Sono trascorsi 13 anni dall’uscita di Zodiac, l’acclamato thriller di David Fincher interpretato da Jake Gyllenhaal, Robert Downey Jr e Mark Ruffalo basato sui libri di Robert Graysmith focalizzati sul serial killer statunitense battezzato Killer dello Zodiaco, che, negli anni sessanta e settanta, sconvolse la città di San Francisco.

E in un lungo profilo pubblicato dal The New York Times a margine della promozione stampa di Mank, David Fincher ha ricordato proprio la lavorazione di Zodiac, specie in riferimento alla tensione che, sul set, c’era fra lui e Jake Gyllenhaal (interprete di Robert Graysmith):

Jake si trovava nella posizione ben poco invidiabile dell’essere molto giovane e circondato da persone che volevano avere la sua attenzione, mentre lavorava per qualcuno che non gli permetteva di avere un giorno libero. Credo che una persona [in quella situazione] debba avere tutto fuori dalla propria visione periferica. Anche se penso che la filosofia di Jake si basasse su… guarda, aveva già fatto un po’ di film, anche da piccolo, ma non credo avesse mai avesse avuto a che fare con qualcuno che esigeva la massima concentrazione anche sulle minuzie e tendeva a distrarsi parecchio. C’era un sacco di gente che gli sussurrava all’orecchio che Jarhead sarebbe stato un film gigantesco che lo avrebbe lanciato in un’altra categoria e ogni fine settimana veniva trascinato al film festival di Santa Barbara, al Palm Springs film festival o al ca**o di Catalina film festival. E quando si presentava al lavoro era a pezzi. C’erano i suoi manager e i suoi sciocchi agenti che, in pausa pranzo, andavano nella sua roulotte per parlargli della cover di GQ, di questo, di quello. Veniva rosicchiato a morte dalle anatre, anatre neanche troppo sveglie. Però avevano occupato il suo campo visivo ed era difficile per lui colpire una palla veloce.

David Fincher spiega che, per la fine della lavorazione di Zodiac, la tensione si era completamente dissipata, che Jake Gyllenhaal si era addirittura scusato anche se, ammette il regista, non c’era neanche bisogno di questo gesto (il giornalista del NYT specifica anche di aver contattato l’attore per un’intervista, che però è stata “gentilmente rifiutata”, ndr.).

Non voglio in alcun modo trovare scuse per il mio comportamento. Senza ombra di dubbio ci sono momenti in cui posso diventare molto conflittuale quando vedo qualcuno svogliato. Ma la gente ha dei momentacci di continuo. Incluso il sottoscritto. E cerco di essere compassionevole. Ma. Si tratta di: Quattro. Cento. Mila. Dollari. Al giorno. E potremmo non avere la possibilità di tornare a farlo di nuovo. Ed è una cosa che dico di continuo agli attori: non passerò sopra la tua sbornia, sul tuo cane che sta morendo o sul fatto che hai appena licenziato il tuo agente o viceversa. Una volta che arrivi qua l’unica cosa che m’interessa è: abbiamo raccontato la storia?

Il nuovo film di David Fincher, Mank, sarà su Netflix a partire dal 4 dicembre.

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