Probabilmente, da quando sono iniziate a circolare le prime notizie sul Coronavirus, in molti avranno inevitabilmente pensato a Contagion, il film del 2011 diretto da Steven Soderbergh, ma i più attenti e le più attente avranno provato una sensazione di déjà-vu che arrivava da “World War Z: La Guerra Mondiale degli Zombi”, il celebre libro di Max Brooks (il figlio di Mel) da cui è stato tratto l’omonimo film con Brad Pitt.

L’opera è una raccolta di dispacci e lettere sulla diffusione di un virus che trasforma le persone in zombi e le varie risposte date a questa emergenza di carattere globale.

La particolarità del libro è che, nel bel mezzo delle sue pagine, troviamo passaggi che hanno letteralmente previsto quello che sta accadendo oggi con l’epidemia di Covid-19.

A cominciare dal ruolo svolto dalla Cina, luogo d’origine del virus, la relativa omertà del Governo cinese nel comunicare tempestivamente quello che stava accadendo, la ferrea censura delle voci che cercavano di dare l’allarme o la chiusura dei confini nazionali da parte dello stato d’Israele.

Se avete sotto mano una copia del volume, potete rinfrescarvi la memoria e vedere come il primo capitolo, Avvisaglie, sia ambientato nella Provincia di Chongqing, Federazione Unita della Cina.

Le righe iniziali recitano:

Il primo caso che vidi fu in un villaggio remoto che ufficialmente non aveva un nome. Gli abitanti lo chiamavano “Nuovo Dachang”, più che altro per una forma di nostalgia.

Per poi proseguire, più avanti, con la descrizione dell’incontro con il paziente zero:

Trovai il paziente zero dietro la porta chiusa a chiave di una casa abbandonata dall’altra parte del paese. Aveva dodici anni. Polsi e piedi erano legati con della corda da imballaggio di plastica. Nonostante avesse sfregato la pelle contri i lacci non c’era sangue.

Pubblicato per la prima volta nel 2006, World War Z, oltre a essere profondamente differente dal film con Brad Pitt poi arrivato sul grande schermo, era una sorta di narrazione distopica di quanto avvenuto a cavallo fra il 2002 e il 2003 con l’epidemia di SARS il cui primo caso, come ricorda Wikipedia, “è avvenuto a Shunde, Foshan, Guangdong in un allevatore che fu curato nel Primo Ospedale del Popolo di Foshan. Il paziente poco dopo morì e non fu fatta una diagnosi definitiva sulla causa del decesso. Invece di prendere iniziative per controllare l’epidemia, i responsabili del governo cinese non informarono l’Organizzazione mondiale della sanità fino al febbraio 2003, limitando la copertura mediatica per preservare la sicurezza pubblica. Questa mancanza di apertura provocò ritardi negli sforzi per controllare l’epidemia e causò critiche da parte della comunità internazionale verso il governo cinese. Quest’ultimo si scusò ufficialmente per la lentezza iniziale nell’affrontare l’epidemia”.

Per mesi, la comunità internazionale era stata sostanzialmente tenuta all’oscuro da parte del governo cinese, ma anche a causa  della morte del medico marchigiano Carlo Urbani, il primo a identificare e classificare la SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave) e quella, ad aprile del 2003, dello statunitense James Earl Salisbury arrivo la richiesta di una maggiore apertura.

Con il Coronavirus, il ritornello si è ripetuto quasi con la stesso drammatico ritmo nonostante la maggior diffusione di internet abbia reso più difficile, per Xi Jinping e soci, bloccare delle fughe di notizie su quelle piattaforme normalmente bloccate in Cina. Quelli di Fang Bin e Chen Qiushi sono i casi più emblematici di citizen journalist che, grazie all’utilizzo dei VPN, sono riusciti a documentare su YouTube e Twitter (normalmente bloccati in Cina) quello che vedevano a Wuhan, l’epicentro dell’epidemia. Da settimane non si hanno notizie di entrambi.

Torniamo a Max Brooks.

Lo scrittore ha realizzato un lungo approfondimento sul Washington Post intitolato “La Cina ha vietato il mio romanzo su come il suo sistema favorisca il diffondersi delle epidemie. In “World War Z” un misterioso virus veniva minimizzato da Pechino. Vi suona familiare?”.

Il pezzo esordisce così:

Nel mio romanzo sull’apocalisse zombi, dei casi su una misteriosa nuova malattia cominciano a manifestarsi da qualche parte in Cina. Il governo risponde cercando di sopprimere ogni notizia relativa a questa infezione, minacciando i medici che cercavano di lanciare l’allarme. Un’operazione di copertura che ha facilitato la diffusione del virus prima nella nazione e poi oltre i suoi confini, nel resto del mondo. Suona familiare?

La risposta, purtroppo, è sì.

Basterebbe citare il caso di Li Wenliang, il medico morto a Wuhan lo scorso 7 febbraio, uno dei primi a lanciare l’allarme alla fine di dicembre del 2019. Il 3 gennaio venne ripreso dalla polizia con l’accusa di diffondere “notizie false sul web”. Tornato al lavoro in ospedale, ha contratto il Coronavirus ed è poi deceduto a causa delle complicazioni dell’infezione. Anche dopo la sua scomparsa, le autorità cinesi hanno cercato di impedire il proliferare dei “tributi social” alla memoria del medico fornendo anche delle linee guida su come la stampa doveva trattare la vicenda.

Per questo, già al tempo Max Brooks aveva scelto la Cina come scenario per il prologo del suo libro

Ho scelto la Cina come “Ground Zero” per il mio libro del 2006 per una ragione ben precisa. Quando stavo ragionando sull’origine di questa mia pandemia fittizia, non bastava scegliere una nazione particolarmente popolosa o con un network di trasporti moderno e in rapido sviluppo. Avevo la necessità di un regime autoritario con un forte controllo sulla stampa. Soffocare la consapevolezza pubblica, avrebbe dato alla mia piaga tutto il tempo necessario per espandersi dapprima fra la popolazione di un determinato luogo, poi in tutto il mondo. E quando il resto del pianeta avrebbe capito cosa stava accadendo, sarebbe stato già troppo tardi. Il genio era uscito dalla lampada e la nostra specie doveva lottare per la sopravvivenza.

Non a caso World War Z non è mai arrivato in Cina: se una casa editrice avesse deciso di pubblicarlo, sarebbe finita nei guai.

Qualcuno mi aveva suggerito di cambiare il nome della Cina e inventarmi una nazione fittizia o di pubblicare online i capitoli ritenuti “offensivi” in un secondo tempo. Non so neanche come avrebbero gestito questo passaggio, magari l’avrebbero piazzati su un server fuori dalla Cina o magari era solo una balla per placarmi – ma mi era stato detto che questo era il massimo che si poteva fare.

E ho rifiutato di farlo. Avere una società aperta, dove il governo opera in maniera trasparente e le informazioni circolano liberamente sono i fondamenti stessi della salute pubblica. Censurare quei capitoli significava sottostare a quelle dinamiche che mettono a repentaglio le persone. Anche se con le migliori intenzioni, un governo che si muove in segreto e senza responsabilità non è preparato a contenere un’epidemia.

Come vi abbiamo anticipato qualche riga più sù, Max Brooks non ha inventato nulla perché tutto rispecchiava, in un contesto di fiction, quello che era accaduto con la SARS.

Ed è lo stesso autore a spiegarlo:

Anche se mi piacerebbe prendermi tutti i meriti creativi per l’ideazione di questo scenario, quello che ha inavvertitamente previsto il panorama odierno, non ho inventato nulla. Ho basato tutto su quanto accaduto ai tempi della SARS. I primi casi furono registrati in Cina nell’autunno del 2002, ma per mesi il Governo cinese non aveva avvertito le persone circa questo nuovo e letale patogeno. Le autorità avevano vietato ai giornali di parlarne, avevano sottostimato i casi e sono stati lenti a condividere le informazioni con l’OMS. Alla fine dell’epidemia, nel luglio del 2003, il virus si era diffuso in mezzo mondo infettando 8000 persone e uccidendone 774.

Brooks cita come, questa volta, la stessa OMS abbia lodato la Cina per la risposta data all’emergenza, ma questo non basta a far luce sulle tante ombre della vicenda:

Forse, se non fossero stati fatti dei passi falsi come minimizzare la gravità del Coronavirus, se non avessero cercato di tappare la bocca a chi come Li Wenliang era stato rapido a diffondere delle informazioni in merito, non ci sarebbe stato bisogno di questa mobilitazione generale e della costruzione a tempo di record di un ospedale. I post del dottore sono stati censurati, è stato costretto a dichiarare di aver diffuso notizie false sul nuovo virus. È sostanzialmente quello che accade a Kwang Jingshu, il personaggio che in World War Z è il primo a entrare a contatto con il virus […] Come possiamo fidarci di un governo, qualunque esso sia, che tiene di più al controllo che alla salute pubblica?

Ma le critiche dell’autore non sono limitate a come il Gigante Asiatico sta gestendo la cosa.

Negli Stati Uniti abbiamo una società libera e aperta che consente la nostra protezione. Ma questa libertà non significa libertà dalle responsabilità. In World War Z, la piaga zombi infetta l’America perché gli americani sono troppo distratti dall’avidità, dall’apatia e una generale ingenuità. Respingono la scienza e abbracciano volontariamente le scelte di un presidente incompetente. Vi suona familiare? Nel suo viaggio in India della scorsa settimana, il Presidente Trump ha definito il Coronavirus “un problema che sta per scomparire” e, a una conferenza stampa, ha affermato che “il rischio per gli americani resta basso”. Fortunatamente non è l’unica voce che possiamo ascoltare. Possiamo rivolgerci a fonti più affidabili come il CDC. Che ci sta mettendo in guardia su disagi e l’interruzione del normale svolgimento della vita quotidiana. Qualcuno ascolterà queste parole? In Cina è difficile per le persone avere accesso alla verità. In America le persone potrebbero non essere interessate.

Le considerazioni finali dello scrittore sono all’insegna di un razionale ottimismo:

Mi hanno impedito di pubblicare il libro in Cina perché il governo non voleva affrontare i propri stessi difetti, anche in un contesto di fiction. Ma se ammettiamo ora i nostri difetti e lavoriamo insieme per correggerli, possiamo garantire che World War Z possa restare nel reame della fiction.

Cosa ne pensate? Dite la vostra nello spazio dei commenti!

 

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