M. Night Shyamalan si trova nella posizione giusta per parlare di Rotten Tomatoes. Il suo nome figura infatti sul celebre sito aggregatore di recensioni in equilibrio con nove progetti considerati “fresh”, positivi e raccomandabili, e nove “rotten”, da sconsigliare. La critica è stata in passato molto gentile con lui (non si citano mai abbastanza i titoli che gridavano alla nascita nuovo Spielberg e l’erede di Hitchcock) e l’ha poi scaricato, fino a provare un certo gusto macabro nel massacrarlo.

Se volete leggere cosa ne pensiamo noi vi invitiamo a consultare la nostra classifica dei film di Shyamalan cliccando qui sotto.

Rotten Tomatoes torna spesso al centro dell’attenzione come una metrica a cui il pubblico sembra dare molta importanza. Troppa per qualcuno. Indubbiamente per gli utenti sel sito l’impatto del numero in percentuale sulla considerazione al colpo d’occhio prima di scegliere un film è forte. È rassicurante se si vuole andare su colpo sicuro e aiuta se non si sa cosa scegliere in un vasto catalogo. Se il 90% della critica ha gradito un film è probabile che questo sia effettivamente bello, si pensa guardando i nudi numeri. Più nascosto è il voto medio. Sarebbe quello, semmai, da guardare: un film può piacere a molti ma non andare oltre la scarsa sufficienza.

Si aggiunge a questo il fatto che il cinema non è un concorso a premi (non sempre). Il valore artistico o l’impatto che può avere, derivano da fattori culturali, di stile, dalla capacità di comprensione o dall’intento dell’autore. Esistono anche i film divisivi, che spaccano volutamente la sensibilità comune per andare a ricercare nuovi territori. Il problema è quindi che Rotten Tomatoes e piattaforme simili tendono a ridurre la complessità ad un numero e a valorizzare ciò che opera entro il sistema. I film che consolidano cioè un sentire comune, che incarnano i gusti prevalenti dell’epoca sono più “coccolati” dal meccanismo.

Cosa pensa Shyamalan di Rotten Tomatoes?

Mentre il nuovo film di M. Night Shyamalan, Bussano alla porta, detiene un provvisorio consenso del 68% su 262 voti, il regista ha è stato interpellato per dare una sua riflessione sul predominio di questa forma critica. 

Sono affascinanti le discussioni su che tipo di appetito abbia attualmente Hollywood, e come Hollywood rappresenti una sorta di sistematizzazione dell’arte che non esisteva prima. Adesso c’è un gruppo di forum su ciò che si percepisce come arte, come Rotten Tomatoes e cose del genere, dove viene recepito quello che 200 persone dicono del film e il pubblico si trova con una reazione aggregata. O, per lo meno, è quello che si vede. 

Il sistema sta basando su questo sempre più decisioni. Ripenso al 1998, 1999, e non era così. Eravamo ancor un’industria cinematografica originale. Perciò ciò che spingeva la decisione di produrre i film era: “hanno un impatto?”; “È qualcosa che non abbiamo mai visto prima?”. Queste erano le metriche di allora. 

Shyamalan si dice contrariato dal timore che incutono questi aggregatori alle produzioni. È la prima volta che un regista affronta direttamente le conseguenze concrete sui filmaker quando devono proporre alle produzioni un film. Rotten Tomatoes è certamente anche un ottimo strumento di marketing per chi riesce a ottenere il “fresh”. Inseguire la percentuale ad ogni costo appiattisce la propensione a correre il rischio e a scontentare il pubblico (e la critica) magari a volte posizionandosi però un po’ più avanti di loro. 

Non sono pochi infatti i casi di film rivalutati a posteriori. Quel numero fermo nell’aggregatore, come lascia intendere Shyamalan, racconta molto poco della percezione nel tempo e della reale importanza nello sviluppo dell’arte. Se i registi perdessero il coraggio di osare, per compiacere dati e statistiche, sarebbe un bel problema. Un dibattito su Rotten Tomatoes arrivato all’ ennesimo capitolo e che sembra però solamente agli inizi.

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