È un periodo particolarmente propizio per le madeleine cinematografiche. Tutto è iniziato con Roma di Alfonso Cuaron, profondamente autobiografico. È proseguito con È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino dove il regista ha rielaborato le sensazioni e le nostalgie dell’adolescenza. Con Belfast anche Kenneth Branagh rivive la sua storia personale accedendovi con una chiave di finzione. Questi ultimi sono due viaggi proustiani attraverso il cinema che promettono di avere un ruolo di primo piano nella stagione dei premi.

Al centro della storia di Belfast c’è l’Irlanda del nord nel 1969. Osservata con gli occhi di Buddy, un bambino alter-ego filmico del regista, vediamo un paese in pieno tumulto e cambiamento culturale. I cattolici repubblicani e i protestanti unionisti sono in lotta. La violenza si sposta nelle strade mentre le famiglie cercano di immaginare un futuro per i propri figli. Uomini e donne dovranno prendere una difficile decisione: aspettare la fine degli scontri o iniziare una nuova vita altrove.

La storia raccontata risuona nell’esperienza personale non solo di Branagh, ma anche della montatrice Úna Ní Dhonghaíle (che vedremo anche all’opera insieme al regista con Assassinio sul Nilo). La donna è entrata nel progetto dopo avere diretto The Invisible Man, un piccolo documentario per la tv dedicato al vissuto di suo padre in quel periodo. Come prigioniero politico riuscì a fuggire dalla prigione di massima sicurezza Crumlin Road, ricercato da 12.000 poliziotti restò latitante fino a quando non riuscì a passare i confini verso la sua salvezza. 

La montatrice ha raccontato all’Hollywood Reporter il lavoro fatto sulle immagini del film. Sia di manipolazione in post produzione che di ritmo. Attraverso il montaggio hanno lavorato sull’immersione nella prospettiva dei bambini per fotografare l’atmosfera di quegli anni. In particolare cita una sequenza in cui la cinepresa ruota intorno al protagonista a sessanta fotogrammi al secondo. Spiega che questa scelta tecnica le ha permesso di alterare il frame rate durante il montaggio per rallentare e accelerare il tempo del racconto. Il suono doveva dare l’impressione di confusione. Prima crea un silenzio a cui segue il caos improvviso dato che, in quel momento, Buddy si trova nel mezzo dei conflitti.

Il risultato è stato raggiunto inserendo il suono della folla che si avvicina da lontano e fuori dal campo di ripresa. Si possono percepire, ma non vedere. Una scelta viscerale che è anche un tentativo di dare liricità e far sentire allo spettatore ciò che vive il bambino, ha specificato Dhonghaíle. L’esplosione che ne consegue lo porta fuori dalla trance del momento rigettandolo nella durezza della vita. Hanno lavorato parecchio al montaggio e alla disposizione nella struttura narrativa di questo momento chiave nell’equilibrio di Belfast. Segna infatti la svolta in cui la famiglia prende una decisione importante per la propria sicurezza.

Sapevamo che la rivolta alla fine sarebbe stata la spinta definitiva per la famiglia a lasciare Belfast. Ma le scene all’interno del film erano mobili. Esaminavamo costantemente i giornalieri per vedere che altro potevamo fare.

Stando a quello che racconta del rapporto con il regista, pare che il film sia “nato al montaggio”, testando diversi equilibri riposizionando scene chiave. Spesso hanno deciso di valorizzare un segmento invece che un altro sulla base delle performance ottenute. Ad esempio hanno particolarmente enfatizzato il momento in cui Buddy e il fratello Will si nascondono sotto il tavolo, proprio per via della toccante recitazione degli attori.

Kenneth e io eravamo interessati a guardare costantemente a diverse opzioni per far procedere la storia. E lui, nonostante avesse scritto una sceneggiatura bellissima, è stato veramente disponibile a fare delle prove per dare una nuova struttura e trovare modi per migliorare la storia. 

Cambiamenti eseguiti per dare la giusta alternanza alle emozioni, ma anche ottenere un’atmosfera di viaggio nei ricordi dal sapore caldo e coinvolgente.

Una delle cose che condividiamo io e Kenneth è il desiderio di celebrare come si possa raccontare una storia con un po’di trasporto. Puoi far ridere le persone e poi le puoi commuovere. Abbiamo cercato di fare questo dando la forma al nostro film affinché catturasse il retaggio culturale che entrambi condividiamo. L’emozione e le risate vanno di pari passo.

Il passato irlandese, sia della montatrice che del regista, è così entrato nelle scelte artistiche del film. Hanno cercato di ricreare il immagini i segni di un tempo ormai lontano, attraverso il dramma e il senso di urgenza generato dalla guerra che hanno intravisto durante l’ infanzia.

Cosa ne pensate di Belfast? Quanto lo attendete? Fatecelo sapere nei commenti

Fonte: Hollywood Reporter

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