Se è vero che il cinema è un’arte prevalentemente visiva e che ha bisogno solo di immagini e movimenti per raccontare una storia, ne consegue che i film migliori sono quelli che si possono spiegare in due frasi, e la cui sceneggiatura sta scritta su un Post-It.

Se sono veri i due assunti precedenti, allora The Raid, arrivato in questi giorni su Prime Video, è uno dei più grandi film della storia del cinema, e vi sfidiamo a trovare una qualche persona appassionata di action che non concordi con quest’affermazione.

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The Raid, spiegato in breve

Eccovi le due frasi che spiegano The Raid: “c’è un signore della droga in cima a un grattacielo; ci sono dei soldati che devono arrivare in cima al grattacielo per beccarlo” – e se togliessimo le ripetizioni potremmo forse riassumere quanto detto in una singola frase, tipo “c’è un signore della droga in cima a un grattacielo e dei soldati che lo devono beccare”.

Scritto, diretto e montato da Gareth Evans, gallese che al tempo viveva a Giacarta, The Raid è la storia di Rama, un novellino delle forze speciali indonesiane che si ritrova coinvolto in una missione per arrestare o uccidere Tama, narcotrafficante e possessore di edifici di 15 piani. Scopriamo tutto quello che c’è da sapere su di lui nei primi due minuti di film, durante i quali lo vediamo pregare, allenarsi e dedicare un pensiero alla sua famiglia; dopodiché Evans toglie il freno a meno e i successivi 99 minuti circa sono dedicati esclusivamente alla scalata al palazzo, e alle grandissime botte che accompagnano questa ascesa agli inferi.

Questo perché The Raid è un film action, o di arti marziali, o tutt’e due, nell’accezione più pura e incontaminata nel termine: serve prima di tutto per mettere in mostra incredibili coreografie di lotta, poi per dimostrare il talento di Evans nel girare l’azione e nell’assemblare il girato nel modo più lineare, stiloso e coinvolgente possibile, e infine serve a raccontare la storia di Rama, del suo scontro con Mad Dog e del piccolo mistero che coinvolge uno dei cattivi. Vi ricordate quando Daredevil, inteso come la serie Netflix, fece impazzire i creatori di gif con una lunga scena di combattimento in un corridoio? The Raid aveva fatto la stessa cosa, e meglio, sei anni prima, così:

 

 

Vi ricordate quando uscì il remake di Dredd e sorprendentemente, in un’epoca di terrificanti remake di capolavori anni Ottanta e Novanta, non ne uscì un abominio ma un ottimo film action, tutto tensione e mazzate, che consisteva nell’osservare Karl Urban che sale in cima a un grattacielo di 200 piani massacrando ogni cosa gli si pari davanti nel tragitto? The Raid aveva fatto la stessa cosa, e meglio, l’anno prima. Il merito è di una convergenza di talento e circostanze fortunate: Evans è un mostro dietro la macchina da presa, le coreografie del film sono affidate ai due attori principali che sono anche due straordinari artisti marziali e stuntmen (ci torniamo), l’Indonesia, dove il film è stato girato, è, diciamo così, un po’ lassa quando si tratta di sicurezza degli stuntmen il che significa che The Raid può permettersi di provare cose che altrove verrebbero bloccate da uno stuolo di avvocati (OK, questa non è necessariamente una cosa buona, ma ha indubbiamente contribuito al risultato finale)…

Dove sono finiti?

Sembrava anche The Raid che potesse essere l’inizio di un periodo d’oro per una buona percentuale delle persone coinvolte. Gareth Evans è quello a cui tutto sommato è andata meglio: tre anni dopo tira su un budget discreto per The Raid 2, una maratona di dramma e violenza lunga due ore e mezza che è tanto epica e sbrodolata (in senso buono) quanto il primo capitolo è sintetico e diretto; poi Netflix gli lascia scrivere e girare un horror in costume, Apostle, che è un pasticciaccio divertente e presto dimenticato. Oggi Evans è al timone di Gangs of London, che ha attirato più di due milioni di spettatori con il primo episodio e che è una specie di grande festa per chiunque ami il suo stile.

Un po’ meno bene è andata a Iko Uwais, cioè Rama, che sembrava potesse fare il grande salto nello stardom hollywoodiano grazie a Star Wars: Il risveglio della Forza e che si è invece ritrovato protagonista di un cammeo di un minuto scarso nel quale non ha alcun modo di mettere in mostra le sue abilità quasi sovrannaturali; per fortuna ci ha messo poco a riprendersi, e negli anni successivi è comparso con discreto successo in Beyond Skyline (raro caso di sequel bello di film molto brutto), Red Zone – 22 miglia di fuoco (dove ha anche fatto il coreografo per scene d’azione) e La notte su di noi. Sfortuna totale invece per Mad Dog/Yayan Ruhian, stuntman, artista marziale, maestro di silat e di aikido, anche lui presente nel succitato cammeo stellare e in Beyond Skyline e poi sparito dai radar di Hollywood dopo una breve e insoddisfacente comparsata in John Wick 3.

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Ma forse è normale che sia andata così, prevedibile per quanto ingiusto: quello che Uwais e Ruhian sanno portare a un film (gran coreografie, grandi botte, grande capacità di raccontare storie con il corpo e non con le parole) è qualcosa che in America oggi non interessa granché, come dimostra la figura barbina che fa un qualsiasi film Marvel dal punto di vista dell’azione se lo confrontate con una scena a caso di The Raid, e la figura barbina che ci fa The Raid se ne confrontate gli incassi con quelli di un qualsiasi film Marvel. Fino a che non accadrà la rivoluzione e la fisicità prenderà il sopravvento sulla psicologia nell’approccio hollywoodiano al raccontare storie, The Raid è destinato a rimanere quello che con un’espressione abusatissima si potrebbe definire “un film di nicchia”, dedicato a coloro che amano vedere il corpo umano sfruttato ben oltre i suoi apparenti limiti e impenetrabile (e probabilmente noiosissimo, per quanto possa suonare strano) per il resto del pubblico. A voi decidere dove schierarvi e scegliere cosa fare della vostra vita nella prossima ora e quaranta.

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