Con Joaquin Phoenix ci vuole un po’ di fortuna.

Se è in giornata storta ha gli occhiali da sole anche al chiuso e per un’intervista ristretta (con 5-6 giornalisti intorno ad un tavolo), risponde con molta parsimonia, senza contare che c’è il rischio che se ne vada a metà senza dire niente perché ha l’impressione che qualcuno lo stia filmando dopo aver chiesto (tramite l’ufficio stampa) di non essere filmato. Capitò qualche anno fa per Vizio di Forma.

Invece quando è in buona te ne accorgi già prima dell’intervista, sui social, dove cominciano a comparire foto che altri si sono scattati con lui nelle vie intorno all’hotel in cui risiede. Lui e Rooney Mara in giro per Roma, tutti sorrisi e affabilità. È andata così stavolta. Addirittura quando poco prima di iniziare la conversazione si è accorto che una giornalista era attrezzata per filmare, invece che abbandonare l’intervista ha chiesto se per lei non fosse un problema non farlo: “Ti rovino la giornata se te lo chiedo?”.

Stavolta è a Roma assieme alla regista Lynne Ramsay per A Beautiful Day, titolo “italiano” di You Were Never Really Here, film crossover tra il genere e il cinema d’autore, presentato l’anno scorso a Cannes (e da lì recensito).

Questo film ha una trama che potrebbe quasi ricordare Leon, un killer duro, una donna che lo invischia in qualcosa d’altro e lo spettro di una morte possibile. Però ha proprio tutto un altro tono, cosa avete visto in questa trama altrimenti usuale?

LYNNE RAMSAY: “Per me inizia tutto dal personaggio, un uomo di mezza età in crisi. Da lì tutto si è evoluto in direzioni anche per noi imprevedibili. Potrebbe sembrare per certi versi un film d’azione ma non è così, non so spiegarlo bene, non sei il primo che mi fa dei paragoni con altri film ma davvero noi non ci pensavamo”.

JOAQUIN PHOENIX: “Uno degli obiettivi che ad un certo punto ci siamo posti è stato di esplorare diversi tipi di mascolinità. Il personaggio ha una brutalità che è sempre in agguato al pari di una grande tenerezza. Parlare di queste cose in un film di questo genere mi pare molto interessante. Poi c’è anche da dire che quando inizi a fare un film è lui, il film, a dirti cosa vuole essere, mentre lo fai inizia a cambiare e diventare cose che vanno anche al di là della tua comprensione. Ed è proprio il momento in cui ti arrendi e smetti di cercare di dargli una forma, che il processo diventa sorprendente. Almeno per me è quella la cosa bella. La semplice domanda: “Che cosa può essere di altro questa scena che stiamo per girare?” è ciò che ti fa combattere il genere, inteso come la struttura fissa di un film. Abbiamo cercato di pensare ogni scena non per quello che era ma per quello che di diverso poteva essere, per esplorare quel che solitamente non si esplora. Ad esempio nella scena finale, quella con il cecchino in cui tutti e due stiamo per terra, addirittura provi una certa simpatia per questo personaggio che ha comunque ucciso mia madre”.

Hai fatto un lavoro molto particolare sul corpo per questo personaggio, è qualcosa che hai aggiunto tu o era un’idea di Lynne Ramsay?

JP: “Ho capito fin da subito che dovevo mettere su quel peso e raggiungere quella stazza, non so nemmeno dirti perchè onestamente, è che ho visualizzato quel personaggio in quella maniera: qualcuno condizionato in una certa maniera che ora è a pezzi, non un eroe muscoloso e dal gran fisico, qualcosa di abbastanza diverso rispetto a ciò a cui siamo abituati”.

È stato proprio questa peculiarietà a convincerti ad interpretarlo?

JP: “Non credo di aver accettato il ruolo fino a che eravamo a metà delle riprese [ride ndr]. No in realtà è stato Darius Khondji, il direttore della fotografia [i due hanno lavorato insieme in C’Era Una Volta In America e Irrational Man ndr], ad avermi parlato di Lynne, mi disse che lei era l’unica regista con cui realmente avrebbe voluto lavorare. Mi ha incuriosito, così ho cercato di incontrarla e lei mi ha mandato questa sceneggiatura. Mi è sembrata una buona possibilità di esplorare cose che di solito non sono esplorate nel cinema di genere e ci ha eccitato entrambi”.

Questi personaggi poi ti lasciano qualcosa?

JP: “Ogni personaggio di ogni film influisce su di me, ma in maniere che non è possibile capire a pieno. Del resto qualsiasi cosa tu faccia per due o tre mesi, su cui ti sei concentrato e documentato ha un effetto su di te”.

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