C’è un problema di rappresentazione degli ebrei al cinema, per lo meno secondo Sarah Silverman. Nulla di drammatico, come lei stessa ha detto ai microfoni di Howard Stern un anno fa, ma è una cosa che ha notato e che vale la pena sottolineare, nel pieno rispetto – e stima – degli attori e delle attrici coinvolte. Questa premessa è necessaria perché, a differenza di come riportato su varie testate statunitensi, i toni con cui ha introdotto il dibattito non sono affatto militanti, ma molto concilianti. Recitare è recitare, dice, non si richiede perfetta identificazione con il personaggio. Nota però che ad Hollywood non mancano certo gli attori ebrei che possano interpretare personaggi ebrei.

Nel suo spazio personale, The Sarah Silverman Podcast, l’attrice ha ampliato questo concetto partendo da un fatto personale. In passato è stata licenziata da un film perché la produzione aveva visto un suo sketch del 2007 in cui si era dipinta il volto in una blackface. Per inciso, il pezzo mirava a prendersi gioco dell’ignoranza del razzismo, e lei faceva proprio una parodia di queste grette convinzioni. Accettata la decisione della produzione ha però notato un paradosso. Nel film è stata infatti sostituita da un’attrice non ebrea, la quale si è trovata a riprodurre il personaggio simulando tratti stereotipici e caricaturali.

Sarah Silverman propone di chiamare “Jewface” la pratica di rimpiazzare attori, ma soprattutto attrici -stando al suo discorso-, ebrei con altri non ebrei. A puntare i riflettori sul problema è stata la recente decisione di fare interpretare a Kathryn Hahn l’attrice e comica Joan Rivers, in una serie prodotta da Showtime. Silverman ha sottolineato ulteriormente che Kathryn Hahn non ha fatto niente di male, e che non ha alcun problema con lei, anzi, la considera una grandissima attrice.

Il problema è quindi, come sottolineato in un articolo del Time, che questo caso singolo entra in un pattern che invece dura da sempre. “Se un personaggio femminile è coraggioso o merita amore, non è mai interpretata da un’ebrea. Mai!” dice Silverman. Anzi, al contrario, spesso gli interpreti di origine ebraica vengono inseriti nei film proprio per rafforzare i cliché antisemitici. Lei stessa è stata spesso chiamata in prodotti audiovisivi in ruoli che ribadivano lo stereotipo della donna ebrea dominante.

Un’attrice con il suo aspetto deve per forza interpretare: “o l’amica sfacciata del protagonista o una ragazza fica prima che il ragazzo capisca cos’è l’amore. O sei il suo agente letterario”. In questo modo non solo questi personaggi si riducono a ruoli antipatici o di secondo piano, ma perdono tutte le sfumature diventando caratteri piatti, mai completamente realizzati. Spiega Silverman che questo effetto di appiattimento porta con sé un messaggio ben preciso. Ovvero che le donne ebree non sono abbastanza affascinanti o sufficientemente convincenti per essere al centro delle proprie storie.

Sono molti gli esempi di questa tendenza che si possono riscontrare osservando i prodotti audiovisivi degli ultimi anni. Sarah Silverman ne elenca qualcuno, sempre sottolineando la stima verso le colleghe. Rachel Brosnahan in La fantastica signora Maisel o Felicity Jones che interpreta la giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Ruth Bader Ginsburg nel film Una giusta causa. E ancora: Shiva Baby vede la protagonista ebrea interpretata da Rachel Sennott, attrice non ebrea. Stesso problema con il cast di Transparent. Nella serie Mrs. America invece Bella Abzug e Betty Friedan sono Margo Martindale e Tracy Ullman. Rachel McAdams in Disobedience duetta con Rachel Weisz, quest’ultima è l’unica ebrea a interpretare un personaggio ebreo tra i titoli sopra elencati. E così via… 

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Fonte: TimesofIsrael

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