Cuore della videointervista “A casa di Alò” di Francesco Alò a Gabriele Mainetti è stato sicuramente Freaks Out, uscito nelle sale lo scorso 28 ottobre. Occasione per riflettere sul suo risultato al Box-Office (che al momento ammonta a 2.6 milioni di euro) e sulla sua ricezione.

Il regista ha dichiarato:

Penso che con questo film abbiamo messo d’accordo il pubblico come accaduto con Lo chiamavano Jeeg Robot, ottenendo lo stesso successo, tenendo conto dell’assenza della spinta dei David di Donatello [nel 2016, Lo chiamavano Jeeg Robot ha vinto 7 statuette] e del particolare momento storico, in cui in generale i titoli italiani segnano un -70% di incassi. Spero che il nostro cinema riguadagni credibilità e attenzione, molto diminuite durante il lockdown.

Freaks Out nei primi giorni di uscita non ha attirato molti spettatori, ma poi ha convinto nella tenitura in sala nelle settimane successive, moltiplicando per 4 la cifra ottenuta nel primo weekend, risultato che capita di rado. Fondamentale è stato il passaparola in rete: in tantissimi, celebrità (come Gianni Morandi) tanto quanto persone comuni, hanno invitato a vederlo al cinema. Quindi sono contento di come è andata, senza dimenticare la sua risonanza a livello internazionale: ad esempio, in Francia, dove uscirà il prossimo 30 marzo, è stato venduto al prezzo più alto degli ultimi 10 anni per un film italiano.

La chiacchierata si è poi spostata sulla scena finale del film, che vede il personaggio di Matilde (Aurora Giovinazzo) al centro di un momento molto intenso:

C’è molto di me nel personaggio di Matilde: il dolore che prova in quel momento è il mio. Lì c’è poi una citazione di E.T.: il battito cardiaco che accende il personaggio e la luminescenza che si espande nel suo corpo come sofferenza. Nel girare la scena, ho cercato di lavorare in sottrazione per evitare l’effetto esasperato tipico delle produzioni hollywoodiane, che celebrano con maestosità ogni virgola. Come italiani, bisogna cercare invece di essere più sobri: così abbiamo scelto di rendere il commento musicale, performato dall’orchestra di Praga, più europeo possibile. Se ad esempio uno come Hans Zimmer moltiplica gli archi per invadere lo spettatore col suono, noi abbiamo optato per una via più intima, che emerge in tutto il film. Penso che se una cosa è sentita come “nostra”, è percepita come più autentica e realistica. Per la stessa ragione, volevo trasmettere un senso di sporco, a partire dalla rappresentazione del fuoco, per la quale siamo partiti dall’elemento naturale per realizzare l’ effetto speciale. Questo è inoltre un rimando ad Akira, da cui abbiamo anche preso l’idea di richiamare sempre il momento storico in cui si svolgono le vicende. Ricordo che, in una battuta prevista inizialmente e poi non inserita nella sceneggiatura finale, Franz dice al fratello: “Questo è più forte della bomba a idrogeno“.

Mainetti ha poi rivelato di aver pensato a un finale alternativo, dove “morivano tutti tranne Cencio (Pietro Castellitto) e Matilde. Poi invece ho preferito il fatto che cercano Israel [il personaggio interpretato da Giorgio Tirabassi] e quindi Israele, che diventa la famiglia surrogata dei diversi. Come in Freaks di Todd Browning, capiscono che insieme sono più forti”.

Infine, un piccolo rimpianto: “Avrei voluto farlo durare 3 ore, ma mi è stato chiesto di ridurlo a 140 minuti perché si potessero fare 3 spettacoli al giorno. A livello di ritmo, forse avrebbero giovato una quindicina di minuti in più, ma i costi sarebbero stati troppo elevati“.

Nella videointervista, Mainetti ha parlato anche del possibile sequel di Lo chiamavano Jeeg Robot e del suo prossimo film. Potete vedere l’intervista completa a questo link: è necessario avere un abbonamento a BadTaste+.

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