Come molti degli eroi del suo tempo e come pochi degli eroi del nostro, James Bond nasce con un nome e una personalità che sono più forti delle sue avventure, dei suoi nemici e degli scenari in cui si muove. 007 nasce come “Bond, James Bond” e non a caso, nella sua filiazione cinematografica, la scena più nota in assoluto è proprio quella in cui dice il proprio nome. Perchè James Bond è uno stile di vita e una personalità prima che un agente segreto e un avventuriero, un donnaiolo o un eroe (che poi di eroico ha molto poco).

James Bond è la quintessenza della rivendicazione della propria personalità e dell’imposizione di questa su qualsiasi modello. Che sia a Londra o in Africa, nelle Canarie o a Mosca, James Bond è sempre lui, con il suo stile, il suo ghigno e il suo portamento. Uguale in tutto il mondo rappresenta il cosmopolita di una volta, quello che non si adattava ma che imponeva il suo stile. Ovunque sia ordina un Martini perchè questo è parte della sua identità e tutti i suoi nemici quando lo incontrano lo chiamano per nome. Se si potesse avere un grafico delle parole più pronunciate di tutta la saga filmica probabilmente “Bond” e “James” sarebbero in cima.

Si tratta di una personalità che al cinema è nata fusa con il suo primo interprete che non a caso ne è considerato la miglior espressione, perchè tutti gli altri hanno dovuto che imitare lui, o meglio quel personaggio da lui fissato. Per essere il James Bond tradizionale occorre essere Connery, perchè in un film di Bond l’unica cosa che conti davvero è la sua personalità, le sue caratteristiche e quelle (al cinema) sono tutte state canonizzate inevitabilmente dal primo interprete e a quelle bisogna attenersi.

O almeno ci si doveva attenere.

Perchè ciò che Daniel Craig e la "nuova gestione" hanno cominciato a rivedere è stato proprio il fondare 007 sulla propria identità. Il vero dogma incrollabile è stato rivisto a partire da Casino Royale e con molta calma.
Daniel Craig è stato il primo ad essere autorizzato a non dover “interpretare James Bond” ma è stato libero di interpretare un nuovo personaggio, che è un agente segreto britannico abbastanza esperto delle cose del mondo, un donnaiolo ma anche un uomo d’azione. Partendo da questo ha realizzato un Bond diverso finalmente, che non punta più su una certa mimica e un certo stile ma viaggia dalle parti degli eroi moderni, quelli che non rimangono ingessati in un personaggio e che non puntano più sull’identità. E’ un cosmopolita certo, ma non come Connery l’aveva inteso 5 decenni fa, è un cosmopolita moderno, che ovunque sia si adatta e si mischia all’ambiente in cui si trova. Lo vediamo nella prima sequenza di Casino Royale, sudato e scompigliato in un combattimento illegale in Africa.

Si è molto detto di come il nuovo Bond abbia risentito del successo (sempre cinematografico) di Jason Bourne, l’agente segreto moderno per antonomasia, dalle caratteristiche diametralmente opposte a quelle di 007, perchè privo di identità per definizione. Nonostante la sua saga porti il suo nome lui non è mai “personaggio” nel senso canonico. La sua storia è la storia di un uomo che cerca di crearsi una nuova identità, che non sa quel che era prima e che quando comincia a scoprirlo non gli piace e allora cerca di essere diverso. E’ la storia della costruzione di un’identità, non della sua celebrazione come ogni film di James Bond, anche il primo, è stato. Allora anche Casino Royale azzera tutto, riparte da capo, da quando 007 è alle prime armi e deve anch’egli costruirsi uno stile e un’identità, non può appoggiarsi all’esperienza e alla consuetudine perchè non c’è consuetudine. Tutto è nuovo. In Casino Royale, Bond deve costruire la propria identità e quindi è più simile a Jason Bourne.

E qui sta molto dell’eroe moderno, cioè l’eroe di un’era in cui l’identità personale è una delle questioni in più rapida mutazione. Specialmente ad opera della tecnologia, l’identità e la sua rappresentazione sono un tema determinante che il cinema ha affrontato più volte, solitamente nella forma del cinema di fantascienza in cui la memoria è cancellata, le fattezze sono mutate e qualcuno scopre di non essere chi credeva, o anche nella maniera della cancellazione di tutto ciò che siamo e quindi della nostra identità.

Era questo che ci voleva allora per cambiare finalmente anche James Bond, eroe eterno per esigenze d’affari che per qualche decennio ha sofferto di molti episodi non all’altezza degli esordi e di una generica stanchezza e noia nel reparto carisma.

Il viveur anni ‘60 sempre meno si adattava alla modernità e i vari modi in cui si è cercato di renderlo attuale sono stati per la maggior parte un fallimento (il dandismo di Timothy Dalton, il superomismo spinto di Pierce Brosnan). Meglio la disperazione dello sguardo corrucciato e teso di Daniel Craig, uno che quando c’è da dire “Non c’è niente da ridere, la questione è seria” può anche non parlare, basta l’espressione.

L’ultimo tassello di questa lunga operazione di revisione ed aggiornamento di un eroe fatto a misura di passato in uno fatto a misura di presente lo dovrebbe portare Skyfall, in cui, è stato ampiamente anticipato, James Bond non ordina più il solito Martini ma una birra. Per nessuna storia o personaggi seri si sarebbero scritti tanti articoli e espresse tante opinioni riguardo un cambio di bevanda. Ammettiamolo. Ma in Bond è determinante perchè è un altro tassello di quella personalità canonizzata che cade, è un altro modo di ribadire come la saga ha smesso di ribadire la figura messa in piedi con Sean Connery per cercare qualcos’altro.

Non bere più Martini è un altro modo di non essere più quel Bond ma cercare qualcosa di diverso senza fondare quel personaggio su quell’identità.