Lo scenario della set visit di Terminator è sempre quello.

Il tendone battuto dalla pioggia sotto al quale abbiamo intervistato Linda Hamilton, Mackenzie Davis e Natalia Reyes.

Dopo la chiacchierata con l’interessante trio, affrontiamo un momento tipico delle set-visit: i tempi morti di pausa fra un’intervista e l’altra.

E lo facciamo nel modo abituale di questo contesto: mangiando, bevendo caffé e chiacchierando fra di noi, un mix di gente arrivata dalla Cina, dal Brasile, dall’Inghilterra dalla Spagna, dalla Germania, dalla Russia e, ovviamente, dall’Italia.

Poi, all’improvviso, l’ingresso del tendone viene scostato e vediamo entrate un poliziotto di El Paso, Texas.

È Gabriel Luna, l’interprete del villain della pellicola che, prima di sedersi al tavolo, stringe le mani a ogni singolo e singola giornalista presentandosi e ringraziandolo/a per l’imminente Botta&Risposta.

 

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Allora, com’è stato essere allenati da The Man Himself, da Arnold Schwarzenegger? Ho notato dai vostri social che ti ha fatto sudare parecchio qua in palestra a Budapest!

Mettiamola così. Come prima cosa mi ha detto “Wow Gabriel, preparati perché avrai a che fare con il Super Bowl delle sessioni di allenamento!”. Sì, ci siamo tenuti in forma qua a Budapest alla FlexGym, insieme al team che segue sempre Arnold quando si allena. Quando l’ho visto per la prima volta lì, non volevo disturbarlo durante la sessione di training, ma è stato lui a chiamarmi appena mi ha visto [imitando la voce di Schwarzie]: “Gabriel, vieni qui. Fai un po’ di pull down per i tricipiti”. Io “Sissignore!”. “Faremo una foto e io fingerò di contare”. Ho caricato di peso la macchina con tipo 50, 60 chili di roba, avevo davanti Arnold Schwarzenegger e volevo impressionarlo, ma lui “I pesi non saranno nell’inquadratura, non ti preoccupare” però io li ho lasciati comunque, ho iniziato l’esercizio e lui è entrato nel frame dell’inquadratura contando alla tedesca ed è venuta fuori una foto fantastica. E sono stato molto contento perché la prima volta che ci siamo incontrati, nel suo camper, mi ha stretto la mano e mi ha subito esaminato i bicipiti dicendomi “Non male i tuoi bicipiti”. Vi giuro, sono state le prime parole che mi ha detto. La prima cosa che mi ha detto Arnold Schwarzenegger è stata “I tuoi bicipiti non sono male”. Una bella esperienza.

Come sei stato coinvolto nel progetto di questo nuovo Terminator? 

Mi hanno coinvolto abbastanza presto, era lo scorso dicembre [2017, la set visit si è svolta a settembre 2018, ndr.]. Ero abbastanza limitato nelle mie scelte di lavoro per via del contratto con la Marvel per Agents of S.H.I.E.L.D., tutto quello che mi veniva proposto doveva passare da loro e ricevere l’eventuale approvazione. Poi un giorno mi chiamano e mi dicono “Ti vogliono per il nuovo Terminator, ma non c’è ancora una sceneggiatura”, al che ho detto “Ok, ci sto” ed è stata la prima volta che mi sono spinto così all’avventura per un progetto dove non avevo neanche letto una parola della storia. Dopo il mio primo incontro col Mindy, la nostra meravigliosa direttrice del casting, le cose devono essere andate decisamente bene perché due settimane dopo, prima di andarmene in vacanza per Natale, ero a un meeting per discutere del film con Tim Miller. Si vede che era rimasto favorevolmente colpito dal mio provino in cui ho dovuto rifare una scena di Collateral, visto che appunto non si poteva fare roba da questo film. Solo che poi me ne sono dovuto stare buono e paziente senza sapere altro fino a dopo le feste perché anche a Hollywood, fra dicembre e gennaio, chiude tutto. Sono stato in vacanza a Kauai, poi sono tornato a Los Angeles a seguire le mie robe di lavoro, ostentando tranquillità. A febbraio ricevo un’altra telefonata: Tim voleva incontrarmi di nuovo. Il meeting era alla Blur Company che sta proprio di fronte ai Culver Studios dove giro le mie robe di Ghost Rider, una coincidenza interessante. Ma poi pure la sera prima, mi sono trovato ad ascoltare Robert Patrick (il T-1000 di Terminator 2) in un podcast dove parlava della sua esperienza con il film di James Cameron, compreso il casting che, passo dopo passo, sembrava un processo simile a quello che stava portando me nel cast di questo nuovo film. Fra l’altro, mentre stavo lì da lui che aspettavo di parlarci, mi prendo un bicchiere d’acqua che finisco inavvertitamente per rovesciare su alcuni suoi fumetti. Tento di asciugarli come posso e una voce alle mie spalle mi chiama, era lui che mi domandava “Gab, ma che stai facendo”, “Scusa amico, mi è cascata dell’acqua sui tuoi fumetti” e lui “Ma non importa, ne ho degli altri eh” e, in effetti, la parete era piena zeppa di albi, una roba impressionante, pile dal pavimento al soffitto. In quell’occasione ho conosciuto tutto il team e lui mi trasmetteva impressioni positive perché parlava di me in seconda persona “Nel film farai questa cosa e poi questa”. Insomma, ero abbastanza sicuro di avercela fatta. Ma in realtà avevo ancora degli altri salti nei cerchi di fuoco da fare, tra cui un test per gli stunt, non un grande problema perché ero già allenato per gli altri miei impegni, un altro screen test e un incontro con David Ellison della Skydance. E, per concludere, l’approvazione finale di un tale chiamato James Cameron che era, fra l’altro, mediamente impegnato nella lavorazione del seguito di un piccolo film chiamato Avatar. È stato lui a sancire il mio ingresso nel cast.

Battute su Deadpool sul set?

No, assolutamente no. Siamo molto concentrati sulla nostra storia. Ma facciamo svariate battute su Terminator, quello sì.

Come hai lavorato sul personaggio una volta ricevuta la sceneggiatura?

Ho cominciato con la sua fisicità, i suoi movimenti e ho lavorato su queste cose per qualcosa come tre mesi. Cercando di mantenere una certa neutralità. Sai, leggendo la sceneggiatura, mi accorgevo di voler dare più profondità ai tratti umani di questa macchina, ma poi ho realizzato che quello che rende, ieri come oggi, dei film incredibili i primi due Terminator, è proprio questa neutralità espressiva dei Terminator che infatti hanno sempre pochissime battute nelle sceneggiature. E mi sono rimesso a lavorare su quello, sulla neutralità espressiva, sulla fissità dei movimenti. Che è quello che rende indimenticabile ed eccezionale l’interpretazione di Robert Patrick, che ha dato vita a una sorta di Ted Bundy o Richard Ramirez robotico, il suo T-1000 è sostanzialmente come un serial killer. Trasmettere energia attraverso l’assenza di movimento, un concetto che ho discusso molto spesso con Arnold. Ogni gesto assume un peso maggiore se nasce da simili presupposti. Insomma, “se una cosa non è rotta, non sistemarla”.

Quanto differisce il tuo personaggio da quello di Arnold?

Guarda, è una cosa in merito alla quale abbiamo discusso moltissimo, principalmente perché lui voleva che io avessi tutto lo spazio possibile per fare le mie cose. E in materia di consigli, giravano tutti intorno ai concetti di cui ho parlato poco fa: “Cerca di essere immobile, di mantenere una posizione che possa essere un fulcro che ti permette di ruotare in ogni direzione”. Sentire queste cose dal Terminator originale è stato importantissimo e mi ha fatto capire che stavo andando nella direzione giusta. Anche se ammetto di aver basato buona parte del mio personaggio sui serial killer. Cercando sempre di mantenere ben riconoscibile quel “cavo” che unisce i Terminator dei tre film perché, non dimentichiamolo, questo è un sequel diretto dei primi due. Arnold e Patrick sono stati due enormi fonti d’ispirazione. Anche fisicamente ho cercato di lavorare in palestra per tentare di dare vita a una specie di ibrido fra i due.

Quando hai visto per la prima volta i due Terminator?

Ho visto per primo il secondo quando è uscito al cinema, ci sono andato con mia madre, penso si trattasse del primo film vietato ai minori che vedevo. Mi colpì, ci colpì come colpì tutto il mondo. Una indimenticabile avventura che ti trascinava fin dall’inizio. Ti sedevi sulla poltroncina del cinema e via, si parte. Attitudine che abbiamo cercato di preservare anche con questo film, col suo storytelling muscolare e preciso. Poi, dopo aver visto il secondo film a poco più di dieci anni, mia madre decise che dovevo vedere anche il primo. A quel punto però c’era anche Jurassic Park che stava uscendo, la Industrial Light & Magic stava creando queste robe sensazionali, così come con Terminator 2. Era l’alba di questa nuova era di effetti speciali e filmmaking e così, quando io e mio fratello abbiamo visto il primo siamo rimasti un po’… “Meh” perché, chiaramente, avevamo dieci anni. Poi dopo l’ho visto e rivisto e, crescendo, mi rendevo conto dell’incredibile risultato che era stato raggiunto con quella pellicola. Il primo Terminator di James Cameron è stato una sorta di vero e proprio ponte fra l’action vecchio stile, col matte painting e la stop motion, pellicole come Gli Argonauti, Scontro di Titani, e le nuove pellicole d’azione che avrebbero poi impiegato gli effetti speciali digitali. Un giorno, parlando con David Ellison, mi ha raccontato di come James abbia ancora, nel suo ufficio, l’endoscheletro in scala che ha usato per le riprese di Terminator.

Beh, ma allora come stai vivendo il far parte di un film di Terminator? Te lo chiedo perché abbiamo praticamente la stessa età e condividiamo una storia molto simile per la visione dei primi due. Cioè, se penso a quanto ho amato da ragazzino quei film – che adoro tutt’ora – e faccio mente locale sul fatto che ora mi trovo sul set del loro seguito stento a crederlo…

Beh, è grandioso no? Dunque, per quanto mi riguarda, non vorrei stare troppo sul metafisico o robe di questo tipo, ma è come se qualcosa, qualche forza intangibile mi abbia sempre spinto verso questo progetto. Amo questi film e li ho sempre amati, come penso molti di noi sotto questo tendone. Terminator 2 è un vero e proprio pilastro della storia del cinema, specie del cinema d’azione, è una di quelle pellicole leggendarie che regge al passare del tempo. Pensa solo all’utilizzo che James ha fatto della tecnologia che aveva iniziato a impiegare in The Abyss che ha poi dato vita al T-1000. È stato un film seminale in così tante maniere, ma per me, negli ultimi quattro anni che ho trascorso lavorando a Hollywood, in quel percorso che ho fatto per “farmi un nome”… ricordo che stavo lavorando al finale di Matador, la serie di Robert Rodriguez dove interpretavo Tony Bravo, e stavo su questo ponte nella downtown di Los Angeles… mi guardavo intorno e pensavo “Mi pare di stare in Terminator” e in effetti stavo proprio sullo Sixth Street Viaduct dove il T-800 a bordo del camion insegue Sarah Connor e Kyle Reese. Flash forward. Qualche anno dopo vesto i panni di Ghost Rider nella serie tv Marvel. Lavoro a una scena dove l’agente Coulson mi insegue a bordo della sua Corvette Rossa a ridosso del LA River. Mi guardo intorno e via radio dico a tutti “Ma nessuno di voi ha delle vibrazioni da Terminator?”. E infatti eravamo nel punto esatto dove Robert Patrick scagliava nel viadotto il TIR, il climax dell’inseguimento alla moto del T-800 che stava traendo in salvo John Connor. Curiosamente, mi sono trovato più e più volte a lavorare negli stessi punti in cui Arnold, in passato, aveva lavorato a Terminator. Essere qua, sul set del sequel del Giorno del Giudizio… è surreale, sconvolgente, ma, allo stesso tempo, mi pare di essere esattamente nel luogo esatto dove dovevo essere.

 

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Dicci qualcosa del lavoro con Arnold e Linda.

Sai, la cosa paradossale è che non giriamo quasi mai insieme, con Arnold dico. Anche Linda Hamilton, mentre facevamo colazione un giorno, mi ha raccontato di come in realtà, ai tempi del primo Terminator non l’avesse praticamente mai visto. D’altronde è nella natura stessa di questi film, è come girare due film differenti allo stesso tempo. Anche in questo momento, io sono qua con voi, gli altri stanno girando le loro scene nella casa in mezzo al bosco. E se ci pensate bene è una cosa che ha senso perché se fossimo nella stessa stanza cercherei di eliminarli. Ma lavorare con Linda in quelle poche scene che abbiamo girato insieme è stato meraviglioso. Poi è chiaro, fuori dal set spendiamo un sacco di tempo insieme ed è una persona splendida, piena di energia. Quando ci siamo incontrati la prima volta e il produttore me l’ha presentata [si interrompe per perché un TIR sta facendo manovra fuori dal tendone e fa un gran baccano]. Insomma, viene da me, ci presentiamo, ci stringiamo la mano, guardo i suoi incantevoli occhi blu, scambiamo qualche parola e poi ci risalutiamo. Michael, uno dei nostri parrucchieri, era lì e mi fa “Amico, ma hai la pelle d’oca sulle braccia” ed era vero, perché mi ero emozionato tantissimo. Con Arnold sapete già che trascorro tantissimo tempo in palestra ed è un grande. Ed è bello poter dire qualcosa del genere su una persona che è stata un eroe della mia infanzia e adolescenza, come immagino per molti e molte di voi. Cerco di gustarmi ogni singolo momento che trascorro con loro perché c’è una reunion davvero speciale in questo film. E sono enormemente grato di poter contribuire nel mio piccolo.

Sei vestito da poliziotto. Da dove vieni?

Io? Sono del Texas [ridendo, ndr.]. Dunque, non posso dirvi molto sul mio personaggio però l’outfit dice già qualcosa [sul costume di scena è ben visibile lo stemma della polizia di El Paso, ndr.]. Anche perché cosa sarebbe un film di Terminator senza un uomo in divisa?

È interessante interpretare il cattivo in film di Terminator? Lo chiedo perché al pubblico sembra piacere più dei buoni…

Ti darò la risposta standard che do a tutti quelli che mi chiedono questa cosa. Sono cattivo quanto può esserlo il tuo tostapane. O il tuo frigorifero. O il tuo forno a microonde. Faccio semplicemente quello per cui sono stato costruito. Penso che sia per questa ragione che il pubblico riesce non dico addirittura a empatizzare con queste macchine, ma a riconoscere che sono robot costruiti e programmati per adempiere a uno scopo. Il tuo freezer è cattivo? No! Ti tiene i gelati al fresco! Io sono un Terminator e mi occupo di “terminare” le missioni.

Scherzi a parte, c’è qualcosa di affascinante in queste entità inarrestabili che devono seguire delle direttive e sono sostanzialmente incorruttibili. Non puoi distoglierle in alcun modo dalla missione, non hanno la fallibilità umana.

Ti sei dovuto allenare anche con le armi?

Sì, lo abbiamo fatto tutti insieme, anche per imparare adeguatamente i corretti movimenti da fare. Anche se, nell’allenamento in senso stretto, ho studiato molto Bruce Lee perché, oltre a essere stato un maestro d’arti marziali leggendario, è stato un grande attore di cinema d’azione, con un senso della scena impareggiabile. Mi sono riletto anche i suoi libri sul jeet kune do, mentre mi allenavo. E prima di cominciare le riprese dovevo allenarmi 5, 6 ore al giorno, fra palestra, combattimento, armi e stunt. Siccome quando poi cominci a girare il film, paradossalmente finisci per perdere un po’ quello che avevi “guadagnato” nella preparazione allo shooting, ho chiesto, e la produzione è stata gentilissima ad accontentarmi, di poter continuare a “rinfrescarmi” la memoria col team degli stunt e dei trainer quando non sono impegnato sul set perché non mi andava di stare con le mani in mano e volevo mantenere la mente e il corpo sempre pronti e scattanti. La cosa divertente è che poi, quando mi alleno in palestra qua a Budapest con Arnold lui mi dice “Ok, fletti i bicipiti! Fammi questa posa e quest’altra!” usando questa terminologia del bodybuilding che ignoro, così me la fa vedere lui “Metti il braccio così e la gamba in questa maniera” e se faccio le cose per bene mi dice “Molto bene”. È davvero gratificante ricevere la sua approvazione, vedere che riconosce lo sforzo che sto facendo nel portare avanti la tradizione di Terminator. Un film come questo richiede dedizione e sforzi.

Com’è stato incontrare James Cameron?

In realtà è il mio personale Mago di Oz. Non l’ho ancora incontrato personalmente! Personalmente lo reputo un genio e penso di essere in buona compagnia. Ha rivoluzionato il cinema con ogni film che ha fatto. È uno che ha deciso di andare in fondo all’oceano a vedere coi suoi occhi il Titanic per poi convincere la Paramount a farci un film che sì è semplicemente rivelato il secondo maggior incasso della storia del cinema. Ma è come se avesse usato la scusa del film, questo moderno Romeo e Giulietta, per togliersi la curiosità di esplorare le profondità oceaniche. Si prende una lunga pausa. E tira fuori dal cilindro una robetta come Avatar. Il film più grande di tutti i tempi. Non puoi non ammirare l’energia, la creatività di questo filmmaker e non vedo davvero l’ora di incontrarlo. È stato un pioniere degli effetti visivi, parlava di film tutti in CGI quando gli studios neanche riuscivano a capire cosa volesse significare. Guardate anche il cinema di oggi, anche questo Terminator dove lavoriamo con le eccellenze della ILM. La computer grafica è importantissima nel cinema di oggi e James è stato un precursore in tal senso. E non è un caso che abbia scelto Tim Miller per una pellicola del genere, un regista che viene dagli effetti speciali, che li conosce. Personalmente credo che chi ha un background come quello di Tim abbia un senso dell’immaginazione molto più sviluppato. Riesce a capire molto meglio dove piazzare la macchina da presa e come comporre l’immagine in scene ricche di effetti speciali, è come se avesse una graphic novel del film stampata in testa.

Che input ti ha dato Tim per il tuo personaggio?

Sai, si tratta di una parte differente da tutte le altre. Se interpreti una macchina devi “recitare poco” e io sono davvero una di quelle persone convinte del fatto che “di meno è meglio”. E Tim la pensa come me, mi ha detto “Fai le tue cose, ma…”, “Sì, lo so non devo sbattere le ciglia”. Mi ha raccontato questo aneddoto di quanto David Fincher stava girando uno spot con Brad Pitt, credo fosse per una compagnia telefonica cinese [in realtà era giapponese, ndr.], in cui c’era lui che doveva stare al telefono mentre imperversava questo uragano e, per fare l’effetto del vento, c’erano questi motori giganteschi che gli soffiavano l’aria addosso e lui, chiaramente, evitava di indirizzare lo sguardo verso le turbine, chiudeva gli occhi, ma poi, quando David Fincher ha gridato “Azione!”, Brad stava al telefono, camminando senza sbattere ciglio e tutti “Ma come cavolo fa? Come ci riesce?”. Al che Fincher si gira verso la troupe e dice “È recitazione”. È il suo aneddoto tipico quando scherziamo sul fatto che “Non devo sbattere ciglia”.

Hai citato l’importanza dei primi due Terminator, quindi come si pone questo film rispetto a loro, specie in relazione al fatto che, in materia di effetti speciali, il “less is more” non è necessariamente un plus?

Bella domanda. In questi anni il pubblico si è abituato vedere di tutto e ha visto di tutto. Che fare quindi? Di sicuro devi abbracciare tutti quegli elementi pratici del filmmaking perché col digitale abbiamo superato un certo punto di non ritorno. Facciamo più cose possibile direttamente nella macchina da presa, tentando di rendere più tangibile quello che stiamo facendo. Stiamo tornando alle origini. Non voglio parlare male di altri film, ma prendi Transformers che ha un sacco di scene di azione fighissime alle quali, secondo me, manca la concretezza. Non puoi “toccare” quello che vedi perché tanto è tutto generato al computer. Qua cerchiamo di mantenerci in equilibrio pendendo, addirittura, più dal lato pratico, un ritorno alle origini di ciò che ha reso memorabili questi film. E penso che ci stiamo riuscendo, cosa che mi rende molto felice.

Ci hai parlato del tuo frigo e del tuo microonde, ma qual è il tuo rapporto con la tecnologia, che ne pensi delle Intelligenze Artificiali sempre più… intelligenti?

Sai, quando ero più giovane resistevo parecchio a queste cose. Mi sono iscritto a Facebook, per dire, molto tardi, ci ho messo tantissimo a abbandonare il mio vecchio Nokia per il mio primo iPhone… Anche al college, odiavo fare le foto, sai tipo superstizione aborigena dal “mi succhia via l’anima” [risate, ndr.]. Che è una roba paradossale per un attore. Ma ora è un aspetto prevalente della vita di tutti i giorni e non puoi evitarlo e, in questo, c’è anche un senso di arrendevolezza. Mi sono arreso ai social, alla tecnologia. Ma capisco l’importanza di usare delle piattaforme che mi permettono di entrare in contatto con le persone che supportano quello che faccio, che fanno il tifo per te e queste sono cose belle. Poi amo ancora scrivere lettere a mano e talvolta rispondo così alle persone, altre rispondo a un po’ di gente su Instagram. E oggi [prende in mano l’iPhone, ndr.] è questo il mio ufficio. Leggo copioni, mail di lavoro. Mia moglie ha un computer – è una scrittrice – e lo usa per i suoi lavori, ma io non ho un computer da 10 anni perché non mi serve, faccio tutto da mobile. Cerco di tenermi al passo e informato sulle nuove tecnologie, specialmente quelle collegate al mondo del cinema, penso che, anche se sei un attore, più cose sai del processo che dà vita a un film meglio è perché con questa consapevolezza puoi rendere più agevole il lavoro delle altre persone levando un po’ di carico dalle loro spalle e credo sia il minimo che si possa fare quando tutti, su un set, lavorano affinché gli interpreti e le interpreti di un film possano risaltare al meglio di fronte alla macchina da presa. Mi piace tenermi aggiornato sugli avanzamenti tecnologici delle machine da presa e delle relative tecniche di ripresa. Ma per quel che riguarda la mia sfera privata mi sono completamente arreso pur cercando di mantenere una certa distanza.

CORRELATI CON TERMINATOR: DESTINO OSCURO

Terminator: Destino Oscuro sarà al cinema il 31 ottobre.

Nel cast vi saranno Mackenzie Davis, Natalia Reyes, Diego Boneta, Gabriel Luna, Linda Hamilton e Arnold Schwarzenegger.

Tra gli sceneggiatori coinvolti ci sono David GoyerCharles EgleeJosh Friedman e Justin Rhodes, che stanno lavorando a stretto contatto Ellison e Cameron.

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