Il nostro tour presso di Troublemaker Studios di Austin, Texas, prosegue con l’incontro con Steven Joyner, a capo dell’Art Department del film Alita: Angelo della Battaglia, che ci aspetta all’ingresso dei giganteschi capannoni che ospitano gli uffici dei creativi. Avendo appena visitato il set esterno Joyner inizia parlandoci del processo creativo che ha portato alla creazione di Iron City.

 

“È un mondo futuristico che però si ispira a Cuba. È un luogo dove la civilizzazione è terminata, è come se il mondo fosse tornato alle origini. La città si trova nei pressi dell’equatore. Le nostre ispirazioni arrivano dalla Costa Rica, il Messico, i Caraibi, lo si vede dai colori scelti, dal sapore.” Nella prima stanza incontriamo Caylah Eddleblute, capelli lunghi e bianchi, occhialoni e bandana in testa, un aspetto hippie che in realtà nasconde un’anima da fanatica della fantascienza, come fin da subito si descrive lei, puntualizzando di aver visto Alien almeno un centinaio di volte: “Il mio film preferito però è La Cosa di Carpenter, e poi adoro Ridley Scott, ci ha sempre ispirato.” Il team di cui fanno parte Caylah e Steven è composto anche da David Hack, decoratore, e Todd Holland, production designer. Tutti quanti hanno in comune la passione per la fantascienza e una lunghissima carriera alle spalle in questo genere di film, carriera che ha preso il via proprio con James Cameron: “Nessuno si aspettava che Terminator sarebbe diventato un cult, nessuno di noi credeva che avremmo continuato a fare questo lavoro con così tanto successo.”

In che modo Iron City è diversa dalla altre città viste nei film sci-fi?
Joyner: “Sicuramente essendo fan del genere sin da piccoli abbiamo una determinata immagine di quei mondi in mente, basti pensare a Mega Man per esempio. Ma ci hanno detto di stare lontani da Blade Runner, dai mondi monocromatici come in Divergent. Volevamo trasmettere una sensazione diversa.”
Eddleblute: “La città rappresenta anche una metafora della vita, dove in superficie le cose sembrano andare bene ma sotto sotto non è così.”

Avete avuto qualche indicazione da Cameron anche su quali film guardare per avere ispirazione nel creare questa città?
Eddleblute: “Non ci ha detto di guardare qualche film in particolare, ci ha dato indicazioni su quello che avrebbero voluto vedere sia lui che Jon che Robert. Ci hanno spinto a fare delle indagini. Uno dei libri che Cameron ci ha dato per prendere ispirazione è quello di Robert Polidori. E poi non sono importanti le decorazioni in sé, ma anche dove sono posizionate e il fatto di poterle mettere in altri posti e ridare agli oggetti un altro significato.”

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E nei loro uffici si respira fin da subito il lungo processo di esplorazione che ha portato all’ideazione della città post-apocalittica in cui Alita Battle Angel è ambientato. Poster, fogli, colori, sulle pareti, sulle scrivanie, i creativi ne sono quasi sommersi.

“È un melting pot di culture, è l’unica città rimasta sul pianeta. Alcune ispirazioni arrivano anche da Chinatown in alcuni punti,” continua Holland. “C’è stata un’evoluzione nel crearla, abbiamo cambiato idea anche mentre giravamo. Abbiamo voluto aggiungere sapori dell’Europa, della Grecia. Diciamo che in generale è il Sud America con altri pezzi di culture presi qua e di là. Abbiamo anche viaggiato tutti molto, c’è del Marocco, Siena, Calcutta, le cose che abbiamo visto in giro per il mondo. Molte influenze vengono da La Havana ma vi garantisco che c’è anche altro, ed è stato divertente. Un lavoro nato dal mix tra il digital department e gli altri team, una fusione tra le due cose.” E non è stato semplice trasformare le idee nate nel dipartimento dei creativi a livello pratico, puntualizzano: “Alcuni set fanno da mercato in alcune scene, poi vengono risistemati, cambiamo le luci e diventano un altro luogo,” spiega Eddleblute, unica donna del team. “Non importa quanto bello sia, deve essere funzionale, considerando la luce e tutto il resto. È un lavoro fatto in team, a fianco a fianco con chi gira, non è solo un lavoro che termina qui in questi uffici. Ma abbiamo tutti così tanta esperienza che siamo riusciti a costruire il set in quattro mesi. Una sfida di quando si costruiscono i set esterni è che se giri le scene di notte è molto semplice far sembrare la città bella, grandiosa, ricca, ma di giorno è più complicato non farla apparire piatta con la luce. Ci abbiamo riflettuto parecchio, ne abbiamo parlato con il direttore della fotografia Bill Pope, ci sono dei pezzi che sono stati messi per fare ombra e dare profondità al tutto.”

Avete letto Alita?
Joyner: “Sì, nove libri. Ce ne sono altri 26, ma nel film ne portiamo in scena due e una parte del terzo.”

Quale è stata la scena più difficile da rappresentare?
Hack: “Senza dubbio il motorball, ha richiesto moltissimo lavoro. Todd è andato a casa una sera dopo aver lavorato per ore sugli sketch, tutto è basato sui libri. Ci sono delle regole, come un vero sport.”

Come è lavorare con Robert Rodriguez?
Joyner: “Robert ha fatto vari film, in maniere diverse. Non è usuale però lavorare a un cosi grande progetto con lui. È una cosa che capita una volta nella tua carriera. È un grande atto di creatività.”
Eddleblute:”Siamo qui dalle 6:30 di mattina, di sabato, di domenica, bisogna costantemente lavorare e pensare al passo successivo, quasi in maniera militare.”

Chi è il capo qui?
Joyner: “Ne abbiamo tre! Senti la presenza di Jon Landau, di Jim Cameron ma anche di Robert Rodriguez.”
Eddleblute: “Rob è frenetico, non si ferma mai. È stato il montatore Steve Rifkin (Pirati dei Caraibi, Avatar) a fare il primo cut, la prima bozza di quello che è stato girato, ma Rob è sempre stato lì a supervisionare.

Sarà un film solo o dobbiamo aspettarci molti sequel?
Holland: “Eravamo consapevoli che sarebbe potuta diventare una saga. Dal primo giorno sapevamo che poteva andare avanti. Nella struttura infatti c’è molto ferro e meno legno proprio per questo. C’era già in partenza la prospettiva che dovesse durare almeno un anno. Infatti non butteremo giù nulla.”

Da i loro uffici ci spostiamo nell’immenso dipartimento che ricorda vagamente una falegnameria, dove gli oggetti prendono forma: i roller-skater futuristici, auto e moto fatte interamente negli studios. Qua e là, sparse nelle stanze delle creazioni, qualche chicca dal passato di James Cameron, come le maschere di Alien. “La cosa bella di lavorare con gli artisti che abbiamo a disposizione è l’entusiasmo che mettono nel creare,” ci racconta Joyner mentre attraversiamo la stanza dei calchi con i quali vengono creati i vari oggetti. “Quando gli abbiamo chiesto di realizzare un’automobile, non solo l’hanno ideata, ma hanno creato anche il garage in cui parcheggiarla, il modo in cui si mette in moto e altri dettagli. Ricordo che quando lavoravamo su Avatar chiedemmo di realizzare una creatura che poi chiamammo hellfire wasp (vespa gigante), e l’artista inizialmente ne disegnò una, poi ne disegnò cinque appollaiate su un albero tutte vicine in modo che si camuffassero e sembrassero un fiore. Ecco questa cosa non era stata richiesta ma arrivò e ci piacque, lo stesso sta accadendo ora con Alita.”

Steven ci accompagna all’esterno del capannone, la nostra visita ai Troublemaker Studios è terminata.
Prima di salutarci però ci mostra la moto a una ruota. Idea per la quale Jon Landau aveva spinto molto, Steven invece era scettico, non credeva potesse stare in piedi. Alla fine ha avuto ragione Landau e non passa giorno che non glielo ricordi…

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

Il film è l’adattamento cinematografico della graphic novel giapponese in 9 parti intitolata Battle Angel Alita e ambientata in un mondo post-apocalittico popolato da uomini, macchine e cyborg. Lo scienziato Dr. Ido recupera una cyborg, Alita, da una discarica del 26esimo secolo. Divenutone un surrogato di padre, Ido scopre che Alita è una sorta di Angelo della Morte che potrebbe rompere il cerchio di morte e distruzione nel quale ruota il mondo post-apocalittico, devastato 300 anni prima da una terribile guerra mondiale.

Alita: Angelo della Battaglia uscirà il 1 gennaio 2019 in Italia.

 

 

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