Lo aveva accennato Thierry Fremaux dopo l’annuncio dei film di Cannes e ora arriva la conferma tramite Vanity Fair: la vera vittima della diatriba Cannes vs Netflix è il film di Orson Welles e la sua memoria, personificata dagli eredi.

Si tratta di The Other Side of The Wind, uno dei film di proprietà di Netflix che sarebbero stati portati al festival (fuori concorso o nella sezione Cannes Classic ovviamente) se non fosse che questi ha deciso di restringere la partecipazione di chi non manda i propri film in sala in Francia al solo fuori concorso. Netflix ne fa una questione di principio e pari dignità (“non andiamo a farci insultare” è, parafrasando, il succo del loro parere), Cannes ne fa una questione di rapporti politici con la lobby degli esercenti che in Francia è potentissima e che chiaramente è avversa a chiunque non mandi i film in sala.

Quindi anche se questo film, inedito e ricostruito con l’aiuto di Peter Bogdanovich, di certo in concorso non sarebbe mai stato, lo stesso non verrà portato a Cannes. Perché Netflix giustamente si fa forza della mole di titoli per le sue rivendicazioni. Per ottenere il posto in concorso minaccia di non portare a questo punto niente così da avere più peso nella contrattazione.

Era sembrato abbastanza puerile Thierry Fremaux quando aveva dichiarato: “Peccato per il film di Orson Welles, spero che vogliano tornare sui loro passi per onorare la sua memoria. A Cannes è sempre stato amato”, visto che è anche per via di una loro rigidità che Netflix non porta il film. Sullo stesso piano però si sono messi gli eredi, nella persona di Beatrice Welles, figlia del regista, che in una lettera avrebbe pregato Ted Sarandos (chief content officer di Netflix) di ripensarci e non far sì che Netflix “sia l’ennesimo studio che rovina il lavoro di mio padre”.

Quando dice che Cannes l’ha sempre amato non mente Fremaux. Fu lì che nel 1952 fu premiato Othello e sempre lì Welles fu premiato come miglior attore nel 1959 per Frenesia di un Delitto.
Di contro invece la carriera di Welles è stata infatti funestata da un rapporto terribile con gli studios. Dopo Quarto Potere nella migliore delle ipotesi gli hanno massacrato i film rimontandoli o cambiandoli, nella peggiore l’hanno ignorato e non gli hanno dato fondi, costringendolo a fare film come un nomade del cinema, mettendoci anche anni solo per la fase di riprese (girava ogni tanto, quando raccimolava soldi), e costringendolo a lavorare come attore anche solo per motivi commerciali, così da raccogliere soldi per i propri film. Che anche dopo morto per un film ricostruito non riesca ad ottenere una celebrazione per via di un problema legato alla produzione (che in questo caso forse è meglio definire distribuzione) è obiettivamente paradossale.

Il film in questione un po’ di questo parla del resto. È degli anni ‘70 e narra la storia di un regista, interpretato dal regista John Huston, che torna ad Hollywood dopo diversi anni in Europa per fare quel che spera sia un nuovo film. “Ho visto nella mia vita come la vita di mio padre e il suo lavoro sono stati distrutti dalle grandi società di produzione, e con essi è stato distrutto anche un po’ dell’uomo che ho così tanto amato” scrive Beatrice nella sua lettera, “Per favore tornate sui vostri passi e fate sì che il lavoro di mio padre diventi il ponte che unisce Netflix e Cannes”.

Beatrice Welles ha poi scritto anche a Fremaux, che le ha risposto lodando il film ed affermando di volerlo ma di fatto il punto della questione per Netflix non può essere il singolo film, quanto la sua posizione in quel festival. Certo non sfugge a nessuno che un cuore cinefilo potrebbe fare un’eccezione, una pace provvisoria per poi riprendere le ostilità, ma sappiamo che non stiamo parlando di quello. Beatrice Welles del resto non ha interesse (e perché dovrebbe?) a vedere la questione nel suo insieme ma vede unicamente che Cannes è aperta al film del padre e Netflix non lo porta.

Cannes infatti ritiene di essere venuta incontro a Netflix offrendo a tutti i suoi film il fuori concorso, ma finge di non capire che il problema non è poter essere fisicamente lì con gli altri quanto essere considerati al pari degli altri. E non poter andare in concorso per principio, vuol dire non essere considerati come gli altri. Allora anche un film come The Other Side Of The Wind diventa un’arma. È palesemente l’oggetto cinefilo del desiderio e altri festival faranno faville ma, dal punto di vista americano, Cannes è qualcosa e il resto è meno.

Fa notare giustamente Filip Jan Rymsza, che la postproduzione del film l’ha coprodotta, che in questa situazione nessuno vince, né il film, né Netflix, né Cannes, né la famiglia Welles, né gli amanti del regista americano. Tuttavia, lo stesso Rymsza fa anche notare che non ha nessun senso avercela con Netflix “senza il quale quest’operazione non sarebbe stata proprio possibile”.

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