Diceva Reed Hastings, fondatore di Netflix, che il principale rivale della piattaforma non è il cinema, ma il sonno.

Una frase a effetto che ben racconta il modello di business dei servizi streaming. La guerra dei contenuti si combatte per ottenere l’attenzione degli utenti il più a lungo possibile e affliarli al servizio proponendo immagini e storie senza sosta. Per questo motivo la maggior parte dei servizi streaming, con Netflix in testa, hanno bilanciato la user experience perché faciliti il più possibile il salto da un contenuto all’altro.

Per ottimizzare al massimo questa dinamica è stata introdotta da tempo una funzione di skip, impossibile da disattivare. Non appena finisce la puntata o il film che si sta guardando, appare in automatico una seconda finestra che, dopo 10 secondi, taglia la visione e porta l’utente al contenuto successivo.

In un articolo del Guardian il compositore Daniel Pemberton (Spider-Man: un nuovo universoMolly’s Game) ha parlato di questa tendenza a tagliare i titoli di coda per saltare alla storia successiva da parte dei giganti dello streaming, sottolineando come i secondi finali di un film siano parte integrante dell’opera stessa e come questa scelta arrechi un danno alla fruizione.

Il punto di rottura è stato quando ho guardato Schindler’s List su Netflix. Se è mai esistito un film in cui i credits sono una parte integrante dell’esperienza è quello. Eppure, un secondo dopo che è apparso il nome di Steven Spielberg, lo schermo si è ridotto alle dimensioni di un francobollo ed è apparsa una pubblicità che indicava cosa vedere dopo. Ancora peggio, se non clicchi il bottone giusto entro 10 secondi, puoi dire addio alla possibilità di contemplare la complessità emotiva delle ultime tre ore (e della magnifica conclusione della colonna sonora di John Williams).

Il compositore spiega nel suo intervento (condito da una buona dose di ironia) che il crawl finale non è solamente un momento importante di contemplazione per “assorbire” e riflettere sulle immagini viste, ma anche un tributo importante alle centinaia di persone che hanno lavorato per creare un qualcosa di bello. Aggiunge: “può essere anche una scusa per cercare i membri della troupe con i nomi più divertenti”.

Battute a parte, la posizione del compositore è chiara:

Scrivo musica applicata per film e TV e so, da un punto di vista compositivo, che la colonna sonora dei titoli di coda può essere una parte incredibilmente importante dell’arco musicale che tu (compositore) e il regista avete cercato di creare lungo tutto il film. Ho appena composto un nuovo film, Enola Holmes, che andrà in onda quest’anno su Netflix. La musica dei titoli di coda è il culmine del tema di Enola. Ho impiegato le precedenti due ore per arrivare a quel punto. Ma molti spettatori non la ascolteranno.

Pemberton elogia infine i Marvel Studios come (a sorpresa) i possibili salvatori dei titoli di coda grazie al loro uso delle scene post credit che tengono lo spettatore in attesa. Un’abitudine molto imitata nel cinema blockbuster, ma ancora da copiare dai giganti dello streaming.

Il compositore ha inoltre lanciato una petizione, a cura di un utente Netflix di Seattle, per chiedere alla piattaforma di dare la possibilità di guardare i titoli di coda senza interruzioni. Purtroppo, fino ad ora, non ha avuto un grande successo.

E voi cosa ne pensate? Siete d’accordo con Daniel Pemberton o non siete particolarmente infastiditi da questa controversa funzione? Fatecelo sapere nei commenti

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