Un anno fa Netflix aveva chiuso il 2017 alla grande con un buon incremento di iscritti e soprattutto di ore guardate da ogni iscritto di circa il 9% sull’anno precedente. La capitalizzazione in borsa era arrivata a 100 miliardi e il successo di Bright aveva spinto la piattaforma a pianificare molte più produzioni di film originali. Era stato quello il suo anno migliore. Ma il 2018 è stato anche più decisivo, nonostante economicamente non possa dirsi a quei livelli di crescita.

Netflix tra tutte le compagnie che gareggiano nello streaming è l’unica “indipendente”, l’unica cioè che abbia quello come unica forma di business. Amazon, Rakuten, Disney e via dicendo sono compagnie che fanno altro e poi possiedono anche una piattaforma di streaming, Netflix invece non ha altri business a cui appoggiarsi e deve correre, deve correre tantissimo per poter dominare (anche più di come fa ora) il mercato prima che questi competitor, che invece se la prendono comoda sapendo bene di avere un business alle spalle che gli consente di sostenere una maratona meglio di una gara di velocità, comincino a fare davvero sul serio. L’unica speranza di sopravvivere contro i colossi è, per Netflix, di consolidarsi così tanto come la compagnia n.1 (e in tutti i target possibili) da non essere scalzabile.

Per questo Netflix corre e dopo un ottimo 2017 ha dovuto rilanciare ancora di più nel 2018 (e prevedibilmente lo stesso avverrà nel 2019) e su tutti i settori, mettendo a segno un altro anno incredibile. Tutto è cominciato a Gennaio scorso con l’arrivo della prima serie di talk show, condotti dal nome per antonomasia del talk show americano, David Letterman. Ospiti che vanno da Barack Obama a Jay-Z fino a George Clooney, un format più meditativo e compassato. Qualcosa che la concorrenza non ha e difficilmente può procurarsi (chi può avere più eco di Netflix e Letterman insieme?).

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Netflix poi deve produrre e fare accordi con altri player che garantiscano la sua sopravvivenza nell’ecosistema tecnologico casalingo. Non a caso in Italia è arrivata la notizia dell’accordo con Sky. L’operatore via satellite e non solo è in teoria un rivale, nella pratica però è quasi un alleato da quando su Sky Q è compresa la possibilità di vedere Netflix. Del resto se nel Regno Unito la BBC stessa ha dichiarato di aver perso gli utenti giovani a favore di Netflix, cioè che la maggior parte segue più i programmi e le serie della piattaforma rispetto ai loro, difficile che a Sky non sia accaduta la stessa cosa.

Intanto, mentre Adam Sandler e soci continuano a fare il grosso delle visualizzazioni, Netflix nel 2018 si è spostata tantissimo sul piano della produzione di alto livello, che non necessariamente coincide con quelle di alto rendimento ma serve a posizionarlo presso un altro target e a riempire i giornali e i siti, serve a creare discorsi e far parlare di sé, continuamente. La forma di promozione migliore.
Annientamento ne è stato un esempio ma tutta la questione è proprio ritornata in auge a Maggio con l’avvicinarsi del Festival di Cannes. Nella grande telenovela tra il festival francese e la piattaforma l’ultima puntata ha visto “vincere” Netflix, che non ha accettato un posizionamento fuori concorso, e che finchè i suoi film non saranno trattati come tutte le altre produzioni non li porterà. Ne ha beneficiato il festival di Venezia che 5 mesi dopo ha presentato (in concorso) Roma di Cuaron, La Ballata di Buster Scruggs dei Coen, 22 Luglio di Greengrass e poi anche The Other Side of The Wind di Orson Welles e tutto quel che aveva proposto a Cannes.
A Thierry Fremaux (direttore artistico di Cannes) l’affare brucia tantissimo e non lo nasconde, soprattutto visto che Roma si sta rivelando sempre di più uno dei film fondamentali della stagione e gli Oscar a Febbraio potrebbero sancirlo definitivamente.

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Intanto in Italia a Giugno Netflix ha messo a segno un gran colpo di marketing mettendo online tutte le partite dell’Italia dei mondiali di Germania 2006, proprio mentre la nazionale non era in gara nei mondiali di Russia. E poi sono arrivate produzioni molto attese e di altissimo profilo come Maniac (anche se si è rivelata non così seguita) e Disincanto di Matt Groening (stesso destino). Ci ha pensato però Hill House a rimettere la chiesa al centro del villaggio, confermando che è lì, all’ombra della grande N rossa che ancora si può trovare il materiale più interessante e fuori dai canoni.
A questo va aggiunto che per la prima volta il 2018 ha visto dei buoni film comparire su Netflix. Non più solo il peggio ma anche Apostolo di Gareth Evans o successoni come Tutte Le Volte Che Ho Scritto Ti Amo o ancora Come Far Perdere La Testa al Capo che non sono necessariamente film pessimi ma di gran buona fattura. Sembra poco ma il passaggio è epocale: Netflix inizia a centrare la produzione di film, qualcosa che fino all’inizio dell’anno sembrava un miraggio.

Sulla Mia Pelle

Il ritorno dall’estate poi è stato in Italia il momento del caso Sulla Mia Pelle, il film su Stefano Cucchi passato a Venezia e di proprietà di Netflix che la piattaforma ha voluto anche mandare in sala. La cosa ha posto finalmente la questione delle finestre. Lo stato e l’associazione esercenti sono stati categorici: non si viene proiettati se non si rispettano i tempi tecnici di sfruttamento, Netflix però lo è stata ancora di più non guardando in faccia a nessuno e andando dritta per la sua strada. Il film era online e in contemporanea è stato proiettato in un numero limitato di sale che non hanno rispettato i dettami dell’associazione esercenti o semplicemente non sono iscritte, riscuotendo buoni risultati.

Gli strascichi di questi buoni risultati sono così stati così potenti che ancora ne sentiamo l’eco. Il ministro Bonisoli ha fatto un polverone sostenendo di aver promosso una legge che obbliga i film distribuiti da Netflix ad uscire in sala, ma non è così. È un decreto attuativo della legge cinema scritta sotto Franceschini, ampiamente noto e anticipato, che sostiene soltanto che chi non rispetta le finestre non ha accesso ai fondi che lo stato prevede per i film (e non partecipa ai David di Donatello), sostanzialmente non è inquadrato come film e quindi non ha diritto a niente. Ma nessuno può impedire, né ora né mai, ad una sala o un gruppo di sale di proiettare un film di Netflix.

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I problemi veri della piattaforma semmai sono altri, come Disney+ che nel corso del 2018 è diventata una realtà, non ancora pronta ma decisamente concreta tanto che la cancellazione di show come Daredevil ne è figlia. È figlia cioè del fatto che moltissimo materiale di proprietà Disney (quindi anche Pixar, Marvel e Lucasfilm) sarà presto prelevato da qualsiasi servizio di streaming e reperibile in esclusiva solo sul servizio in streaming di Disney.
Ai problemi va aggiunto poi che è in via di approvazione una normativa che sarà valida in tutta l’Unione Europea e obbligherà piattaforme come Netflix a investire e programmare cinema europeo. Si tratta di regole a cui già sottostanno canali televisivi e produttori, e che darebbero anche a Netflix l’obbligo di dedicare almeno il 30% della propria programmazione a prodotti europei e investire una parte dei propri ricavi nella produzione europea, come contropartita per operare nei mercati UE. Come si possa controllare la “programmazione” di Netflix è materia che l’eventuale legge dovrà regolare.

Nonostante tutto questo (o forse grazie a tutto questo) la società ha avuto un balzo del +34% nei ricavi del terzo trimestre, anche se c’era stata una battuta d’arresto nel trimestre precedente. Netflix ad ora continua a volare bene con più di 140 milioni di iscritti e a mandare in onda nuove stagioni di serie in cui il protagonista principale scompare senza che nessuno dica molto come è accaduto ad House Of Cards, per via dei ben noti fatti di Kevin Spacey. Ma continua anche a cercare di conquistare i pubblici locali sporcandosi le mani nell’acquisto di film non necessariamente di profilo alto come è stato per Natale a 5 stelle, a totale sorpresa strappato alle sale per arrivare online.

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Quel che esce fuori è il disegno di una grande operazione di allargamento del pubblico che da un lato ha Roma di Cuaron, dall’altro Natale a 5 stelle, ma poi anche titoli di catalogo come Evangelion, messo tutto online nel 2018, o ancora la prima serie teen italiana che hanno acquistato: Baby. La produzione spacciata a lungo per la storia della baby squillo dei Parioli, si è in realtà rivelata una vera e propria serie teen che mira ad avere un atteggiamento molto smaliziato sul sesso, in questo non troppo diversa da 13 Reasons Why e simili.

Infine negli ultimi giorni dell’anno è esplosa la bomba Bandersnatch: un film interattivo della serie Black Mirror, comparso praticamente a sorpresa, un esperimento di cui ognuno giudicherà senso e compiutezza ma che di nuovo posiziona Netflix sulla frontiera.
Tutto il 2018 ha sancito che chi si muove di più, meglio e con maggiore coraggio sono obiettivamente loro.

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