L’inizio di Coraline e la Porta Magica dice tutto e anche visto oggi, dieci anni dopo, rimane suggestivo e promettente. Delle mani meccaniche che scuciono e ricuciono macabramente delle bambole, inquietante e vitale al tempo stesso, con una musica falsamente rassicurante, sembra una sintesi di tutti i trucchi che il cinema ha per creare mistero, dall’uso di retaggi antichi (il filo da cucito delle Parche che associamo alla vita), all’omaggio a maestri contemporanei (c’è subito un’aria da Tim Burton & Danny Elfman) a trovate moderne (la musica in contrasto). È tutto così stranamente disturbante, così vicino al massacro e alla ricomposizione di un essere vivente, e così metacinematografico (viene realizzata una bambola in un film tutto fatto di pupazzi di plastilina) che ad una prima visione non può essere compreso a pieno. Eppure funziona.

Come scrisse all’epoca A.O. Scott sul New York Times identificando perfettamente il punto di tutto il film:

“…fino a quando non si avvicina...