Quando un critico dice di un film che questo somiglia ad un videogioco, lo fa con l'intenzione di lanciare il peggiore degli insulti ad oggi possibili.

E' un concetto, quello che identifica il videogioco come l'ultimo anello nella catena dei racconti audiovisuali, figlio di una mentalità aliena allo sviluppo e alle potenzialità narrative dei videogame che ignora come la somiglianza ad un videogioco sia un elemento di ricchezza e non di povertà, una contaminazione che ne innova le forme e aumenta il senso. E comunque non ci azzeccano mai. Ogni volta che si legge di un film "sembra un videogioco", in realtà non lo sembra mai. Sembra solo un brutto film.

Source Code sembra un videogioco. E per questo è fantastico!

La forma del "gioco" non è una novità nel mondo del cinema. I gialli sono dei giochi in cui lo spettatore è coinvolto in una dinamica di raccolta indizi e scoperta del colpevole assieme al protagonista, non a caso il sottogenere da investigatore in America viene chiamato Whodunit (contrazione per "Chi è stato?").

Come si capisce fin dal trailer, in Source Code il protagonista deve capire chi sia l'attentatore tra i molti passeggeri del treno su cui viaggia. Non siamo però dalle parti dei vari assassinii sull'Orient Express, perchè il soldato interpretato da Jake Gyllenhaal muore e rinasce ogni otto minuti. Di fatto dunque il protagonista ha un tempo limitato per compiere la sua missione, se non ce la fa ricomincia da capo in una struttura ricorsiva che non verrà sbloccata fino al raggiungimento dell'obiettivo. Ogni volta che rinasce, però, il soldato ha una possibilità in più di farcela perchè, come nei videogiochi, ha la conoscenza di ciò che gli è accaduto nelle sessioni precedenti e non commetterà gli stessi errori.

Dunque più che il sottile gioco psicologico e di induzione portato avanti da una mirabile mente investigativa, Source Code propone il modello trial and error tipico dei videogiochi, in cui si prova a fare qualcosa fino a che non ci si riesce, imparando così dai propri fallimenti.

Duncan Jones, che si è definito uno dei primi registi della generazione cresciuta con i videogiochi e che di questi è stato, per sua ammissione, un avido consumatore, era ben conscio di quel che faceva, tanto da aver addirittura omaggiato uno dei suoi giochi preferiti (GTA) in una sequenza di tuffo dal treno in corsa.

Ed è proprio questa capacità di mescolare narrazione tradizionale (come hanno notato in molti sono tanti gli echi hitchcockiani di questo film) e narrazione videoludica, con lo scopo di arrivare ad un ibrido capace di raccontare una storia attraverso il meccanismo ricorsivo tipico dei videogiochi, che rende Source Code non solo il film-videogioco per eccellenza (battendo anche il precedente detentore del titolo: Ricomincio da capo) ma anche una delle operazioni cinematograficamente più raffinate dell'anno.

Che molti non si siano accorti di questa attenta fusione poi non può che essere un pregio del film e un ulteriore merito di Duncan Jones, come sempre concentrato sull'elemento umano e capace di usare linguaggi nuovi in maniera invisibile con il solo fine di realizzare qualcosa di personale e diverso.