Con questo titolo che fa pensare ad un film da vacanze, ad un cinepanettone spostato avanti di una settimana, Filippo Bologna (uno degli sceneggiatori di Perfetti Sconosciuti) fa il suo esordio da regista, presentandosi come una nuova alternativa all’idea di cinema delle festività. Anche se esce ben due mesi prima di Capodanno. Un’alternativa alle commedie che vuole essere diverso grazie alle iniezioni di genere.

Lo spiega lo stesso Filippo Bologna alla conferenza stampa del film:

“Come Lo chiamavano Jeeg Robot passa da Pasolini ai supereroi così ho fatto un western in cui ci sono il noir, la commedia, i generi e un pizzico di surrealismo. Il Capodanno in sé mi serviva perché è un motore di frustrazione. Tutti quanti sono sempre convinti che altrove ci sia una festa più divertente”.

La storia è quella di diverse persone che si riuniscono in una baita di montagna sperduta nella notte di Capodanno, molti sono lì perché è stata organizzata un’orgia ma è subito evidente che i padroni di casa non sono chi dicono di essere e che alcuni in realtà non sono lì per il sesso e hanno altri obiettivi. Nel corso della serata la tensione verbale e fisica svelerà tutto.
Ogni storia è una sfida, per Bologna, e in questo caso

“la sfida era cercare di raccontare un po’ il presente attraverso il pretesto del sesso che è trasversale, universale, un ponte tra le classi sociali sempre sfumate.
Questo film è un dramma da camera alla fine, abbiamo visto La Cena dei Cretini, Il nome del figlio e con Perfetti Sconosciuti siamo riusciti a far capire che sappiamo scrivere anche noi dei drammi da camera. Di certo l’unità di luogo semplifica e contiene la narrazione, esaltando la drammaturgia, non posso però disporre di budget milionari come gli americani, devo ingegnarmi con l’immaginazione. Da qui l’idea delle coppie che si incontrano a Capodanno per scambiarsi. Ma c’era un problema di scrittura perché ad esempio film come Compagni di Scuola o Il Grande Freddo hanno personaggi con un vissuto condiviso, un passato insieme, qui la situazione deve deflagrare da sé. Così abbiamo fatto in modo che ogni personaggio incarnasse una parte in gioco dei temi più caldi della società di questo momento, c’è un reazionario, un maschilista e una donna succube come anche un discorso sui migranti e sull’accoglienza”.

Il film è pieno di riferimenti più o meno diretti al cinema di Quentin Tarantino ma Bologna non si limita a quello:

“C’è Tarantino, ci sono i Coen, c’è tutto il cinema che ho amato. Diventa una metacitazione perchè Tarantino è già uno che cannibalizza il cinema degli altri, citando lui citi anche il cinema di serie B italiano. Ad ogni modo c’è anche Buñuel”.

Infine il film potrebbe sembrare una tipica commedia delle feste ma quest’idea è subito respinta:

“Credo che in qualche modo il cinepanettone sia un genere legato a un’Italia che non esiste più e che io identifico con la fine della prima repubblica, e che si è poi protratto con vari tentativi diversi di riesumazione. Un cinema che abbiamo amato, come il cinema dei Vanzina, di intrattenimento e popolare che ha svolto una funzione sociale.
Credo che guardando quei film nel futuro capiremo molto di più sull’Italia. Ho trovato un grande coraggio nei produttori e nella distribuzione che hanno creduto in un linguaggio un po’ diverso. La riproposizione sempre dello stesso cinema, lo dice anche il box office, non funziona. Poi non so come andrà questo film. Ognuno può cogliere quello che crede ma vorrei che fosse premiato il coraggio di produttori e attori di venirmi dietro in questa sfida”.

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