era interpretare ma portare la propria personalità), mentre il riconoscimento al Miglior Attore è stato dato a Renato Carpentieri, protagonista di La Tenerezza, in una categoria in cui c’erano Alessandro Borghi, Valerio Mastandrea e anche un buon Nicola Nocella.

Addirittura, in un colpo puramente folle a cui non si riesce davvero a credere, il miglior esordiente è stato lo scrittore Donato Carrisi per il suo corretto e incolore La Ragazza Nella Nebbia, invece del pazzesco esordio di Roberto De Paolis, Cuori Puri, passato alla Quinzaine di Cannes e uno dei migliori debutti in assoluto degli ultimi 10 anni. In molti o non lo hanno visto (grave) o non riconoscono che tra quei film quello in particolare gioca in un altro campionato (gravissimo).

Di contro ha però stupito la considerazione data ad A Ciambra. Di certo ha influito il fatto di essere stato il candidato italiano per una nomination (poi non arrivata) all’Oscar come Miglior Film Straniero, ma non è proprio della nostra industria un colpo così corretto e azzeccato come premiare Jonas Carpignano per la Miglior Regia. A Ciambra è un lavoro semplicemente pazzesco di trasformazione di qualcosa di realissimo in qualcosa di puramente cinematografico, uno che richiede una padronanza e una coordinazione non comune di tutti i comparti. Cioè il lavoro del regista. E allo stesso modo il Miglior Montaggio, andato sempre ad A Ciambra, pare ugualmente indiscutibile (anche se il virtuosismo di Consuelo Catucci per The Place pure poteva essere premiato).

Infine il terzo punto in comune con gli Oscar è che il vero vincitore della serata è stato in realtà il festival di Venezia.

Da lì viene Ammore e Malavita, presentato in concorso con una scelta imprevista e radicale (anni fa mai un film del genere sarebbe stato anche solo ammesso alla Mostra!) che evidentemente è stata lungimirante e ha aiutato il film. E a dimostrazione di quanto sia stata cambiata e valorizzata la sezione Orizzonti (una volta da evitare, oggi da cercare) da lì sono venuti Gatta Cenerentola e Nico, 1988, che addirittura l’ha vinta. I due film più importanti dei David e i due trionfatori degli Oscar (La Forma Dell’Acqua, Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri) erano tutti a Venezia. Più influente di così….

Quel che non cambia mai invece è come il cinema italiano abbia poca voglia di parlare di cinema, di mostrare il proprio attaccamento personale e umano al mezzo in cui lavora. Ci è voluto un esterno, Steven Spielberg, per fare l’unico discorso d’accettazione che raccontasse qualcosa di personale legato al cinema, per far vedere che chi lavora nel cinema adora il cinema e lo venera. Invece di fare passerella Spielberg ha portato una sua foto con Fellini, bruttissima e per questo bellissima, fatta ai tempi di Duel, quando venne in Italia per la prima volta e Fellini lo volle incontrare. Spielberg era palesemente desideroso di condividere un ricordo che gli è evidentemente carissimo con un pubblico in grado di apprezzarlo (visto che è coinvolto un regista italiano), un racconto accorato e al limite del commovente se si ha un cuore sensibile alla maniera in cui le aspirazioni, le passioni, gli interessi e i miti battono anche nel cuore di un Dio del cinema.

Non che ci sia nulla di male nell’usare il palco dei David e la prima serata di Rai Uno per dire qualcosa che non abbia a che vedere con il cinema ma con la società. Un po’ assurdo però è che lo facciano tutti e che in una premiazione di cinema nessuno esprima un serio attaccamento a quest’arte ma tutti appaiano più interessati ad altro. Non è grave, solo strano.

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