Sempre di California si parla.

Lo stato economicamente e culturalmente più pesante degli Stati Uniti sta diventando l’argomento preferito di Rockstar la quale, dopo averci ambientato non ufficialmente un GTA (San Andreas) e Red Dead Redemption, ora con L.A. Noire rende finalmente esplicito il legame a partire dal titolo e inserendo molti luoghi noti nella mappa.

Ma non solo il riferimento ad un luogo vero. Gran parte della fama guadagnata da L.A. Noire in questi mesi è dovuta al continuo accostamento che viene fatto con il cinema, suggerendo che il gioco è un nuovo standard nel processo di fusione delle due arti e che questo avviene nella cornice del genere noir, idea sbagliata e fuorviante.

Il tipo di racconto che il videogioco mette in piedi non somiglia affatto a quello per il grande schermo nè al cinema noir classico, semmai è simile ai migliori esempi per il piccolo schermo e ai romanzi neo-noir. La differenza è sottile ma sostanziale, perchè il cinema ha un linguaggio, la tv un altro e il videogioco che attinge al cinema non fa il lavoro di L.A. Noire.

I casi che affronta il giocatore sono brevi storie autoconclusive, tenute insieme da un filo rosso che si dipana lungo il gioco, come una serie televisiva. Certo di videogiochi narrativi se n’erano già visti ma la particolarità di L.A. Noire è di cercare una sintesi tra narrazione e gameplay.

I momenti di gioco sono infatti continuamente interrotti da sequenze narrative, a volte anche molto brevi, in un continuo avanti e indietro tra gioco e racconto che cerca di sfumare il confine tra i due (ma purtroppo questo rimane, e come), e inoltre la ripetitività delle inquadrature, della successione delle azioni compiute e del dipanarsi delle storie (indispensabile per non programmare un gioco per anni e anni) lotta contro l’idea di cinema, aumentando di caso in caso la sensazione di guardare un altro episodio di qualcosa già visto.

 

Il nuovo videogioco che sfrutta il motore grafico e il format reso celeberrismo dalla saga di GTA (almeno a partire dal terzo episodio) è però anche quello dei record. Numeri impressionanti per quantità degli scenari, texture, personaggi, musiche, ambientazioni e via elencando. L.A. Noire è una ricostruzione minuziosa di due cose: la Los Angeles della fine degli anni ‘40 e del neo-noir.

Nonostante infatti le scritte sghembe che titolano ogni indagine (che poi è una piccola storia a sè), i viraggi in bianco e nero e qualche momento musicale L.A. Noire non è assolutamente un noir classico, di quelli che negli anni ‘40 guardavano il presente mostrando personaggi in fuga da un destino inevitabile, solitamente stritolati in una spirale di perdizione a causa della passione per la donna sbagliata. Per le storie che racconta e per come le racconta il videogame Rockstar somiglia più ai racconti hard boiled o per l’appunto ai neo-noir di Ellroy, quelli che guardano il passato dipingendo ambientazioni luride patinate di stelle. Casette a schiera, vite apparentemente idilliache rette da un impero di corruzione, marcio e perversione. Nelle indagini del detective Phelps c’è fango a profusione, uomini abietti che non esitano a fare quanto di peggio possono simulando uno stile di vita ordinario e mandando avanti un sistema che è fatto a misura di corruzione, senza alcun desiderio di redenzione.

Oltre però all’idea di fondo di ritrarre i mutamenti dell’America di Hollywood e del jazz negli anni che hanno seguito la fine della seconda guerra mondiale, c’è anche un gioco che si propone di cambiare parte del modo in cui concepiamo l’avventura interattiva, indipendentemente dalle relazioni con il cinema.

 

 

Con un occhio a GTA, uno alle evoluzioni portate da Red Dead Redemption e un altro infine a Heavy Rain, la Rockstar ha pensato questo L.A Noire per essere un gioco in cui l’azione è poca e molto ripetitiva (criminali da inseguire o seguire sia a piedi che in macchina e rapinatori a cui sparare), ma il lavoro celebrale è su un altro livello.

Se in GTA c’erano le missioni, in L.A. Noire ci sono i casi da risolvere per salire la scala gerarchica nella polizia. Ogni caso è organizzato intorno alla fase di raccolta delle prove e del loro uso negli interrogatori per far crollare gli intervistati. Meno prove si trovano, meno arguti si è nel capire se chi parla stia mentendo o meno (incredibili i passi avanti nella mimica facciale calcolando che siamo sempre in una grafica da gameplay) e peggio si risolverà il caso. La testa va usata e con una capacità superiore agli altri giochi, tanto che L.A. Noire si può anche giocare in due e anzi riesce decisamente meglio.

Il gameplay infatti conta forse meno del solito. I momenti migliori di L.A. Noire (e ce ne sono!) non sono quelli d’azione e di profondo coinvolgimento ludico, quanto quelli in cui l’atmosfera data dall’unione di musica, ansia per la scoperta di come si risolverà un certo caso e visuale di una certa scena raggiungono l’apice. Quelli cioè in cui si è quasi spettatori, ricettori di un racconto fatto da qualcun altro. Quelli cioè che somigliano al racconto audiovisivo e non a quello videoludico.