Dopo 4 anni di sperimentazioni, test e prove con realtà virtuali di nuova generazione al Festival di Venezia è abbastanza evidente che quando la tecnologia funziona, quando l’idea è accattivante e quando il design è convincente, quando insomma tutto va come deve andare il corpo pensa di poter toccare quello che vede. Per distinguere una buona realtà virtuale da una meno buona questa sembra la prima discriminante: la tentazione di toccare ciò che è davanti ai nostri occhi, la forte sensazione che esista davvero per quanto pupazzoso, disegnato, fasullo e implausibile sia.

Alla terza edizione di Venice VR, il concorso per opere in realtà virtuale del festival di Venezia, non è stato Pagan Peak VR ad impressionare, cioè il titolo molto videoludico che mette il fruitore in una escape room con tanto di controlli alle mani per rovesciare tutto, cercare indizi e fuggire dalla stanza. Non è stato The Key, l’installazione con attrice in cui osserviamo un alieno e le sue storie per poi scoprire c...