Auguri per la tua morte, uscito tre anni fa in occasione di Halloween, è uno degli slasher più divertenti ed educati degli ultimi anni. Appesantito nelle aspettative dall’etichetta “prodotto dalla Blumhouse” e salutato con un po’ di freddezza dalla critica (anche) perché meno violento della media del genere e dei prodotti della casa di Jason Blum, il film con Jessica Rothe era effettivamente un’ottima commedia (soprattutto grazie alla sua protagonista) ma un horror mediocre, depotenziato tra l’altro dal fatto di parlare di una tizia che muore con regolarità a fine giornata e si risveglia la mattina precedente per ricominciare il loop – è difficile tenere alta la tensione o rendere spaventoso un killer se sai già in partenza che vincerà lui.

 

Auguri per la tua morte Jessica Rothe

Il segreto del successo di Auguri per la tua morte

Il fatto di non essere abbastanza violento per essere uno slasher non impedì ad Auguri per la tua morte di incassare 25 volte il suo budget e diventare il terzo film di maggior successo della Blumhouse nel 2017, un ottimo risultato considerata la quantità di prodotti che escono ogni anno con quell’etichetta e che quell’anno se la giocò con Get Out e Split. E non ha impedito al regista Christopher Landon di, per così dire, tornare sul luogo del delitto due anni dopo, con Ancora auguri per la tua morte, il sequel che non ci aspettavamo (perché la storia di Tree si concludeva in maniera soddisfacente alla fine del primo capitolo) e soprattutto del quale non sapevamo di avere bisogno.

Ancora auguri per la tua morte è un lodevole esempio di coraggio creativo; invece di replicare la formula del primo film, Landon (che questa volta non si limita a dirigere ma scrive anche) decide di eliminare tutto quello che non andava nel primo capitolo, cioè l’horror, e di puntare tutto su quello che invece funzionava: la commedia, ma soprattutto l’aspetto sci-fi della storia, quello legato ai viaggi nel tempo che nel primo capitolo era soffuso di un’aura di soprannaturale e che nel secondo diventa invece una questione di scienza pazza ed esperimenti proibiti condotti in laboratori più o meno segreti.

 

Ancora auguri per la tua morte

Auguri per la tua morte e il genre swapping

A fare da collante tra il primo e il secondo capitolo c’è sempre Jessica Rothe, il fulcro intorno al quale ruota tutta la vicenda e un’attrice con un talento comico fuori dal comune e le cui qualità aiutano Landon a fare il Grande Cambio di Genere: una scelta creativa coraggiosa, ma meno rara di quello che potrebbe sembrare. Se non ci credete, eccovi alcuni dei casi più clamorosi di “genre swapping” degli ultimi quarant’anni.

Alien > Aliens

Alien di Ridley Scott è un horror intimo e claustrofobico ambientato tra i corridoi metallici di un’astronave tra le mura della quale si aggira un singolo, spaventoso alieno. Aliens di James Cameron è un action muscolare ambientato su una colonia lunare nella quale gli alieni escono dalle fottute pareti.

 

La casa 2

La casa > La casa 2

La casa di Sam Raimi è uno splatter cupissimo e terrificante, costruito per spaventare, disgustare e shockare. Il suo sequel è… be’, sostanzialmente la stessa cosa, ma in versione parodia: più slapstick, più situazioni assurde, più battute e un Bruce Campbell a briglia sciolta. Il vero cambio di genere avviene con il terzo capitolo della trilogia, L’armata delle tenebre, ma La casa 2 ha il primato di essere forse l’unico caso di sequel che è anche parodia del primo capitolo.

Pitch Black > The Chronicles of Riddick

Per il film con Vin Diesel vale il discorso fatto per Alien e Aliens. Pitch Black era un horror sci-fi a basso budget che seguiva le (dis)avventure di un gruppo di sopravvissuti a uno schianto spaziale, cascati su un pianeta popolato da creature ferocissime che hanno paura della luce. Il sequel invece dà sfogo alla passione di Vin Diesel per Dungeons & Dragons, l’epica fantasy e il world building, ed è un sontuoso pastrocchio con gigantesce sequenze action di massa e una valanga di mitologia e lore su Richard B. Riddick e il suo universo.

 

10 Cloverfield Lane

Cloverfield > 10 Cloverfield Lane

Il franchise che più di tutti ha abbracciato l’idea di “un film, un genere”. Cloverfield nasce già come ibrido nel 2008, quando Matt Reeves fuse il found footage alla Blair Witch Project con il monster movie. Il sequel con John Goodman e Mary Elizabeth Winstead, invece, è… un dramma domestico ambientato in un bunker sotterraneo mentre fuori sta succedendo un non meglio specificato “qualcosa” di molto brutto. Vorremmo dirvi anche di cosa parla il terzo film, The Cloverfield Paradox, ma non ne siamo certissimi.

The Raid > The Raid 2

A questo punto dovreste aver notato un trend molto chiaro che accomuna tutti questi esempi: il cambio di genere corrisponde quasi sempre a un’esplosione, di budget e di ambizioni. The Raid di Gareth Evans, per esempio, era un action ridotto all’osso e basato interamente su regia e coreografie. Il suo sequel, invece, che comincia due ore dopo la fine del primo film, è un’odissea di due ore e mezza nel mondo della malavita di Giacarta, che non rinuncia ovviamente all’azione ma la incornicia in un’epica criminale di ampio respiro.

 

Split

Unbreakable > Split

È probabile che se non fosse uscito Glass e se M. Night Shyamalan non ci avesse spiegato che Split è un sequel di Unbreakable non ce ne saremmo mai accorti. Forse “sequel” non è nemmeno la parola corretta da usare in questo contesto, ma il film con James McAvoy e Anya Taylor-Joy si svolge nello stesso universo di David Dunn e Mr. Glass (come dimostra il terzo film della trilogia, Glass appunto), per cui abbiamo deciso di considerarlo tale. E se avete visto Unbreakable e Split non avete bisogno di farvi spiegare perché siano film molto diversi (se non li avete visti correte a recuperarli!).

RoboCop > RoboCop 3

Più che il genere, a cambiare in RoboCop 3 rispetto ai due capitoli precedenti è il tono: dove RoboCop in particolare era una satira violentissima e cupa come le prospettive economiche dell’Italia nel 2020, il terzo film, nonostante sia scritto anche da Frank Miller, è una commediona un po’ scema ed educatissima, fatta su misura per tutta la famiglia. RoboCop 3 è anche un caso di “sequel che potevano anche non esistere”, ma questo è tutto un altro discorso.

 

Rambo 2

Rambo > Rambo 2

Nello scrivere Rambo 2, James Cameron provò a fare lo stesso scherzetto che gli era riuscito per Aliens: la sua versione dello script comprendeva tra le altre cose un nerd dei computer (che sarebbe dovuto essere John Travolta) a fare da spalla a Rambo, e soprattutto zero politica. Stallone riuscì a sistemare la sceneggiatura come la voleva lui, resta il fatto però che dove Rambo 1 era prima di tutto un film sul PTSD, Rambo 2 è principalmente una festa di sangue ed esplosioni, il genere di film che viene in mente quando si pensa “Rambo”.

The Blair Witch Project > Il libro segreto delle streghe – Blair Witch 2

Vi ricordate che The Blair Witch Project era un found footage horror che lanciò la moda dei film girati con camera a mano e dei nastri ritrovati? Ovviamente sì, quello che non vi ricordate è che esiste un sequel del film, che non ha nulla a che vedere con il primo né per com’è girato (è un horror tradizionale, che sfrutta qualche parte di found footage per far avanzare la trama) né per la qualità (è pessimo).

Auguri per la tua morte e relativo seguito sono disponibili su Amazon Prime Video.

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