Le due fazioni che discutono su Star Wars: Gli ultimi Jedi hanno da tempo smesso di credere di potersi convincere a vicenda. Ormai gradire o non gradire il film corrisponde a prendere posizione in una “guerra civile” tra fan che, sebbene raffreddata, non si è mai veramente placata. Una spaccatura che ha fatto emergere anche una fazione di hater, più violenti nelle loro azioni online che hanno portato a spiacevoli conseguenze anche nei confronti di membri del cast. Star Wars non è più stato lo stesso dopo Gli ultimi Jedi. Nel bene e nel male. 

Rian Johnson, che sembra essere un lettore molto attivo dei social, da tempo ha deciso di tenersi lontano da tutte le polemiche. Lascia parlare il film, senza dover spiegare le sue intenzioni e le sue scelte (e ci mancherebbe altro!). Recentemente ha però avvallato un’interpretazione del suo film da parte di Bryan Young (un collaboratore di StarWars.com, e Star Wars Insider magazine oltre che scrittore e sceneggiatore). 

Un retweet di peso, che rende automaticamente interessante la lettura del film “approvata” dal regista. Ve la proponiamo di seguito nelle sue argomentazioni principali, cercando di integrarle andando oltre alla necessaria sintesi di Twitter, mentre potete leggerla per intero seguendo il thread qui sotto.

Che persona è Luke in Star Wars: gli ultimi Jedi?

L’analisi di Young parte dall’idea che tutte le trilogie abbiano dei rimandi l’una con l’altra. Immagini ricorrenti, situazioni che si ripetono e soprattutto archi dei personaggi simili. Di questo si è evidentemente accorto anche Luke che, vedendo i segni e lugubri presagi, vuole evitare di ripetere il passato.

E allora la domanda principale è: veramente il Luke della trilogia classica avrebbe cercato di uccidere suo nipote? No, e infatti non l’ha fatto. La sua maledizione è la stessa di Anakin, cioè quella di poter intuire il futuro. Sin da L’attacco dei cloni l’allievo disobbedisce al maestro per provare a impedire avvenimenti che sarà lui stesso a causare. Per Luke le cose sono andate diversamente, aveva sia Yoda che Obi-Wan a consigliarlo, ma le drammatiche visioni hanno influenzato il suo agire, spesso portandolo fuori strada.  

Il problema semmai, si scrive nel thread, è presente ne Il risveglio della Forza. Se i film di Star Wars si specchiano l’uno dentro l’altro, perché allo scettico Han è affidato il ruolo di mentore? Ma soprattutto: il vero mistero del film non è l’identità di Rey, ma perché Luke non abbia problemi a lasciare il compito di confrontarsi con Kylo Ren ai suoi genitori senza pensare mai di intervenire.

La risposta a questa scelta “fuori dal personaggio” viene data proprio ne Gli ultimi Jedi. Luke è ancora una volta di fronte al dilemma etico derivante dalle sue premonizioni. Uccideresti un innocente sapendo che in futuro compierà delle azioni malvagie che non possono essere fermate?

La scelta di ritirarsi allontanandosi da tutti

Eppure Luke è ha riflettuto a lungo sul suo essere maestro Jedi e quello che comporta. Tentato, riesce a governare il suo impulso. Si ferma e non lo uccide. Fa la cosa giusta: ovvero commettere l’errore degli altri maestri prima di lui. Sa però che, in questo modo, la storia rischia di ripetersi in un eterno ritorno del lato oscuro. Vuole tagliare questa catena, in un modo o nell’altro. E come lo fa? Togliendosi dall’equazione, rinunciando alla forza, isolandosi dal mondo.

Questa idea di rinuncia simbolica alla spada laser e quindi per esteso al potere, viene dal ciclo arturiano di Excalibur, una delle tante ispirazioni. Lo strumento Jedi, proprio come la lama delle leggende, mostra spesso la sua seconda faccia, diventando quasi una maledizione da allontanare. Per questo nel finale Luke entra in azione senza essere fisicamente lì, estrae la spada eppure allo stesso tempo ci rinuncia. È questo l’apice della sua azione di Jedi che spezzerà il ciclo infinito aprendo al finale di tutte e tre le trilogie.

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Leia che usa la forza e l’utilità di Canto Bight ne Gli ultimi Jedi 

L’arrivo a Canto Bight, la città casinò sul pianeta Cantonica, è uno dei segmenti più controversi. Una parte spesso giudicata inutile allo sviluppo della storia. Come si legge nel thread, l’autore non è d’accordo. Lì avviene infatti l’incontro con DJ. La missione è quella di decriptare i codici disattivazione degli scudi della nave di Snoke, per mettere fuori uso il localizzatore del Primo Ordine. Per lo sviluppo di Finn questo momento è fondamentale. DJ è tematicamente opposto di Rose, come angeli e demoni che si contrappongono su due idee diametralmente opposte sulla guerra. Il centro del film è qui: l’economia di guerra, la rottura della divisione netta tra buoni e cattivi. 

Il seguente tentativo di sacrificio di Finn viene interrotto proprio per questo motivo: la guerra non si vincerà distruggendo ciò che odiamo ma salvando ciò che amiamo. Questa conclusione è conseguenza logica di ciò che accade con DJ. La scoperta che sul sangue di molti ci sono altri che speculano e si arricchiscono facendo affari. 

I bambini sensibili alla forza

La manovra Holdo, continua l’analisi, non è molto pratica. Sarebbe assurdo costruire astronavi per usarle come razzi calcolando poi che non ha nemmeno distrutto completamente il mezzo nemico ma l’ha “solo” spezzato durante una manovra disperata che, in altre occasioni, non sarebbe stata di aiuto. 

Il punto di tutto il film e delle scelte dell’ammiraglio Holdo è però quello di trovare quella “scintilla, che appiccherà il fuoco, che brucerà il Primo Ordine!”. Per questo motivo, conclude Brian Young, la scintilla si può trovare nella storia di Luke e nei bambini che si vedono sul finale. La seconda generazione di oppressi, e le azioni dello Jedi, sono fondamentali per la conclusione della saga. Sono il punto esatto, lo snodo fondamentale, che riaccende la speranza e permette a tutta la resistenza unita di combattere il primo ordine. 

E voi cosa ne pensate di questa lettura critica di Star Wars: gli ultimi Jedi approvata da Rian Johnson? Fatecelo sapere nei commenti!

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