Una delle conseguenze dello scandalo #OscarsSoWhite del 2016 è stata l’introduzione di un nuovo standard di rappresentazione e inclusione (chiarmato RAISE), parte di una serie di politiche di inclusione inaugurate dall’Academy nel 2020 e chiamate Aperture 2025. Queste politiche includono l’estensione a 10 titoli della categoria miglior film agli Oscar e la diversificazione della composizione dei membri dell’Academy: nel 2015 il 25% dei membri era composto da donne e l’8% da persone appartenenti a minoranze etniche, oggi queste percentuali sono salite al 34% e al 19%.

Il RAISE entrerà in vigore l’anno prossimo, e presuppone che per essere candidata all’Oscar come miglior film una produzione rispetti alcuni standard di inclusione in 2 su 4 campi. Uno di questi campi viene definito “a schermo”, e prevede che uno o più protagonisti o non protagonisti appartengano a una categoria sottorappresentata, oppure che la storia del film sia incentrata su un gruppo sottorappresentato (una donna, una persona LGBTQ+, una persona con disabilità). Altri campi sono cosiddetti “dietro le quinte”, e prevedono opportunità di lavoro pagate a persone appartenenti a gruppi sottorappresentati.

Secondo una prima statistica fornita dall’Academy, la maggior parte dei film che vengono proposti dai produttori incontrano già la soglia degli standard, a partire dallo standard “a schermo” e da quello legato a “marketing e distribuzione”. I campi in cui vengono rispettati meno facilmente questi standard sono gli altri due, quelli che riguardano i “capi reparto” e “l’accesso all’industria” (la pandemia peraltro ha lasciato in sospeso molti tirocini pagati). Viene da chiedersi, quindi, perché introdurre queste regole se in molti casi vengono già seguite: la risposta è che l’annuncio dell’introduzione di questi standard ha spinto, negli ultimi anni, molte produzioni ad adeguarsi prima del tempo. Sembra quindi stiano già avendo l’impatto sperato sull’industria.

Ripensando alle parole di Michelle Yeoh quando ha accettato il suo Oscar, in particolare il passaggio sul “vedersi rappresentata sullo schermo”, l’introduzione del RAISE appare come un passo nella giusta direzione. Tanto più che standard simili vengono già adottati da organizzazioni come gli Independent Spirit Awards e il British Film Institute.

Tuttavia preoccupa la burocratizzazione di questo processo, ora che entrerà ufficialmente in vigore. L’Hollywood Reporter ha interpellato alcuni membri dell’industria che hanno parlato in anonimato per non rischiare di sembrare anti-inclusione. In particolare, sta generando un certo dibattito la raccolta delle informazioni sulle produzioni, che rischia di violare la privacy. “La prima volta che ho visto le domande [sulla salute e la disabilità], sarò onesto, mi hanno allarmato parecchio”, spiega una fonte. “Mi sembrava di vedere le mie tasse. Tutti allo studio ci siamo guardati dicendo: e ora cosa dovremmo fare?” Un altro cineasta spiega: “Non lo so, magari qualcuno nella mia troupe è neurodivergente, ma non sono io a doverlo chiedere. Ha fatto bene il suo lavoro? Ottimo. E come facciamo a sapere se qualcuno è gay se è illegale chiederlo?”

Alcuni produttori sostengono che la procedura sia pesante, se non invasiva, soprattutto in relazione alla richiesta di informazioni su razza, sesso, orientamento sessuale e stato di salute dei membri del cast e della troupe. L’Academy, per contro, si difende spiegando che non si aspetta che le produzioni conoscano tutti i dettagli demografici dei propri collaboratori, e afferma di aver fornito risorse per facilitare questo processo, segnalando siti che tengono traccia di attori e membri della troupe che si identificano come appartenenti a gruppi sotto rappresentati, anche in forma anonima se necessario. “Le intenzioni sono encomiabili,” spiega un produttore, “ma molte domande sono veramente spiacevoli. Non intendo scrivere a ogni attore chiedendo il suo orientamento sessuale. E se non è scritto nella loro biografia, pensate che voglia realmente andare a chiedere a qualcuno se è disabile?”

Secondo l’Academy, comunque, la maggior parte delle produzioni che hanno inviato i propri film al vaglio dell’Oscar ha già iniziato a compilare delle versioni del RAISE, fornendo spesso ancor più dettagli di quanto richiesto. L’obiettivo di tutto questo processo è spingere le produzioni a riflettere su ciò che succede sul set dei loro film. La speranza è che queste buone intenzioni non si perdano nella burocrazia.

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