I 12 film italiani tra il 1921 e il 2018 amati da Alfonso Cuaron

La premessa è che anche ad Alfonso Cuaron piacciono i classici del cinema italiano, ma nella serata sul palco della Festa del cinema di Roma ha voluto scegliere molti film che almeno all’estero sono meno ricordati (alcuni di questi anche da noi) e che per lui sono ugualmente importanti.

Il suo primo incontro con il cinema italiano è avvenuto circa ad 8 anni quando era un appassionato di film d’azione e una sera in cui i genitori non erano in casa con il cugino si è messo a vedere in televisione i programmi da adulti, incontrando Ladri di bicicletteche dal titolo pensavo fosse un film d’azione! Da che ho memoria sono appassionato di cinema ma quando ho visto Ladri di biciclette è stata per me un’esperienza diversa, mi sono confrontato con un cinema diverso. Fu il punto di partenza di una curiosità per un altro cinema che non fosse solo quello di avventura”.

1. PADRE PADRONE (1977) fratelli Taviani

Padre padrone è stato fondamentale nella mia vita. L’ho visto quando vivevo in Messico e già conoscevo molto cinema italiano. Io non capisco come si possano creare film così. Di tanti film capisco come si tirino i fili, ma con i film dei fratelli Taviani non lo comprendo, è un mistero. C’è una umanità così profonda unita ad un approccio mitico ma poi anche una disciplina marxista. E tutto senza nessuna retorica. Anche Pasolini era al tempo stesso mitico, marxista e umanista e infatti lo stesso anche il suo cinema rimane un mistero per me.
Questa scena che abbiamo visto è bella [quella in cui ascoltano nel silenzio i rumori della campagna ndr] ma un’altra mi fa impazzire, quella della gelata che rovina il raccolto eppure con la neve fanno una granita e lo danno a questo padre durissimo che la mangia come un bambino. Questo è un cinema che non giudica mai i personaggi”.

2. I NUOVI MOSTRI (1977) di Dino Risi, Mario Monicelli, Ettore Scola

“Lo stile della commedia italiana è stato fondamentale per il cinema di tutto il mondo. C’è la gioia del fare commedia, ma anche un’osservazione sociale e nel caso di Monicelli tanta malinconia della vita unita ad una critica al carattere italiano, una critica fortissima. In seguito le altre commedie italiane sono diventate altro, non una critica ma una celebrazione di questi caratteri. È per questo che a me piace Checco Zalone, mi pare l’unico che continua a criticare.
Ma poi qui il casting delle comparse commedianti è pazzesco, unico”.

3. DILLINGER È MORTO (1963) di Marco Ferreri

Ferreri è un regista fondamentale forse il più sovversivo mai esistito, sovversivo come Godard ma con l’assurdo di Buñuel. Aveva una capacità di diagnosticare la società e in particolare il maschio che dopo 50 anni è ancora attuale.
I suoi inizi in Spagna con Los Chicos e El Cochechito, film molto accademici, poi però ha iniziato a rompere le regole e si è dato da solo il permesso di fare tutto, in ogni film.
La costumista di La grande abbuffata mi disse che la ragione per cui si fece era che Tognazzi e Piccoli non facevano che mangiare e quindi lui si propose di fare un film sul fatto che mangiano fino a morire.
Davanti ad opere di Ferreri è impossibile guardare altrove, è come un incidente stradale, non puoi girare la testa dall’altra parte, è provocatorio. Conosco registi di 40 o 50 anni che non conoscono Ferreri e quando gli faccio vedere Dillinger è morto mi dicono che è un capolavoro”.

4. SALVATORE GIULIANO (1962) di Francesco Rosi

“Questo è il momento! L’unico momento in cui vedi Salvatore Giuliano in carne [parla della scena in cui la madre si strugge sul cadavere ndr], è un film in cerca di lui e qui lo vediamo, il resto è mitologia di Salvatore Giuliano e dell’impatto di una vita. Credo che questo film sia un precursore di La battaglia di Algeri, non so se è vero, ma mi pare sia così, ci vedo il medesimo approccio ad un evento storico con una disciplina tremenda della ricostruzione. Quando si parla di film si parla di registi e sceneggiatori ma mai del vero eroe del cinema italiano: le maestranze. Il direttore della fotografia qui è Gianni Di Venanzo, un vero maestro che è morto giovane, ma la lista è infinita ce ne sono tantissimi e l’elenco arriva fino ad oggi a Dante Ferretti. È una costante del cinema italiano: i collaboratori. Da Tonino Guerra o Ruggero Mastroianni, il montatore di tanti grandi.
Io credo che il look del cinema latinoamericano venga proprio da qui, da questo naturalismo. Cioè la luce di questo film e di questa scena è difficilissima, un terreno bianco con un sole fortissimo e lo stesso ogni inquadratura è bellissima”.

5. L’UOMO MECCANICO (1921) di André Deed

“Spesso si dimentica il cinema muto italiano, e con questo film volevo menzionare il Futurismo che è stato un movimento fondamentale per il muto. È difficile trovare film futuristi di quell’epoca, con questo volevo dare un assaggio. Cioè qui c’è uno scontro tra robot, credo sia il primo esempio in assoluto. Un film di 45 minuti precursore di tantissime altre cose. La storia è quella di un robot che diventa una minaccia per la società, cioè Terminator. E con un finale felice! Chissà forse Cameron l’ha plagiato! E di nuovo parliamo di maestranze. Questo film viene 6 anni prima di Metropolis e guarda che design! E poi è anche divertente, un film d’azione, con un robot che perseguita la gente in strada.
Poi i futuristi avevano idee politiche molto diverse dalle mie, ma questo non mi impedisce di ammirare quel che fanno. Certo è diverso quando l’arte diventa propaganda, allora proprio non è più arte. Io amo Virginia Woolf ma so che era un’aristocratica classista che pensava di essere superiore agli altri”.

 

alfonso cuaron masterclass monda pena

 

6. I COMPAGNI (1962) di Mario Monicelli

“Questo è un film tragico molto diverso dai soliti di Monicelli con Giuseppe Rotunno e Ruggero Mastroianni al montaggio. E poi c’è come attore Marcello Mastroianni. La questione con Mastroianni è che sembra che tutto sia facile per lui, è un attore con cui hai subito una sensazione di amicizia, ecco perché può prendersi questi rischi e interpretare personaggi anche odiosi, perché lo spettatore non lo giudica. È l’attore che preferisco in tutta la storia del cinema. Hai sempre l’impressione che amasse fare i film più che guardarli, la gioia di lavorare con questa gente, ed è bellissimo. Poi qui c’è una cosa che è importante in tanti film di Mario Monicelli: il passare del tempo. È un film politico intelligente e non di propaganda perché il centro è l’umanità, non il discorso ideologico ma uno quasi umanitario”.

7. C’ERAVAMO TANTO AMATI (1974) di Ettore Scola

“Questo forse è il primo film in cui Scola ha cominciato a combinare il melodramma con la commedia. Parlavamo del passare del tempo prima e questo è proprio un film sul passare del tempo, forse il film più bello mai fatto sul passare del tempo. Parla delle convinzioni delle persone, tante volte il mondo cambia e certe convinzioni si rivelano errate, ma l’importante è che siano oneste, invece personaggi come quello di Gassman si corrompono.
Nell’approccio al melodramma le sceneggiature italiane sono molto più realistiche ma è un melodramma che sta davvero immerso nel contesto sociale. Parliamo di tutti registi di un’epoca di forti ideologie, avevano tutti un partito dietro di sé ma una volta di più non sono film ideologici questi, la convinzione è chiara in questa sceneggiatura.
La transizione al colore che c’è in questo film è parte di un lavoro sulla forma che sarà più evidente nell’ultima parte della sua carriera con film più stilizzati e quasi musicali.
La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana è anche un altro film italiano sul passare del tempo che mi piace molto”.

8. LA DOLCE VITA (1960) di Federico Fellini

[A sorpresa la clip che era stata concordata, quella del finale sulla spiaggia, è stata seguita da una del salvataggio finale sulla spiaggia di Roma di Cuaron stesso ndr]
“Posso dirvi che ho utilizzato in tutta la sequenza della spiaggia il rumore del vento di Fellini, quello che era sempre lo stesso nelle sue scene sulla spiaggia.
Fellini è il regista dei registi, è una cosa fondante del cinema moderno, anche interessante quando guardi la sua opera la transizione dal post neorealismo fino a questo imbracciare il felliniano, che è unico. Un maestro tecnico e di forma, uno dei più grandi maestri della tecnica del cinema, con sempre i personaggi sempre al centro, con delle preoccupazioni intorno alla donna, l’ossessione della donna, anche la prima immagine di questa ragazza dall’altro lato del rivolo d’acqua sembra la volpina di Amarcord, la maniera in cui compone l’immagine….”

9. LE QUATTRO VOLTE (2010) di Michelangelo Frammartino

“Una frase che utilizzo molte volte per provocare è che la narrativa è il veleno del cinema, perché il cinema può esistere senza musica, senza attori, senza colore, senza il sonoro e senza storia, ma non senza il principio della camera e il tempo. Credo che Frammartino sia un maestro dell’osservazione del tempo e del flusso dell’esistenza in questo tempo. Questo è un film che mi pare uno dei più importanti di questo secolo, uno che come dicevo di Padre padrone per me è misterioso. Io non ho capito come si possa fare un film così. Qual è l’approccio creativo, come Frammartino lo ha costruito. La narrativa è come il filo cui appendi i vestiti per stenderli, l’importante alla fine sono gli abiti non il filo, e gli abiti sono i personaggi, il tempo, una preoccupazione tematica.
Come Apichatpong anche Frammartino o Steve McQueen rappresentano la transizione verso la videoarte, perché meno narrativi più preoccupati sul tempo e la forma. Cineasti puri come Sokurov, Reygadas, Nuri Bilge Ceylan e Alberto Serra, un cinema preoccupato del tempo”.

 

alfonso cuaron masterclass schermo

 

10. RESPIRO (2002) di Emanuele Crialese

“Emanuele è grande, questo è un film che doma la lezione del cinema degli anni ‘40, ‘50 e ‘60. C’è prima la scena in fabbrica, e poi quella camminata sugli scogli che pare un momento da film del primo Visconti o Rossellini, per come mette in relazione personaggio e paesaggi. Poi però c’è un’esplosione di Crialese puro, più moderno e astratto quando si tuffa e tutto funziona perché ancorato alla realtà non solo contestuale ma emotiva. Ho una profonda ammirazione per il cinema di Emanuele Crialese”.

11. MIELE (2013) di Valeria Golino

“Mi fa arrabbiare che Valeria non sia solo una bravissima attrice, ma anche una delle più importanti registe moderne. Questo film io l’ho visto a Londra ed è stata una sorpresa per me, ha una sicurezza come regista, ma poi sa anche fidarsi del momento, dell’onestà del momento. Lungo tutto il film un pezzo dopo l’altro c’è una forma che ti fa pensare che quel che vedi stia accadendo realmente. La tecnica c’è ma non la vedi, non ostruisce. In tanti registi la tecnica è parte del linguaggio ma quel che Valeria fa con Miele è che questa tecnica sparisce, è perfetta ma sparisce e tutto il personaggio è in primo piano ed è tutto senza sentimentalismo, tutto è dritto senza retorica e senza giustificazione. Tutti aspirano al momento melodrammatico invece Valeria lo tiene a distanza e penso che in questo sia brava e che questo sia il potere del film”.

12. LAZZARO FELICE (2018) di Alice Rohrwacher

“È un po’ un film dei Taviani per questa questione mistica e quasi spirituale. Ci sono tanti elementi diversi dentro ma non è mai un pasticcio. Quando una lezione l’hai digerita davvero allora puoi anche cantare con la tua voce e questa voce lo rende importante. C’è una bontà incredibile in questa umanità, sempre con una preoccupazione del dolore sociale.
Nel personaggio di Lazzaro non c’è consapevolezza dell’effetto che lui ha sulla gente, il che lo rende bellissimo”.

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