Dopo 40 anni di cinema, Carlo Verdone è approdato nel mondo della serialità con Vita da Carlo, ora disponibile su Prime Video. Nella videointervista “A casa di Alò” con Francesco Alò, l’attore e regista romano ha svelato retroscena e curiosità sulla serie, ma ha colto anche l’occasione per fare il punto sull’evoluzione della sua lunga carriera e sui suoi possibili sviluppi.

Dopo i primi passi nel cabaret, Verdone esordisce in televisione nel 1978 col programma Non stop, di cui conserva vividi ricordi:

Fu una trasmissione rivoluzionaria perché Enzo Trapani [il regista e autore] era un rivoluzionario: non c’erano classiche ballerine o un presentatore che coordinasse il tutto, ma a ogni comico veniva lasciato spazio libero. Il risultato era un mosaico scombinato e astratto. Nel mio primo sketch ricevetti grandi applausi, e così continuai per diverse puntate. Trapani non aveva copione, lavorava giorno per giorno anche di sabato mattina: per chi abitava fuori Torino, dove si girava, era una gran fregatura. Io infatti non potevo tornare a Roma in un solo giorno, e così, mentre gli altri colleghi facevano serata, rimanevo solo e andavo a visitare i musei o a fare una passeggiata.

Nel 1980 realizza il suo primo film, Un sacco bello, inizio di un percorso che non è rimasto certo sempre uguale a se stesso:

Negli anni ’80 ho sviluppato tanti personaggi e caratteri, in commedie divertenti ma anche piene di solitudine: i protagonisti non erano infatti semplici rimorchiatori, ma maschi in crisi. Io e Massimo Troisi in particolare, forse anche sotto l’influsso del femminismo, abbiamo sottolineato una cosa importante: all’epoca, gli uomini erano diventati fragilissimi e in preda ad una grande confusione. Nei miei film, siamo sempre più deboli delle donne, che hanno le idee più chiare e ci surclassano in tutto. Da parte mia, ho cercato di lasciare spazio anche ad altri attori, di non puntarmi addosso la macchina da presa: in Un Sacco Bello, ad esempio, l’intenzione era raccontare con un po’ di poesia l’estate romana del 1979.

A metà del decennio, sono stato influenzato da una certa mitologia stalloniana, da cui in un secondo momento ho preso le distanze con un’opera più intima, Io e mia sorella, e poi una corale, Compagni di scuola, dove faccio un passo indietro e lascio prendere la scena ai miei colleghi. Quest’ultimo è stato molto osteggiato da produttore, Mario Cecchi Gori, che riteneva la sceneggiatura troppo verbosa, ma che poi ha apprezzato il risultato finale. Gli anni ’90 sono stati poi molto importanti come affermazione su toni diversi. Con Maledetto il giorno che ti ho incontrato ho cercato di “de-romanizzare” il mio cinema, grazie alla collaborazione con la co-protagonista Margherita Buy, che mi ha portato a recitare in modo diverso, ricorrendo all’italiano e non più a escamotage dialettali. Successivamente, con Viaggio di Nozze, ho riproposto i miei personaggi storici, ma rivisti e corretti per l’epoca.

Arrivati così all’oggi, Verdone si è lasciato andare a un’intima confessione:

Mi manca una figura più grande di me con cui confrontarmi. Dopo aver scritto un libro o anche solo un articolo, mi sento sempre insicuro, per cui una volta chiamavo al cellulare mio padre, Mario Verdone [intellettuale e critico cinematografico], glielo leggevo, e lui mi dava piccoli consigli. Ancora oggi, dopo aver terminato un capitolo del mio ultimo libro La carezza della memoria, ho composto il suo numero, senza ricordarmi però che era già mancato. Ho realizzato così quanto profondo fosse il legame con mio padre, e di quanto avevo il bisogno di ottenere il via libera da lui, che sapeva scrivere meglio di tutti.

Vita da Carlo inizia con il protagonista che sogna di partecipare a un grande festival: è il segnale che il suo autore desidera realizzare un film diverso, più “d’autore”?

Sì, lo potrei fare, magari raccontando la storia di Maria F, la prostituta al centro di un capitolo de La carezza della memoria. Il produttore è d’accordo, mi concede piena libertà, dobbiamo solo capire cosa fare [il film o la seconda stagione di Vita da Carlo]: con la pandemia, il cinema italiano è in difficoltà e al momento si sta lentamente riprendendo. Vorrei comunque realizzare un film drammatico dove però ci sia spazio anche per l’ironia. Ce la metterò tutta per fare qualcosa di diverso, di nuovo, altrimenti non mi diverto più. In questo periodo inoltre mi sto chiedendo quanti film potrò ancora fare: arriverà il momento in cui capirò che è giunta l’ora di fermarsi. Ma ora ho ancora voglia di mettermi in gioco.

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