La regista Zoé Wittock ha compiuto il suo esordio alla regia con Jumbo, il film presentato in anteprima italiana al Trieste Science+Fiction Festival 2020, e il progetto ispirato a una storia vera ha richiesto vari anni di lavoro e di impegno prima di poter essere realizzato, come è stato rivelato durante un incontro con la stampa. Al centro della trama c’è una ragazza timida e inesperta chiamata Jeanne, interpretata da Noémie Merlant, che si innamora inaspettatamente dell’attrazione di un parco dei divertimenti. La situazione causerà qualche attrito con la madre e la giovane dovrà trovare il modo per affrontare la propria situazione e capire cosa desidera realmente.

Il titolo ha un legame con l’origine della parola e, a sorpresa, con la storia di un elefante:

Inizialmente il film si intitolava Jumbo perché sono cresciuta in Africa ed è una parola legata al concetto di accoglienza, poi è diventato un gioco di parole e ho scoperto la storia dell’elefante morto nel 1800. Ho quindi deciso di tenerlo come titolo perché amo gli elefanti e ci sono degli elementi che ricordano quegli elementi perché è stato un animale che rappresenta quasi un martire, ha ispirato amore e compassione. Inizialmente era qualcosa di non consapevole, poi abbiamo deciso di giocare con l’analogia.

La storia è molto originale e difficile da girare, ma dalla stesura dello script alla versione finale presentata sul grande schermo non sono state compiute molte differenze:

Abbiamo tagliato delle scene dalla sceneggiatura iniziale solo per questioni di produzione e budget. Quando stavamo costruendo la storia stavamo cercando di ispirare empatia pensando anche alla mia reazione quando ho sentito per la prima volta la storia della donna che ha sposato la Torre Eiffel: ho riso, ho pensato fosse folle e che lei fosse in qualche modo davvero strana. Dopo ho compiuto delle ricerche sulle persone che si innamorano degli oggetti e ho iniziato a parlare con lei, rendendomi conto che si tratta di una storia d’amore. Lo è, è un personaggio che non riesce a innamorarsi di un uomo anche se ci prova, non riesce a stabilire lo stesso legame. Ho iniziato a pensare al personaggio senza rischiare di giudicarlo, ma per esplorare la stranezza e questo rapporto. Ho quindi cercato di rendere questo oggetto “vivo” e permettere agli spettatori di capire la situazione. Ci sono degli elementi fantastici nel portare l’oggetto in vita e altri realistici nel modo in cui interagisce con la macchina, ho cercato di dare spazio alla dolcezza e alla poesia esistente nel racconto.

Una delle sequenze di maggior impatto, emotivo e visivo, è quella del rapporto della protagonista con l’attrazione. La regista ha spiegato:

Quando ho iniziato a pensare alla sequenza del rapporto sessuale mi sono chiesta come potevo girare quel momento, rendendomi conto che si poteva essere molto realistici o usare un registro più fantastico. L’idea era quindi di entrare all’interno della macchina, essendo legata alla penetrazione, e volevo inoltre dividere la realtà e quegli elementi un po’ in stile sogno. L’idea del bianco è sicuramente legata al concetto di purezza e verginità. Non sapendo poi come sono all’interno queste macchine abbiamo preferito un approccio meno realistico, quasi come fosse un infinito bianco. Ho scritto la sceneggiatura nel 2012, prima che uscisse Under the skin, e c’era già la scena. Quando è stato distribuito quel film è diventato sicuramente un riferimento utile.

L’atmosfera di Jumbo è davvero particolare e Zoe Wittock ha voluto chiarire:

Ho cercato di equilibrare gli elementi drammatici, fantastici e l’umorismo che è comunque presente. Siamo sempre stati consapevoli, anche durante la fase di scrittura e poi del montaggio, di quando era possibile rimanere nel campo della fantasia o spostarsi nel realismo, o come usare l’elemento comico. Si è trattato di un lavoro davvero preciso e basato sull’idea che volevamo un surrealismo legato alla realtà e invece la realtà avesse degli elementi fantastici. Abbiamo giocato molto con i colori e con gli oggetti nelle scene ambientate in casa, mentre quando c’è Jumbo in scena visivamente c’è un maggiore realismo con le luci, aspetti tecnici.

L’oggettofilia è al centro della trama e la visione di Jumbo ha un approccio sulla questione che cerca di non esprimere giudizi o prendere una posizione troppo dura:

Volevo che le persone pensassero vedendo il film che si deve mantenere la mente aperta e di avvicinarsi alle storie di queste persone non solo considerandole dall’esterno, ma approfondendo quello che provano e rendendoci conto che possiamo immedesimarci in queste persone. Non volevo offrire un ritratto della società, ma parlare della storia di qualcuno in particolare. Alla fine si tratta di un racconto di un’esperienza personale e, come si dice nel film, è un amore che non causa violenza, non facendo male a nessuno.

Wittock ha confermato che è stato essenziale trovare la giusta interprete per la storia:

Il processo di casting è stato molto normale e ho valutato molte giovani attrici interessate al ruolo di Jean. Si tratta di una parte davvero tecnica e per questo non potevo usare degli attori non professionisti. Quando Noémie Merlant si è presentata ha regalato una performance davvero bella, ma era molto forte, pensavo troppo per il personaggio. Non l’ho quindi richiamata subito, ma quando mi sono resa conto che Jean è più forte di quanto sembri l’ho richiamata e in quell’occasione ha proposto una versione più sensibile e vulnerabile del personaggio, mi ha commossa fino alle lacrime e ho capito immediatamente che era la persona giusta. Trovo interessante come il casting ti aiuti a capire meglio i personaggi e la storia, facendoti notare dei dettagli che magari ti erano sfuggiti.

Nonostante appartenga al genere sci-fi, il film Jumbo non ha usato in modo eccessivo gli effetti speciali, come ha ribadito la regista:

Abbiamo cercato di girare dal vero il numero più alto possibile di scene, non volendo fare affidamento in modo eccessivo agli effetti speciali. Sul set c’erano quindi olio, fumo, luci… Noémie è stata aiutata molto con questo approccio perché era come se stesse parlando con un personaggio, visto che i tecnici potevano creare sul set le “reazioni” di Jumbo. Abbiamo usato il CGI in alcune sequenze, ma abbiamo persino chiesto a un ingegnere di modificare l’attrazione, come le luci o gli elementi che si muovono, per poterla muovere davvero come desiderato.

Dalla prima stesura della sceneggiatura alle riprese sono passati ben 8 anni, cosa è cambiato in questo periodo di tempo?

Nel corso di otto lunghi anni ho sicuramente pensato più volte alla possibilità di non realizzare il film, rinunciandoci, ma c’era sempre qualcosa che mi impediva di farlo. Ho continuato a lottare per produrlo. Per fortuna ho lavorato con una persona che stava compiendo il suo esordio alla produzione e quindi ci capivamo meglio perché stavamo affrontando gli stessi ostacoli nell’entrare nel mondo del cinema per la prima volta. Non potevo però affidarmi a un produttore già forte che forse avrebbe aiutato considerando la complessità del progetto. Il fatto che abbiamo lottato così tanto ha però permesso di ottenere il film che volevamo girare e sono davvero orgogliosa per quello che siamo riusciti a ottenere. La produzione direbbe che gli aspetti economici sono stati i più difficili, ma per me l’aspetto più complicato è rappresentato dalle continue riscritture per attirare finanziatori e al tempo stesso proteggere la storia per farla rimanere quella che volevo raccontare.

A rendere complicate le riprese è stata, in parte, la dimensione dell’attrazione del parco di divertimenti:

Volevo che il film mostrasse la crescita della protagonista, elemento che mi ha spinta a mostrare una storia d’amore con un oggetto così imponente e impossibile da spostare nello spazio. Non volevo che sembrasse un racconto legato alla possessione perché l’oggetto non poteva essere trasportato, sarebbe stato troppo materialistico. C’era poi l’elemento legato al parco dei divertimenti che porta con sé ricordi dell’infanzia, emozioni come eccitazione, gioia, libertà e divertimento. Si trattava quindi di una scelta che permetteva di creare molte possibilità dal punto di vista narrativo.

Il film non esita nemmeno a mostrare le conseguenze di questo amore davvero originale:

La situazione causa sicuramente dei problemi con la madre, ma credo che si tratti di qualcosa che deve risolvere dentro di sé quello che le causa delusioni e tristezza, perché ha delle aspettative nei confronti di quello che la figlia deve essere, come comportarsi. Certo, nessuno si aspetta che la propria figlia si innamori di un oggetto, ma credo che sia un problema dentro di lei perché non sa trovare il modo di accettarla o mantenere la mente aperta.

Jumbo “esprime” emozioni e intenzioni tramite luci e colori e Zoé Wittock ha ribadito:

Sono cresciuta con i film di Steven Spielberg e quando ho scelto un approccio più dolce e sensibile sicuramente è stato influenzato dai suoi lungometraggi e quelli con cui sono cresciuta. Ho scelto di non rivedere Incontri ravvicinati del terzo tipo prima di girare Jumbo perché sapevo che ne sarei rimasta influenzata e si trattava di una sequenza molto importante. Abbiamo giocato con i colori – rosso, verde e blu – e in un certo senso è un elemento ispirato alla trilogia di Krzysztof Kieslowski.

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