Sul proprio profilo Facebook, Jerry Calà ha raccontato un gustoso e interessante aneddoto su Sapore di Mare, il cult di Carlo ed Enrico Vanzina del 1983 in cui è comparso di fianco a Christian de Sica, Marina Suma e Isabella Ferrari.

Un aneddoto circa un argomento, la percentuale sugli incassi, di cui spesso parliamo, ad esempio, quando abbiamo a che fare con le star dell’Universo Cinematografico della Marvel.

L’attore spiega che all’epoca i produttori della pellicola non lo volevano, o meglio, non potevano averlo nel cast del lungometraggio perché “costava troppo” e dovevano già destinare buona parte del budget per i diritti d’autore delle canzoni che avrebbero impiegato.

Il sesto senso di Calà però gli stava suggerendo che Sapore di Mare aveva tutto il potenziale per sfondare al botteghino e che doveva trovare un modo per parteciparvi.

Ecco come è andata, così come racconta lo stesso attore dal suo account:

Mentre stavo doppiando Vado a vivere da solo passai negli uffici della produzione. Su un tavolo vidi un copione che portava scritto in copertina Sapore di mare. Sarà che ho il sesto senso per i titoli, però la cosa mi intrigò e chiesi di cosa si trattava.

«Cos’è questa cosa qua?» «Ah… Niente, Ge’… Non è robba per te, questa. È un film sugli anni Sessanta. Tu mo’ costi troppo e già dobbiamo spendere ’na cifra per i diritti d’autore delle canzoni che usiamo. Questo è un film low budget. Stiamo prendendo attori che costano meno.»

Tra questi attori c’era anche Christian De Sica, che allora costava davvero meno di me, avendo fatto solo partecipazioni a film senza mai essere stato protagonista.

Questo dopo, però. Per il momento Sapore di mare era solo un copione che io chiesi con insistenza di leggere, al punto che il produttore cedette e me lo diede. Il film era molto carino: c’erano due personaggi settentrionali che mi intrigavano. Ne parlai a Claudio Bonivento, che era co-produttore del film, e gli dissi: «Il film mi piace. Se unite i due personaggi del Nord in uno solo, lo faccio. Giuro che mi accontento di quanto può darmi il budget. Però oltre a questo minimo garantito voglio una cosa: una bella percentuale dopo i primi otto miliardi di incasso».
Grassa risata della produzione, che evidentemente non credeva troppo nel film. Si fregarono le mani, prepararono il contratto e si partì con le riprese.

Quando usci’ al Cinema a Roma a un certo punto intervenne la polizia, perché la gente voleva entrare a tutti i costi nel cinema già pieno.
Io me ne stavo buonino da parte e intanto seguivo gli incassi. Tre miliardi, quattro, cinque, sei, sette… Otto!
A otto miliardi e una lira mi presentai nell’ufficio della produzione con il contratto in mano.
«A’ Ge’, che desideri?» Facevano gli svagati. Poi scoppiarono a ridere. «A’ paraculo… c’avevi visto bbene, c’avevi visto!»
Intanto dentro di me mi dicevo: uè Gino, vai a stappare cinque o sei boccioni di champagne.

Sapore di mare per me fu un film molto importante perché mi fece capire una cosa: potevo fare dell’altro. Ricordate tutti il finale che dopo tante risate faceva provare un brivido di commozione al pubblico? C’è un salto di vent’anni rispetto al resto della storia, siamo ai giorni nostri (cioè a quelli di quando fu girato il film, ovvero i primi anni Ottanta). Con sotto Celeste nostalgia, la canzone di Cocciante, io, truccato e invecchiato, non riconosco Marina Suma che mi viene a salutare. Dopo le mando un biglietto di scuse che lei legge mentre io faccio uno sguardo in una scena che Carlo Vanzina ha girato con un espediente imparato da Sergio Leone: carrello avanti e zoom indietro. Abbasso lo sguardo che poi si alza per perdersi nel nulla, mentre Marina Suma mi guarda da lontano. In quel momento, vent’anni dopo, entrambi pensiamo a tutto ciò che è stato e a quello che non è stato e che sarebbe potuto essere se…

Mi ricordo che, finita la scena, l’operatore alla macchina venne da me e mi disse: «Jerry, hai fatto uno sguardo che… Pensaci! Tu puoi fare anche dell’altro!» Lo ringraziai, credendo fosse un complimento come tanti.

Invece alla prima del film ebbi una conferma. Seduto accanto a me c’era Carlo Verdone. Durante il finale, davanti a quello sguardo, Carlo mi strinse il ginocchio e mi sussurrò una cosa che suonava come un insulto, ma che era il più grande complimento: «Che fijo de ’na mignotta…».

 

Sapore di Mare, nel 1983, incassò la bellezza di dieci miliardi di lire (equivalenti a circa 16 milioni di euro).

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