È costato un quinto di quanto costano i film italiani”: questa è la bottom line di Lockdown all’italiana, film fortemente voluto da Enrico Vanzina, che oltre a scriverlo e dirigerlo ne è anche produttore, e per il quale tutti si sono ridotti la paga. Un film fatto per dare alle sale del contenuto da proiettare. E ovviamente per iniziare a raccontare il lockdown.

Enrico Vanzina, collegato via Skype, il giorno dopo la presentazione del film ci racconta com’è nato, com’è stato fatto e cosa caratterizza questo film che ha fatto discutere prima ancora di essere visto come non capitava da anni. Capace di catalizzare rabbie e fastidi sopiti ma anche di polarizzare e attirare solo con una locandina e un titolo. E in questo senso riuscito. Un’operazione rapida da autori alle prime armi con budget ristretti e tutta di idealismo.

“Quando ho chiamato gli attori e Giampaolo Letta di Medusa le parole d’ordine erano due, la prima era “essere i primi”, altrimenti la materia invecchia e sei subito un reperto. La seconda era che questo non sarebbe stato un film fatto per guadagnare. Solo così potevamo farlo in fretta, con troupe ridotta, rispettando tutte le paghe sindacali, seguendo le direttive anti-covid. Tutti, me compreso e attori compresi, si sono più che dimezzati l’ingaggio. È stata una scommessa di tutti e tutti l’hanno fatto con un entusiasmo rarissimo, l’hanno fatto per continuare a fare cinema, per uscire in sala e vedere che succede”.

Forse proprio per questo, viste le magre cifre del box office Lockdown all’italiana sarà l’unico film ad andare in positivo…

“Non lo so, ignoro cosa ci sia nella testa degli spettatori. C’è un’atmosfera complicata nel paese e non so come reagiranno”.

Lockdown all'italiana stella

Hai scritto Lockdown all’italiana pensando che sarebbe stato girato in un regime di normative anti-covid?

“Beh ho dovuto pensare un film che si prestasse. Non poteva essere una storia d’azione o di rapina, né un film d’amore con personaggi che si toccano ma uno di dialoghi, teatrale, con personaggi che si scontrano a parole. La cosa incredibile è che nonostante il basso costo e le condizioni il risultato scenografico è buono, quasi un film sperimentale”.

Ci sono soluzioni di regia particolari che mai avevo visto negli altri film da te sceneggiati, di certo non in quelli diretti da Carlo Vanzina, come quel piano sequenza circolare intorno al tavolo mentre parlano Martina Stella e Ricky Memphis. Spezza moltissimo con il resto della messa in scena. Come ti è venuto?

“Alle volte queste decisioni non sono frutto di teoria o di desideri specifici. C’è un bel libro scritto da Sidney Lumet in cui racconta di quando incontrò Akira Kurosawa e gli volle parlare di un’inquadratura che aveva amato in Kagemusha, un’idea fantastica. Kurosawa gli rispose che quell’inquadratura era l’unica possibile perché c’era in realtà una fabbrica nello sfondo e solo così riusciva a non farla vedere. Il cinema è così. Ecco anche io quel piano sequenza l’ho fatto perché non avevo scelta, c’era poco tempo e un campo-controcampo era troppo lungo da preparare. Così ho fatto una cosa alla Lelouch che un po’ rompe con il resto del tono, è vero, ma siccome è una scena di confessione sembra un po’ free cinema, ci sta bene in un film così semplice”.

È veramente inusuale per un film a marchio Vanzina…

“Pensa che io in realtà Lockdown all’italiana volevo farlo tutto così, tutto macchina a mano con piani sequenza un po’ lunghi ma la videocamera che ci hanno dato era più pesante di quella che mi avevano promesso, quindi sarebbe stato complicato e allora ho optato per una tecnica classica, diciamo alla Steno” [ride]

Ti è piaciuto fare il regista?

“Sì mi sono divertito ma sai, alla fine io ho vissuto tutta la vita con i registi. Però ecco c’è una cosa che una volta lessi su un libro di sceneggiatori americani in cui uno di loro passato alla regia spiegava che magari scrivi una scena all’alba con molto sole, un cavallo bianco in riva ad un lago e una donna bionda, poi quando la vai a girare magari quel giorno c’è penombra, la donna non è proprio bionda e il cavallo non è bianco. La regia è tutto compromessi”.

Lockdown all'italiana C’è anche un’altra inquadratura che mi ha colpito, sempre perché mi sembrano scelte di regia mai viste nei tuoi lavori con o senza Carlo, è l’immagine finale. Ricky Memphis e Martina Stella che guardano fissi in camera, serissimi, e poi il nero. Cos’è?

“Eh lì mi sono divertito. Visto che tanto non avevamo un gran budget di cui rientrare (un dettaglio che pesa sempre sulla testa di chi fa cinema popolare) invece dei compromessi al ribasso lì li ho fatti al rialzo. C’è prima un’ultima inquadratura su Paola Minaccioni in stile Gloria Swanson che guarda in macchina impazzita, e poi quel finale da Parasite con loro due che sono diventati cattivi e hanno uno sguardo che nelle intenzioni è una risposta alla domanda: “Saremo migliori dopo il lockdown?” e la risposta ovviamente è NO”

Non ci hai messo la politica…

“Lì mi sono autocensurato, volevo mettere qualcosa sulla confusione della comunicazione di quelle settimane ma mi pareva irrispettoso, una fotografia solo parziale di un momento molto più complicato. Non era qualcosa che si poteva stigmatizzare in un film leggero come Lockdown all’italiana“.

A differenza di altri tuoi protagonisti borghesi come Christian De Sica, Max Tortora o Gigi Proietti, a Greggio ai dato delle note intellettuali particolari. Te le ha ispirate lui?

“Inizialmente non avevo pensato a Ezio Greggio, ci ho pensato solo ad un certo punto. Lui è un uomo molto intelligente e diverso da come appare, è il borghese colto di provincia, si vede bene nel film di Avati. È un po’ come Paolo Villaggio che non ha mai mollato fino in fondo nonostante fosse molto colto e sapesse di Proust e Mahler. Ecco anche Ezio Greggio è così, mi piaceva in un film sguaiato mettere un borghese colto con una sua malinconia. Tanto che gli ho tolto anche alcune cose buffe, delle battute concordate che mi pareva che non avessero il tono giusto. Il tono di Greggio è perfetto nella scena in cui parla con la moglie a tavola dove è sia vero che buffo. Volevo questo e lui del resto è molto contento del ruolo. C’è qualcosa di diverso dal solito già nel pensiero. Sai con Christian ti devi adattare a lui, con Ezio no, puoi fare cose diverse”.

Sembra che tu abbia impostato tutto sulla ricerca della felicità però

“Sì, il film inizia con una frase di Prevert e c’è una ridondante presenza di Vittorio Gassman in film in cui cerca la felicità e il personaggio di Ezio Greggio tra tutti è quello che la cerca in maniera cosciente. Come dicevano i grandi sceneggiatori italiani, non si danno giudizi sui personaggi negativi, è bello che il pubblico ami le loro fragilità”

Lockdown all'italiana greggio

Beh difatti il personaggio ha la classica voglia di vita e fame di consumare, avere donne, vivere e godere dei tuoi protagonisti

“2-3 anni fa sul Messaggero ho scritto un articolo su cosa sia la felicità, il mio sguardo da chi racconta gli altri guardandoli. La felicità è accettare i propri limiti. Intorno a me c’è chi non li accetta, gli scemotti che vogliono essere intelligenti e i brutti che vogliono essere belli e non sono felici, quando invece se corressero nel loro campionato potrebbero essere i primi”.

Ci sono molti film guardati dai personaggi, tutti molto grandi e importanti e in mezzo ci hai messo anche Sapore di mare. Ti fa piacere autocitarti così e metterti tra i grandi?

“In realtà l’ho fatto perché questo film l’ho prodotto con De Micheli che ha i diritti di mezzo cinema italiano, così ho fatto qualcosa che non si può fare mai. Sarebbe troppo complicato e costoso pagare tutti quei diritti, ma tanto ce li ha lui e allora ce li ho messi. È una piccola carrellata di film suoi che io adoro. Ho letto che Paolo Mereghetti ha scritto che sono un cretino perché così si vede la differenza tra quei film e il mio, ma l’ho fatto con grande onestà volevo bene a Risi e l’ho messo, così a Sordi che fu un amico di famiglia, volevo bene a Scola e l’ho messo (inoltre quella scena ha un senso perché parla di felicità).
Sai c’è anche che ogni personaggio guarda qualcosa di diversi che gli possa parlare: Ricky Memphis guarda Al bar dello sport e ascolta I fichissimi, senza contare che sceglie il pezzo più plebeo di Alberto Sordi, una caratterizzazione; Paola Minaccioni sogna una storia con un ballo da Profumo di donna, mentre in realtà è sola; invece Martina Stella in una chiave più pop mi pareva giusto sognasse qualcosa dell’immaginario toscano e così ci ho messo Sapore di mare”.

Farai altri film da regista dopo Lockdown all’italiana?

“Vedo pochi registi di commedie in giro e alcune cose che ho scritto e scriverò non so proprio chi potrebbe dirigerle. Se non trovo nessuno le farò io”.

Lo farai come avevi in mente di fare questo tutto macchina a mano e free cinema?

“Mi divertirebbe, basta che mi danno la videocamera leggera! Ad ogni modo c’è una differenza che un po’ mi blocca, se lo fai con macchina a mano se schiavo dello sguardo dell’operatore e dei monitor. Vedo i registi più giovani che sul set sono attaccati ai monitor, io invece voglio vedere i volti degli attori”.

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