Sono quasi due decenni che il femminismo Disney è la trovata giornalistica più usata per annunciare il nuovo film dello studio, solo ora però con Frozen il mantra comincia ad essere vero e non solo propaganda del marketing.

Almeno da Mulan (ma con un po’ di ricerca forse si può andare anche più indietro), si comincia a parlare di un cambio nella maniera in cui la Disney rappresenta le principesse, cioè quella parte della sua produzione più tradizionale e ancorata a un universo necessariamente conservatore, fatto di monarchi buoni che amano i sudditi (e ne sono regolarmente amati), eroi senza macchia che si battono per salvare inerti fanciulle molto spesso addormentate da malvagi parenti o aspiranti al trono. Mulan in particolare era anche molto forte nel mostrare come le donne non siano considerate, tuttavia proponeva una storia tradizionale.

 

 

Effettivamente con una frequenza sempre maggiore i personaggi femminili hanno guadagnato il primo piano (già da La Sirenetta), senza dover essere come Biancaneve, Aurora o Cenerentola, cioè un oggetto immobile, sballottato dagli eventi e praticamente privo di personalità o volontà a cui tuttavia tutti tendono, ma proponendo i propri problemi. Come fanno i modelli maschili.

Esiste però una chiara differenza tra fare femminismo e rappresentare un versione delle donne più vicina alla realtà (cioè con una personalità). Fino a Rapunzel si è cercato di rappresentare delle donne o ragazze più vicine a quelle vere, le principesse Disney erano oggetti da salvare, anche quando protagoniste, personaggi che all’interno della propria storia si muovono con un fine chiaro (cioè le proprie motivazioni) e uno narrativo (mettersi in pericolo) e questo perchè la dinamica del salvataggio e il proporre una figura maschile forte che sappia prendere decisioni e risolvere situazioni, ha sempre funzionato benissimo, in primis per il pubblico delle bambine.

Rapunzel riusciva però a mettere proprio la ragazza al centro delle scene d’azione, quindi al centro del “fare” e non solo del “provocare”, accoppiandola al classico eroe sbruffone, sicuro di sè e in questo senso risolutore, quindi tradizionale. In più quel film segnava un allontanamento grande dal resto del canone per il tema portante proposto, una questione prettamente femminile come la risoluzione del rapporto di amore/odio/imitazione/competizione con la madre. Era insomma un film effettivamente femminile, che mostrava un mondo al femminile molto più di quanto avessimo mai visto, che parlava di più alle bambine, mostrando il mutamento della protagonista attraverso un mutamento del taglio e del colore dei capelli (accade anche Frozen dove addirittura il cambio di atteggiamento buono/cattivo è sottolineato da un cambio d’abito) ma non era effettivamente femminista.

Frozen è femminista e ha un altro passo.

E’ facile attribuire il cambio radicale alla presenza, per la prima volta in un cartone Disney del canone classico, di una donna alla regia e alla sceneggiatura (Jennifer Lee), tuttavia non è detto che sia necessariamente una donna ad aver portato quest’aria differente (John Lasseter pare essere il principale imputato).

Femminismo non è raccontare di donne messe in condizioni di inferiorità per condannare questa prospettiva, femminismo è attivismo, è fare qualcosa per ribaltare la situazione, per scardinare la convinzione. Al cinema femminismo è fare un racconto che non spieghi ma metta di fronte ad un nuovo paradigma, che è ciò che fa Frozen.

Da qui in poi, inevitabilmente si spoilera la trama.

 

 

 

Tutta la storia di Frozen, fin dall’inizio, è come sempre imbastita per portare al climax finale in cui la protagonista rischia la vita. Fin dalle prime scene è spiegato che un colpo di ghiaccio al cuore non lascia scampo, dunque quando arriviamo al grande momento di tensione finale in cui la sofferente protagonista con sempre meno forze grida il nome dell’eroe nella bufera perchè venga a salvarla, tutti quanti sappiamo (perchè ci è stato detto chiaramente e più volte a parole) che solo “il vero amore” potrà compiere il miracolo. Nel suo ricalcare, usando proprio le stesse parole di sempre, il più grande dei classici sta parte dell’attivismo femminista di Frozen, perchè tutti i personaggi del film si aspettano e auspicano apertamente il bacio dell’eroe ma quello che avviene è che con sommo stupore degli stessi personaggi (il che è straordinario) il vero amore che salva tutto è quello della sorella, comunicato con un abbraccio. Le ragazze che per tutto il film hanno indirizzato la trama con il loro difficile rapporto (come in Rapunzel si racconta di problemi esclusivi dell’universo femminile) si salvano da sole a vicenda. L’uomo, lo vediamo a dramma finito, sta da solo lontano e non ha capito bene quel che è successo, un po’ scemotto nella sua inutilità ma tanto divertente.

Le ragazze giocano insieme da piccole, gestiscono il rapporto da grandi, parlano dei ragazzi (unico motivo che ne spiega l’esistenza nella trama, essere oggetto delle loro discussioni) e fanno tutto da sole, incluso prendere a pugni i personaggi odiosi e poi prendersi il ragazzo che gli piace sia con il classico bacio (neanche a dirlo l’iniziativa è femminile) che addirittura con un regalo costoso da lei a lui, l’espediente con cui una volta l’uomo facoltoso ammorbidiva il cuore della preda.

Mutare la maniera in cui narra le favole per la Disney è un passaggio epocale con conseguenze epocali, perchè perpetuare una tradizione ferrea di racconti (rivoluzionando di fatto il rapporto tra sessi che in essi vige) è la maniera più potente di prendere coscienza non solo che il mondo è cambiato (lo è da decenni) ma che anche il mondo come il cinema lo propone lo è, cioè che i racconti che mettono in immagine sogni e aspirazioni non sono più gli stessi. E non è sufficiente ribaltare tutto, occorre che anche i personaggi della storia ne riconoscano il valore rivoluzionario e positivo attraverso lo stupore.

 

 

C’è però anche un’altra componente molto inusuale che incastra quel che Frozen fa in una prospettiva più ampia.

Nel nuovo film Disney la protagonista ha due spasimanti, due ragazzi che sembrano perfetti per lei e da cui è attratta. Rigettando l’idea secolare dell’anima gemella unica e indiscutibile, Frozen mette una ragazza a confronto con due possibili anime gemelle, tra loro diametralmente opposte e gliele fa frequentare contemporaneamente. Il principe dei regni del sud, sofisticato e appassionato, e il commerciante in ghiaccio, più empatico e istintivamente affiatato con lei, rappresentano le due anime della protaognista, quella istituzionale e familiare (il suo ruolo di principessa, il suo rango e il suo ambiente di provenienza) e quella indomita e avventurosa. Affinità intellettuale e affinità istintiva.

Ovviamente con un espediente di trama alla fine non ci sarà una scelta vera e propria che lascerebbe scontento qualcuno ma uno dei due si rivelerà malvagio e non innamorato, tuttavia questo schema narrativo è il medesimo che regge i due più grandi successi di cinema al femminile degli ultimi anni: Twilight e Hunger Games.

Se dunque il protagonismo femminile in Frozen costistuisce il vero femminismo del film, per il modo in cui stupisce e annuncia il più classico dei luoghi comuni solo per tradirlo e ribaltarlo, dall’altra parte la struttura narrativa con due fidanzati tenuti contemporaneamente ribadisce assieme alle saghe di maggiore successo come sia una consuetudine finalmente accettata e anzi promossa raccontare ragazze sentimentalmente libere di guardare, sognare e spasimare con due uomini allo stesso tempo. Il cinema arriva per ultimo in questo ma la forza con cui promuove un nuovo modello di donna protagonista non solo degli eventi ma anche della propria vita, costretta in sempre meno gabbie non è solo un registrare ciò che accade di fatto ma anche un modo di iniziare ad influire sulla formazione individuale sia femminile che soprattutto maschile.