Premessa, in cui parlo di un fatto collegato al Grande e Potente Oz a causa delle partnership fra le major Hollywoodiane.

Dopo i soliti, estenuanti 30 minuti di pubblicità pre-proiezione di quella nota catena cinematografica di cui citerò per motivi di privacy solamente le iniziali, UC, sono partiti, introdotti da un Dwayne Johnson le cui spalle erano a fatica contenute dallo schermo, i 4 minuti di anteprima 3D di G.I.Joe: La Vendetta. Magari li avrete già visti anche voi quindi saprete già cosa viene propinato. Prima Storm Shadow combatte conto Snake Eyes in mezzo a un trionfo di shuriken. Poi dopo l'azione si sposta sulla parete di una montagna e vediamo Snake Eyes e Jinx che combattono contro dei ninja. La cosa bella è che sono tutti attaccati alla parete di roccia con delle funi. Gente che vola via ovunque come i palloncini persi dai bambini alle fiere di paese.

Poi dopo arrivano Bruce Willis, The Rock e un carroarmato gigante.

La mia reazione è stata la stessa avuta da Leo Ortolani e Marcello Cavalli durante la visione di “DAI ARD”.

Mi sembrava onesto e doveroso informarvi di questo.

Il Grande e Potente Oz, o “La Storia di come quel vecchio volpone di Sam Raimi mi abbia preso davvero alla sprovvista sbucando da una botola”.

Mai stato un fan del Mago di Oz di Victor Fleming. Riconosco, sarebbe sciocco dire il contrario, l'importanza che la pellicola ha avuto nell'ambito della cosiddetta “storia del cinema”, ma non è mai riuscita a catturarmi a livello emotivo, a far breccia nel mio cuore. Tutt'al più, fin da quando ero un adolescente, mi ha sempre incuriosito dal punto di vista della valenza “spettacolare”: nel 1939 il lungometraggio con Judy Garland era paragonabile a un The Avengers oggi.

Case che volavano via trascinate da un tornado.

Streghe liquefatte.

Scimmie volanti.

Roba fatta in anni in cui George Lucas non era ancora neanche stato concepito dai genitori.

Ma non c'è mai stato un vero legame affettivo fra me e questo film. Sono molto più legato ai Munchkin del gioco di carte di Steve Jackson che a quelli di L. Frank Baum rivisti da Fleming (informazione di servizio: a tal proposito dico a chi di dovere che mi considero ancora il vero vincitore di una partita che mi è stata ingiustamente “soffiata" qualche mese fa).

Però ho un dolcissimo ricordo del romanzo di Baum che, a 4 anni o giù di lì, ho vissuto grazie alle Fiabe Sonore in cui era Paolo Poli a raccontarmi la storia di Dorothy e dei suoi buffi compagni di viaggio.

 

 

“Quindi” , starete pensando voi, “Il Grande e Potente Oz lo aspettavi con curiosità”.

No. Per niente.

L'anno scorso, prima che il trailer venisse svelato, alle Giornate Professionali di Cinema di Riccione ebbi modo di vedere una brevissima anteprima insieme al collega Daniele Massironi AKA Leo Truman di ScreenWeek.

Può ancora testimoniare circa la mia reazione che si situava in un'area diametralmente opposta a quella in cui possiamo reperire quello che viene comunemente chiamato "entusiasmo".

Non era tanto una questione di “vago sentore di Alice in Wonderland”. Era proprio mancanza di fiducia in Sam Raimi, regista col quale sono letteralmente cresciuto, che dopo avermi deluso, per ragioni non del tutto imputabili a lui, con Spider-Man 3 mi aveva letteralmente disgustato con Drag Me To Hell.

Ancora oggi, a vedere quel 92% su Rotten Tomatoes mi domando se non si tratti del più grande caso di allucinazione collettiva degli ultimi anni di critica cinematografica. Non voglio rivangare il passato per carità, ma se tu mi hai fatto vedere La Casa, La Casa 2 e L'Armata delle Tenebre, non puoi propinarmi un film che pare diretto dalla versione “for dummies” di Raimi interpretato da due attori, Allison Lohman e Justin Long, che hanno la stessa credibilità dei Teletubbies. Justin Long dovrebbe limitarsi a prendersi delle chiavi inglesi in faccia e stop.

Però a essere diretti, c'era anche la paura che Raimi cadesse nello stesso tranello di Tim Burton: una sceneggiatura non proprio esaltante accompagnata da un comparto visivo scricchiolante.

Arrivati a oggi, non è che mi sia seduto in sala con chissà quali aspettative. Poi però è andata a finire che quella vecchia volpe di Sam Raimi m'ha sorpreso alle spalle, in maniera improvvisa, come una scattante strega scappata fuori dalla botola di una casa sperduta nel bosco.

Me lo son ritrovato davanti che mi diceva “E così pensavi che fossi bollito?”.

Scusa, Sam.

Il Grande e Potente Oz funziona a più livelli. Tanto per cominciare, da quello più epidermico, abbiamo un cast generalmente azzeccato. Temevo che James Franco, di cui non metto minimamente in discussione la bravura, non avesse le spalle abbastanza larghe per sobbarcarsi il ruolo di protagonista di un film da 200 milioni di dollari che deve reggersi per buona parte sulle sue spalle. E invece nei panni dell'illusionista truffaldino, egocentrico, egoista, ma dall'animo intimamente buono risulta davvero convincente, anche quando produce delle facce davvero improbabili che strappano comunque un sorriso. Oz riesce a starti simpatico, a stabilire una connessione col pubblico. E lo fa senza concessioni a stravaganti e ripetitive gigionerie simil Johnny Depp. Johnny, la tua deliranza ha distrutto il ricordo di una storia d'amore che durava da 20 anni. Ho degli incubi ricorrenti in cui tu ti metti a ballare quell'infame danza in altre tue pellicole leggendarie come Ed Wood, Edward Mani di Forbice, Dead Man. So che non leggerai mai queste parole, ma metterle nero su bianco è stato terapeutico.

Fra le tre streghe è Rachel Weisz a rubare la scena, almeno fino a un determinato twist che coinvolge una delle altre due. Ma quelli che davvero hanno catturato la mia attenzione e simpatia sono le due spalle di Oz, Finley e la fanciulla di porcellana, che vengono maneggiati da Sam Raimi con un amore e una delicatezza davvero palpabile. Non vedo l'ora di rivederlo in lingua originale in home video per verificare le perfomance vocali di Zach Braff e Joey King.

Nel complesso a colpire è il profondo rispetto con cui Sam Raimi tratta l'argomento, lo stesso che il regista aveva dimostrato nei primi due Spider-Man (espressioni ebeti di Tobey Maguire a parte). Rispetto che non si trasforma in freddezza o in una regia e narrazione timorose di osare, bloccate dalla paura di andare a intaccare un'opera letteraria entrata di peso nella cultura popolare grazie a un film di oltre 70 anni fa. Perché, è evidente, è proprio con il lungometraggio di Victor Fleming che Il Grande e Potente Oz va a intessere una serie di rimandi affettuosi, tutt'altro che scolastici. Alice in Wonderland, che vuoi o non vuoi è collegato a quest'opera dall'etichetta Disney e da quel produttore, Joe Roth, che fra questi due film e Biancaneve e il Cacciatore si sta trasformando in un fratello Grimm di Hollywood, sapeva di finto dall'inizio alla fine. Almeno nel mio caso, la sospensione dell'incredulità lavorara davvero a fatica con quei personaggi carroliani inseriti in ambienti digitali cosi smaccatamente evidenti. Beninteso, anche Il Grande e Potente Oz a volte da una percezione palpabile di “roba fittizia”.

Ma c'è un ma.

Quando vediamo James Franco e i suoi strambi compari camminare su una strada di mattoni gialli che attraversa un prato e riusciamo in maniera molto chiara a capire dove finisce l'elemento concreto del set e parte quello digitale, si crea quella stessa sensazione di spaesamento elargita poeticamente dal Mago di Oz di Victor Fleming con i suoi fantasiosi paesaggi in matte painting. La meraviglia, grazie a questa peculiare dissonanza cognitiva, cresce al posto di diminuire. Ma questo non è il solo richiamo che Il Grande e Potente Oz riesce a far emergere, nonostante il suon essere un tassello narrativo antecedente al primo romanzo di Baum e al film di Fleming. Lascerò a voi il piacere di scoprire gli altri.

Infine, nonostante gli oneri dati dal gestire un budget colossale – roba cui comunque Raimi è abituato – e un immaginario letterario reso immortale da una pellicola con cui questo film non c'entra nulla a livello di gestione del franchise, ma con la quale in realtà ha tanto da condividere a uno stadio che va oltre “quello che è della Disney e quello che è della Warner”, una storia come questa è pane per i denti di un filmmaker che è riusciti a rileggere Lovecraft con l'occhio di Chuck Jones.

I richiami all'Armata delle Tenebre sono evidenti. Nell'incedere della storia, nel tratteggiare la figura cialtronesca, ma buona, di Oz. Certo, l'etichetta Disney comporta la mancanza di battute badass come “Salve Signore dalle strane mutande, in questo momento sei il capo di due sole cose. Del c***o e della m***a, e anche di quelli per poco”, eppure Il Grande e Potente Oz è riuscito a mandare in sollucchero il fan di Raimi che è in me in quel modo che Drag Me to Hell doveva fare e invece non ha fatto.

Poi le già citate streghe. Quando si tratta di donne diventate entità malvage, come nella Trilogia di Evil Dead, Raimi si comporta con la medesima scioltezza che ha Gordon Ramsay nell'iinsultare i concorrenti di Hell's Kitchen. Vecchie coi capelli da pazze, con risate raggelanti e la faccia condita da verruche. Fluttuanti come se fossimo ancora negli anni'80, in cui erano ancora gli effetti pratici a dominare, gli espedienti dell'ultimo minuto, e non la post-produzione digitale.

Raimi ha preso l'universo di Baum già plasmato indelebilmente da Fleming e l'ha reso suo, plasmandolo a piacere. Ha ottenuto il risultato opposto a quello di Tim Burton e prescindendo dai crediti produttivi e – speriamo – gli incassi, Il Grande e Potente Oz non ha davvero nulla da spartire artisticamente con Alice in Wonderland.

E io che pensavo che Sam Raimi vivesse ormai imprigionato in una botola…