Dolby Atmos amplia i confini del mondo surround grazie ad una codifica che supporta tracce sonore fino a 64 canali. Sono ancora poche le sale cinematografiche abili a riprodurre fedelmente tale codifica in Italia: il cinema IMG di Mestre, alcune sale Isens del circuito UCI e il multisala Oz “Il regno del cinema” di Brescia.

Abbiamo visto Sopravvissuto – The Martian in sala 5, il fiore all’occhiello della catena bresciana dotata di proiettore Sony Digital 4K, certificazione THX e per l’appunto  il recentissimo impianto Dolby Atmos.

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La promessa è quella di regalare un’esperienza sonora incredibile che pensiona i tradizionali impianti audio, per intenderci quelli che ricreano il surround con i diffusori posteriori; l’Atmos di Dolby, grazie ad un posizionamento verticale delle casse sopra le nostre teste, dà vita ad una dimensione sonora più coinvolgente e spaziale dove gli effetti sonori non prediligono più solo l’asse orizzontale ma anche quello verticale.

The Martian non è la prima pellicola a vantare tale surplus sonoro. Abbiamo già provato l’Atmos al cinema con Gravity, Frozen, Godzilla, X-Men: Giorni di un Futuro Passato e, da poco più di un anno, anche in ambito casalingo grazie ad alcuni dischi Blu-ray, come quello di Unbroken e il recente Mad Max: Fury Road, che ripropongono la traccia Dolby incastonata in un solido Dolby True HD 7.1.

[ Ndr. I dischi Blu-ray dotati di codifica Dolby Atmos sono consultabili qui, mentre le uscite cinematografiche sono consultabili qui]

 

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La prima visione dell’ultima fatica di Scott era stata in anteprima stampa: una proiezione in 3D in risoluzione 2K, standard però performante. C’era stato qualche intoppo col 3D attivo ma quel che conta ora è che il sonoro fosse riprodotto in surround 5.1 di modo che abbiamo potuto valutare le differenze col mix audio proposto in Atmos.

Purtroppo la delusione è stata cocente. The Martian in Dolby Atmos offre qualche folata di vento immersiva e nulla di più.

Buona parte del pubblico tende solitamente a incolpare le strutture di una sala per l’inesistenza di un effetto 3D o, come in questo caso, di un apporto sonoro premium. Avendo già provato Lucy, Godzilla e altri lungometraggi presso la catena bresciana, dobbiamo discolparla. E non per pura carineria. Ogni qualvolta il mix audio era stato ben concepito la sala 5 dell’Oz lo restituiva fedelmente, con lo stesso dinamismo e vigore desiderato dagli autori. Sfortunatamente questo non è il caso di The Martian.

Se si esclude la tempesta di vento iniziale, quella in cui l’equipaggio perde il botanico Mark Watney, il resto del minutaggio presenta un audio dal posizionamento regolare. I dialoghi provengono perpendicolari allo schermo così come gli effetti sonori più ricorsivi, che sia una spia dell’HAB o l’accensione del Pathfinder.

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La colonna sonora dai toni procedurali, quasi da massimizzazione dell’attività in ufficio, è riprodotta come avviene nella maggior parte delle sale con una partecipazione dei diffusori anteriori e posteriori. Nulla di anomalo. Ma che ne è stato delle casse superiori? Quelle disgraziatamente tacciono dal già citato incipit della tempesta. In quel frangente va segnalato che la resa era ottima: la sala sembrava una grotta nel deserto dal suono spaziale e tridimensionale dove, con la dovuta attenzione, si percepivano i singoli granelli di materia, come se ogni piccolo frammento avesse il suo rumore, definito e collocato con esattezza.

Ecco perché dopo una simile accoglienza, pulita, rigorosa e trascinante, si assiste a malincuore al resto dello spettacolo. Quel valore aggiunto promosso da Dolby viene a mancare.
Non fraintendiamoci. Parlati e musiche si sentono chiari e definiti però non si può digerire un simile appiattimento audio. Si tornerà a sfruttare per intero i canali della sala 5 solo verso il finale, durante il lancio di Watney “in decappottabile”: complice una fotografia che si avvicina all’astronauta con carrellate circolari a 360°, il mix si sdebita con rumori tenebrosi, incalzanti e cupi che ben rendono le forti accelerazioni e vibrazioni della cabina.

Gravity ci aveva deliziato con un mix Atmos che non badava solamente alle parti più rocambolesche. Le finezze del film di Cuarón sconfinavano dalla pioggia di detriti. Come dimenticare la statuetta dell’alieno Marvin dei Looney Tunes che fluttuava nello spazio.

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Il bullone che scalfisce la visiera di Mark nell’epilogo, un passaggio quasi epifanico che suggerisce nel film, quanto nel romanzo, che la NASA ha imposto uno snellimento eccessivo della capsula, non ha la stessa grazia del Marvin di Gravity. Entrambi i piccoli oggetti volano e disturbano l’occhio ma solo quello di Cuarón gode di una tridimensionalità acustica. Il metallico tocco del bullone è riprodotto parallelamente, da sinistra verso destra; la statuetta marziana di Gravity dava quel quid in più che, sommata ad altre finezze, rendeva la pellicola proiettata in Atmos un’esperienza unica, che il più appassionato audiofilo vorrebbe rivivere a casa grazie alla traccia Dolby contenuta nell’edizione (solo americana) Diamond Luxe in Blu-ray.

The Martian in Dolby Atmos è uno spettacolo dimenticabile, privo di mordente, che rischia seriamente di inaugurare una serie di blockbuster che grazie ai laboratori Dolby promuovono un avvolgimento sonoro premium che tale rimane solo sulla carta. Abbiamo già assistito ad un simile condotta con la tecnologia 3D: cattive conversioni, stereoscopia inesistente o peggio fastidiosa col risultato che molti spettatori evitano oggi l’aggiunta tridimensionale a priori, memori dei primi spettacoli “cava occhi” come Scontro tra Titani. Dal canto nostro speriamo che sia un caso unico e che non siano invece i primi vagiti di una dannosa tendenza.

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