John Carroll Lynch sa essere buonissimo e cattivissimo. Nell’arco di una lunga carriera ormai più che ventennale, il nativo del Colorado è stato il marito più placido e subordinato del mondo in Fargo (1996) dei Fratelli Coen nonché il sospetto numero uno come possibile storico serial killer della cronaca nera nordamericana in Zodiac di David Fincher. Recentemente ha debuttato alla regia con il bellissimo Lucky, ritratto di un vecchio signore che vive al confine con il Messico impreziosito da una delle ultime prove del grande Harry Dean Stanton. Questa è l’intervista in esclusiva che BadTaste.it ha effettuato con John Carroll Lynch in occasione del suo debutto registico, premiato ai Festival di LocarnoGijón e Haifa, distribuito nelle nostre sale lo scorso 30 agosto.

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Come sei arrivato a questa prima regia?
Volevo farlo da una vita ma comunque devi sempre aspettare le giuste coincidenze. Un amico scrive una sceneggiatura che mi interessa, poi mi chiedono di recitare nel film una piccola parte da 4 giorni di lavoro, poi non riescono a trovare il regista… poi mi chiedono di dirigerlo!

Cosa ti ha convinto ad accettare?
Sono riuscito subito a vederlo leggendo semplicemente il copione. Mi sembravano belle immagini e belle parole. Un interessare punto di incontro tra mortalità e vitalità.

Qual era il tuo obiettivo?
Rispettare la sceneggiatura, girare quelle scene come erano state scritte e poi fare in modo che il pubblico si affezionasse al nostro protagonista Lucky senza perdere di vista la disciplina che la storia ci imponeva di avere a livello drammaturgico.

E per ottenere questo era importante avere Harry Dean Stanton?
Non era importante. Era fondamentale. Lucky a un certo punto è diventato un film per e su Harry Dean Stanton. Alcuni tratti del personaggio sono stati presi da Stanton e viceversa. Molte cose sono venute fuori da Dean come la musica mariachi di cui è cultore, la passione per i cruciverba da cui è quasi dipendente, gli esercizi di yoga da fare ogni mattina. Lucky è un solitario ed Harry non disdegnava affatto la solitudine. Harry, come Lucky, coltiva un enigmatico senso del sé. Durante le riprese non ti nascondo che per Harry è stato difficile perché per un attore così esperto e strutturato avere forse per la prima volta nella sua vita un personaggio da costruire insieme al regista prendendo molto spunto da sé… lo ha confuso e anche un po’ imbarazzato.

Com dire che la riservatezza di una grande “spalla” del teatro, cinema e televisione del dopoguerra sia stata messa in discussione da quello che stavate facendo ovvero un tributo ad Harry Dean Stanton. C’è chi si può vergognare di una cosa del genere, no?
Hai centrato esattamente il punto. Un uomo come Dean, abituato da anni e anni di duro lavoro a nascondersi dentro un film e dentro quei personaggi mai troppo appariscenti, ha dovuto con noi assumere per forza il ruolo della “diva”. Lo ha imposto il film, non certo lui. L’ho imposto io. Da attore capisco perfettamente lo sconcerto che ha provato durante la realizzazione del film. Non dimentichiamo che tutte queste emozioni e nuove fatiche sono arrivate mentre compiva 89 anni di età.

Lucky è un nordamericano che mi interessa molto. Ha fatto la II Guerra Mondiale -la cosiddetta Guerra Giusta-, è probabilmente un repubblicano convinto, non ama gli avvocati, crede fortemente nella libertà individuale e bofonchia qualcosa di lamentoso quando vede due gay dentro un locale. È quella strana America che ha contribuito alla vittoria di Trump?
Domanda interessante. Può essere. Siamo arrivati al progetto di Lucky prima che Trump vincesse le elezioni. Può essere che il nostro subconscio ci abbia portato lì. Volevamo vedere uno dei nostri padri, stargli vicino e capire nella sua solitudine come passasse le sue ultime giornate. Sono cresciuto in Colorado dove persone come Lucky erano davanti a me tutti i giorni. Non è un’America fantasiosa o romantica. È un’America reale.

Perché c’è questo riferimento così divertente all’espressione italiana “un gazz”? È un omaggio al personaggio che la usa nel film, interpretato dall’italoamericano James Darren?
No, è un’espressione che è stata dedicata a uno dei produttori del film proveniente dal Bronx. Gli sceneggiatori del film sono di origini italiane per cui hanno tenuto questo gioco di parole. È ovvio che James Darren ha capito al volo il significato di “un gazz” grazie alle sue radici italiane.

Scusa ma questa te la devo chiedere per forza: come è possibile che David Lynch sia finito a fare l’attore nel primo film diretto da John Carroll Lynch?
Non riuscivamo a trovare il personaggio di Howard. Eravamo disperati. Harry Dean Stanton prende in mano la situazione e chiede a David se se la sentiva di venire a fare Howard per il nostro film. David ha accettato subito. Penso lo abbia fatto per Dean. Era una grande amicizia la loro.

Era impegnato nella post-produzione della nuova stagione di Twin Peaks?
Sì, esattamente. Ha deciso di interrompere la post-produzione del film per venire a fare le sue poche scene con noi.

Hai mai avuto il dubbio che, essendo un tributo ad Harry Dean Stanton, avresti potuto calcare la mano maggiormente sul lato emotivo per ottenere più lacrime e magari una nomination Oscar per Stanton?
Sì certo. Ho pensato spesso a questo elemento possibile. Ma abbiamo subito deciso che anche se era un tributo alla sua carriera, il film non si sarebbe mai dovuto trasformare in un progetto di vanità personale. Dean non ama lo zucchero dentro i film e nemmeno io. Abbiamo deciso subito di non esagerare per non mentire allo spettatore. Questo film poteva essere molto più sentimentale ma avremmo rovinato l’arte di Harry Dean Stanton, il quale ha quella signorile sobrietà degna di un Marcello Mastroianni.

Qual è il ricordo più emozionante che hai di questa esperienza?
Una pausa. Una lente che si deve cambiare e io e Dean che ci sediamo insieme. Lui comincia a fumare una sigaretta. Momento di magico silenzio. Ho ancora i brividi a ricordarlo.

In conclusione una domanda che non c’entra niente con Lucky ma a cui devi rispondere con sincerità: sei tu Zodiac? Sei tu il mitico serial killer americano al centro di Zodiac di David Fincher?
Devo essere realmente sincero? Io non lo so se il mio personaggio nel film era effettivamente Zodiac. Durante il processo recitativo ho deciso di non prendere in considerazione l’ipotesi. Posso dirti che David… sì… era assolutamente convinto che io fossi Zodiac. Ma, intelligente e raffinato com’è, fin dal primo giorno mi ha chiesto di recitarlo utilizzando dei piccoli segni di innocenza interiore. In poche parole era convinto che io fossi colpevole anche se mi ha chiesto di recitarlo come un innocente.

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